La certezza che fosse cosa fatta era nell’aria già da settimane, ma soltanto qualche giorno fa è arrivata l’ufficialità di una trade che coinvolge, oltre Cleveland e Minnesota, anche Philadelphia e che rimarrà probabilmente la più importante della calda estate 2014.

La trade gira di certo attorno a Kevin Love, che passa ai Cavs accolto da Irving e dal figliol prodigo LeBron. Ai T’Wolves vanno Bennet, Wiggins e Young, quest’ultimo proveniente dai Sixers che in cambio si vedono arrivare Shved, Mbah a Moute ed una prima scelta.

Adesso i Cavs non si possono più nascondere, l’arrivo del nipote dei Beach Boys completa un quintetto che punta al bersaglio grosso. La strategia di Cleveland sembra pittosto chiara: provare a vincere subito, se non in questa stagione, nella successiva.

Assicurarsi le prestazioni di uno dei migliori lunghi NBA ha avuto però un prezzo. A Minnesota sono infatti andate le prime scelte assolute degli ultimi due Draft, 39 anni in due. Phila gioca in parte il ruolo dello spettatore, accollandosi i contratti in scadenza di Mbah a Moute e di Shved (qualyfing offer nel 2015), ed accaparrandosi l’ennesima scelta per i Draft futuri.

Sembrano piuttosto chiare anche le intenzioni dei Minnesota Timberwolves. La dirigenza negli ultimi anni aveva assemblato un roster più che rispettabile, costruito attorno a Rubio e Love, ma che, tra sfortuna (leggi infortuni) e lacune tecniche (leggi difesa rivedibile) non aveva prodotto i dividendi sperati. I T’Wolves hanno allora deciso di ripartire scambiando il loro pezzo più pregiato quando aveva ancora un valore, anticipando la possibile scelta di Love di cambiare casacca nel prossimo anno.

Minnie adesso si ritrova con un roster molto giovane da cui ripartire. Anthony Bennet, ampiamente deludente nel suo anno da rookie, è comunque un giocatore di prospettiva che non potrà diventare una stella, ma ha la possibilità di ritagliarsi un posto da giocatore di ruolo.

L’altro canadese è stata invece la vera rinuncia che i Cavs hanno dovuto operare per arrivare a Love. Andrew Wiggins, che aveva ben impressionato alla Summer League di Las Vegas, è dotato di grandi istinti per il gioco e ha tutte le carte in regola per diventare un giocatore completo sui due lati del campo. Ad ogni modo i due canadesi arrivano in una squadra che concederà loro molto minutaggio e dove verrà dato loro il tempo di crescere.

In più arriva Young che completa un reparto lunghi che ha visto nell’ultimo anno la forte ascesa di Pekovic. Minnie ha quindi scelto di guardare in prospettiva, aspettando soprattutto l’esplosione di Wiggins, e i tifosi di Minneapolis dovranno certamente pazientare qualche anno per vedere se la scelta ha pagato.

In Ohio la situazione è piuttosto diversa, visto le leggittime aspettative che ora circondano i Cavs, in una sola estate passati dall’essere una squadra di prospettiva che però non riusciva ad agguantare i playoff, ad una delle più serie canditate alla vittoria finale.

Questo almeno sulla carta, dato che un quintetto con Irving, Waiters, James, Love e Varejao è quantomeno temibile. In linea puramente teorica, un pick and roll Irving-James con Love sullo scarico fa paura, ma anche un pick and roll con James da pallegiatore e Love da bloccante con Irving che aspetta sul perimetro non scherza. Le soluzioni offensive diventano indubbiamente molteplici e la curiosità di vedere come riusciranno a giocare di squadra soprattutto nella prima parte di stagione è tanta.

Peraltro, l’arrivo di Love sembra cambiare anche il ruolo tattico di LeBron, destinato ad un lavoro più da esterno, visto che con l’ex Minnesota e Varejao lo spazio in area potrebbe tendere a diminuire, sebbene il lungo da UCLA sappia anche essere perimetrale. Giocare con Wiggins avrebbe invece permesso a James di continuare ad operare più vicino a canestro e forse l’avrebbe anche sollevato da gravosi compiti nella metà campo difensiva.

È sempre difficile giudicare a caldo una trade di questa portata, perché anche se i Cavs si sono messi in casa uno dei primi dieci giocatori NBA, non sempre un quintetto stellare è sinonimo di vittorie (leggi i Lakers di due anni fa).

Ad ogni modo, la sensazione è che sia Minnesota che Cleveland abbiano ottenuto quello che volevano: il ritorno di James imponeva un ulteriore sforzo della dirigenza per arrivare ai piani alti in tempi brevi, mentre i T’Wolves volevano invece ripartire, se non da zero, da qualche anno di ricostruzione, per cercare di arrivare in zona playoff con una squadra giovane e di prospettiva.

Come sempre accade, un giudizio sul reale impatto di una trade come questa necessita di almeno un anno di tempo, se non di più nel caso di Minnesota.

3 thoughts on “Trade Cavs – T’Wolves: chi ci guadagna?

  1. Ottima analisi. Mi fa leggermente storcere il naso il confronto con il quintetto base Lakers del 2012, che da tifoso gialloviola avevo etichettato subito come raccolta di figurine, e anche un po’ datate: a parte Howard (classe ’85) i vari Nash (’74), Gasol (’80), Artest (’79) e Kobe (’78) avevano in carriera già dato il meglio di se, mentre il mercato di Cleveland ha costruito un quintetto con il giusto mix di freschezza (Irving e Waiters), maturità (Love e James) ed esperienza (Varejao). Senza considerare poi la profondità della panchina: quella dei Lakers era piuttosto limitata visti anche i minuti effettivi che potevano garantire i titolari. Cleveland ha gente come Miller, Marion e Thompson che possono garantire ottime prestazioni in rotazione.
    Se dovessi fare un reale confronto a questo punto userei più i Lakers del 2003 con Payton, Kobe, Grant, Malone e Shaq + Fox, George e Fisher che arrivarono a giocarsi la finale con Detroit.

  2. In linea teorica ora i Cavs passano da contender a grande favorita, ma la storia insegna che i titoli si vincono con la Squadra, e che per formare una squadra non basta sommare grandi nomi…ciò detto non credo che gli esempi citati riguardanti altri quintetti stellari che hanno mancato l’obiettivo del titolo siano poi così calzanti, considerando soprattutto l’età e le condizioni fisiche dei giocatori chiave: James, Love e Irving sono nel pieno della loro carriera, mentre negli altri casi parliamo di giocatori in fase calante aggregatisi a una delle favorite nel tentativo di raggiungere il tanto agognato anello (spesso meritato: vedi Nash, o Payton e Malone nel 2004, ai quali mi sento di aggiungere Barkley nei Rockets di fine secolo ecc ecc).
    Potrà apparire azzardato, anche in più di un senso, ma l’aggiunta di Love alla coppia James-Irving mi fa pensare a quando i Bulls firmarono Rodman: la pedina perfetta nell’alchimia della squadra che gli consentì di dominare la lega nei successivi anni.
    James-Love-Irving come Jordan-Pippen-Rodman è certamente azzardato, giocatori diversissimi e difficilmente paragonabili per caratteristiche tecniche e fisiche, pur tuttavia il pensiero che mi smuovono è identico: “e questi come li fermi?” Ma se i secondi hanno saputo dimostrare coi fatti che non vi era risposta, per i primi è una questione di potenziale, oltreché decisamente prematura.
    Ora molto sta nelle mani di Blatt, che dovrà saper trovare il giusto equilibrio in campo, ma ancor più in quelle di James, che dovrà caricarsi la squadra sulle spalle cercando di trasmettere ai compagni quella mentalità che l’ha portato a vincere con gli Heat (anche se meno di quanto promesso…). Per poter così dare una risposta definitiva alla magna quaestio che ha attraversato tutta la carriera del Prescelto, quella che si ripropone ogni qualvolta sembrava superata dai fatti: è Lebron James un vincente?

  3. P.s.: da tifoso mi piacerebbe poter sperare che a guadagnarci saranno i sixers, che hanno accumulato tante di quelle scelte e giovani di belle speranze che il futuro non potrà che essere luminoso…razionalmente ahimè ne dubito…così come, in tutta sincerità, qualche dubbio me lo pone pure ‘sto Wiggins che mi pare così acerbo che fatico a capire se diventerà il fenomeno che tutti indicano…

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