I Boston Celtics festeggiano l’anno uno del processo di ricostruzione, iniziato lo scorso luglio con la scambio di Pierce e Garnett, col ritorno da protagonisti sul palcoscenico del Draft Nba.
I biancoverdi, reduci dalla prima stagione di transizione dopo gli anni ruggenti dei nuovi Big3, si sono confermati invisi alla dea bendata, come accade ormai da quasi un trentennio a questa parte: nonostante una stagione che li ha visti vittoriosi in sole 25 delle 82 partite disputate, i C’s si sono dovuti accontentare di una lotteria non entusiasmante, che ha portato loro in dote la sesta chiamata assoluta, alla quale si è aggiunta la scelta numero 17 (proveniente dai Nets nell’ambito dell’offerta per The Truth e KG).
La pick numero 6 (che non permetteva voli di fantasia per i vari Wiggins, Parker e Embiid) rappresenta comunque la scelta più alta a disposizione del Trifoglio dal 2007 a questa parte. Danny Ainge, coerente con la sua filosofia di prediligere il talento piuttosto che le necessità tecnico/tattiche in sede di scelta, ha puntato sul giocatore più forte rimasto disponibile, e i Celtics hanno quindi dato il benvenuto a Marcus Smart, guardia dall’università di Oklahoma State.
Smart è un nome già da tempo sul taccuino degli appassionati di NCAA: già in odore di chiamata in lottery allo scorso draft, il ragazzo originario di Flower Mound, Texas ha preferito rimandare di un anno il suo sbarco tra i pro, per poter continuare ad affinare le sue doti sotto l’ala di coach Travis Ford.
Le nude cifre parlano di un impatto da talento vero: Smart è stato il leader tecnico e spirituale dei Cowboys, chiudendo la sua stagione da sophomore con 18 punti, 6 rimbalzi, 5 assist e 3 palle rubate ad allacciata di scarpe. I risultati di squadra non sono stati esaltanti, con la seconda eliminazione consecutiva al secondo turno del torneo finale, ma l’annata disputata dal nuovo numero 36 biancoverde ha stabilizzato le sue quotazioni in vista del passaggio al piano di sopra.
Le caratteristiche di Smart lo rendono uno dei giocatori più Nba ready nel lotto della classe del 2014. E saranno soprattutto la sua struttura fisica e le sue capacità difensive a fargli guadagnare fin da subito un minutaggio consistente: Smart è un torello, alto e compatto, con una velocità di piedi che gli consente di essere un eccellente difensore tanto sulla palla quanto nelle rotazioni di squadra.
Anche l’atteggiamento in campo e l’etica del lavoro sono fattori importanti nel suo scouting report: il ragazzo texano gioca con grinta e passione su entrambi i lati del campo, un fuoco sacro alimentato da un’infanzia non facile che lo ha forgiato dentro e fuori dal rettangolo di gioco.
Il furore agonistico gli ha giocato un brutto scherzo lo scorso febbraio, quando nel finale del derby contro Texas Tech si è lasciato scappare uno spintone a un tifoso avversario che gli è costato tre partite di sospensione.
L’episodio però sembra poter essere archiviato come un precedente isolato, vista anche la grande maturità con la quale il ragazzo si è presentato nelle varie interviste e conferenze stampa di presentazione come nuovo giocatore dei Boston Celtics.
Dopo aver elencato i punti forti, vanno però rimarcate anche le aree del gioco sulle quali Smart dovrà necessariamente lavorare per costruirsi un futuro radioso in Nba. Prima fra tutte, il tiro: il 42% dal campo col quale il ragazzo ha chiuso la sua seconda stagione al college è sintomo di una meccanica che, insieme alla selezione delle conclusioni, lascia ancora a desiderare.
Grazie alla sua forza fisica e alla sua attitudine aggressiva, Smart riesce a essere efficace nella metà campo offensiva attaccando il canestro e segnando con continuità anche in post, ma (a dispetto di un jumper dalla media tutt’altro che disprezzabile) il fondamentale del tiro necessiterà di parecchie ore di lavoro per evitare di diventare facilmente battezzabile dalle difese avversarie. E a Boston sanno bene quali siano le difficoltà derivanti dall’avere una guardia priva di un jumper affidabile, citofonare Rondo per informazioni.
La considerazione sul tiro del numero 9 biancoverde ci permette di introdurre quella che forse è la tematica che più è stata associata al draft dei Celtics: la scelta di Smart, che nelle due stagioni a Oklahoma State ha ricoperto spesso e volentieri il ruolo di playmaker, implica un probabile addio a Rondo?
Non entriamo nel merito delle strategie del mercato biancoverde, tanto complicate quanto sconosciute per chi non si chiami Danny Ainge, ma limitandosi al piano prettamente tecnico la scelta del texano classe ’94 non esclude affatto una futura convivenza col capitano dei C’s.
Smart, infatti, non può essere definito come una pura point guard: la sua visione di gioco e la sua lucidità sono più che buone, ma il suo altruismo (messo in luce dai 5 assist a sera messi insieme in questa stagione) è accompagnato da un ball-handling discreto, ma che deve necessariamente essere migliorato, e dalla tendenza a qualche passaggio forzato di troppo (come dimostrato dalle quasi tre palle perse di media).
Smart incarna le caratteristiche delle combo-guard moderne, e grazie al suo fisico e alle sue abilità difensive potrà dividere il campo con Rondo senza che i due si debbano necessariamente pestare i piedi.
Con la diciassettesima i Celtics hanno invece puntato su uno dei prospetti più giovani disponibili nel draft di quest’anno: Boston ha selezionato James Young, guardia/ala in uscita da Kentucky dopo appena una stagione di college.
Young va così a rinforzare i ranghi degli ormai proverbiali one-and-done sfornati dalla squadra di coach Calipari: classe 1995 (compirà 19 anni a fine agosto), Young si è reso protagonista di una ottima stagione da freshman, nella quale ha messo insieme oltre 14 punti a sera conditi da 4 rimbalzi, prendendo per mano i Wildcats nel momento più difficile della loro stagione rivelandosi importante anche nelle fasi finali della March Madness.
La corsa dei ragazzi di Kentucky si è interrotta solo in finale ma, nonostante la sconfitta contro UConn, Young si è preso le luci della ribalta grazie a una prestazione da 20 punti e condita dall’highlight della schiacciata sulla testa di Brimah.
Di contro, però, non sono mancati svariati flash negativi nell’annata del ragazzo nativo del Michigan: tralasciando il clamoroso auto-canestro segnato in amichevole nel tentativo di salvare una rimessa (intenzione quindi tutt’altro che deprecabile ma con risultati esilaranti, per la gioia del web), Young ha palesato evidenti limiti tanto in attacco quanto in difesa. Gran realizzatore, capace di accendersi e di diventare letale una volta “in zona”, l’ex Wildcat vive però di fiammate che gli hanno permesso di mettere insieme un non eccezionale 35% dalla lunga distanza.
Dovrà lavorare sul bilanciamento del gesto, potendo però contare su una tecnica di base che appare comunque molto morbida. Un’altra delle incognite che accompagna il suo arrivo in una squadra dotata di un gran direttore d’orchestra come Rondo è la capacità di Young di giocare lontano dal pallone: nella sua stagione da freshman coach Calipari lo ha fatto giocare spesso e volentieri con la palla in mano, vista l’assenza di un play di ruolo nel roster degli Wildcats.
Il giovane James dovrà dimostrare di poter diventare un’arma offensiva anche muovendosi sui blocchi, senza vivere degli isolamenti dei quali disponeva in abbondanza nel suo primo e unico anno al college.
I nodi più evidenti vengono poi al pettine nella metà campo difensiva, nella quale Young non sembra ancora aver sviluppato una mentalità adeguata per poter tenere il campo a livello Nba.
Spesso distratto su tagli e aiuti, mobilità di piedi non eccelsa e la sensazione di un giocatore propenso ad andare al risparmio quando si tratta di difendere.
Altezza e apertura alare, però, sono dalla sua, insieme alla giovanissima età che lo rende un prospetto molto futuribile e sul quale poter lavorare in tutta calma, vista la situazione di ricostruzione in casa Celtics. Young, però, dovrà guadagnarsi ogni secondo speso sul campo: il rinnovo di Avery Bradley, per giunta con un investimento importante che testimonia la volontà del club biancoverde di puntare forte sulla guardia col numero 0, toglie giocoforza spazio e minuti per il rookie da Kentucky.
Il ragazzo dovrà dimostrare di avere la giusta mentalità per mettersi a disposizione di coach Stevens, maestro nello sviluppare giovani talenti; se riuscirà a fare questo salto di qualità, Young potrebbe rivelarsi un colpo a sorpresa tirato fuori dal cilindro di Ainge.
Il draft 2014 può essere archiviato col sorriso da parte dei Boston Celtics: vero, non sono arrivati giocatori in grado di stuzzicare la fantasia dei tifosi, né tantomeno si è potuto risolvere (per carenza di materiale umano) l’annoso problema del centro di ruolo che manca ai biancoverdi ormai dalla partenza di “broncione” Perkins, ma il talento e l’upside dei due ragazzi scelti sono fuori da ogni discussione.
La squadra è senza dubbio migliorata, anche se la situazione in divenire di molti contratti importanti e i limiti strutturali ancora evidenti non sembrano poter permettere ai C’s di poter tornare a competere ai piani alti nell’immediato. Tutto ciò, unito alle scarse possibilità di acquisti di grido all’orizzonte e alla prospettiva di un’altra stagione di transizione, permetterà ai due nuovi Celtic di avere a disposizione tutto il tempo necessario per crescere e imparare il mestiere al piano di sopra.
Con o senza Rondo (le voci di trade fioccano, e si parla di una richiesta di rinnovo da 100 milioni in cinque anni che potrebbe convincere Ainge a sacrificare il capitano per evitare di rimanere con un pugno di mosche in mano la prossima estata), Smart potrebbe essere una delle pietre miliari del futuro di Boston e potrà già dare un contributo sostanzioso nella sua stagione da matricola.
Young, invece, potrebbe andare a farsi le ossa in D-League, ma il fatto che Ainge e Stevens abbiano puntato forte su di lui (scegliendolo almeno 5/6 chiamate prima del previsto) è un chiaro indice dello fiducia riposta dallo staff dei Celtics nelle potenzialità del giocatore.
È stato il draft degli aggettivi in casa biancoverde: Smart & Young, una coppia che sembra un manifesto programmatico per dei Celtics sempre più verdi. Il colore della speranza, quella di rilanciare la franchigia del Trifoglio verso un futuro radioso.
Studente in giurisprudenza, amo ogni genere di sport e il suo lato più romantico. Seguace di Federico Buffa, l’Avvocato per eccellenza, perché se non vi piacciono le finali NBA non voglio nemmeno conoscervi.
“Ricordati di osare sempre”.