Alla fine non è stata la serie di Finals che ci aspettavamo. I San Antonio Spurs vincono il quinto titolo della loro storia, tutti targati Pop and Timmy, demolendo i campioni in carica nelle ultime tre partite. 4-1 il risultato finale con tanti saluti all’equilibrio e alla riedizione della serie 2013 andata a gara 7 dopo una gara 6 epica.
E’ stata una serie di facile lettura. San Antonio ha giocato un basket ai limiti della perfezione e Miami si è sciolta in tre blow-out consecutivi, come detto inaspettati ma per di più non degni della storia loro e delle NBA Finals.
Il mio pensiero è andato al 2004, quando i Lakers implosero da dentro le loro viscere e i Pistons giocando di squadra ebbero la meglio a sorpresa. Questa volta i valori erano più equilibrati, ma lo stesso abbiamo assistito ad una squadra che ha alzato palesemente bandiera bianca per motivi prettamente interni e ad un’altra che ha ridefinito il concetto di squadra.
Miami aveva pareggiato con Bosh sull’ 1-1, tutto pareva intavolato per andare fino in fondo e invece abbiamo conosciuto più garbage time del voluto e del dovuto.
Ecco le 10 storie che ci ricorderemo di queste NBA Finals 2014.
La rivincita di Manu. Tra tutti gli Spurs afflitti da gara 6 e dalla sconfitta dell’anno scorso c’era lui, Manu, che onestamente aveva giocato delle Finals inguardabili. Era il primo a saperlo e quest’anno, pur ad ondate, ha dato sprazzi del vecchio fenomeno oramai riverito in tutta la NBA. Si è rivisto anche atletico con slam dunk d’annata, il ritiro può attendere, il genio argentino è ancora lontano dal tramontare.
Et voilà. Nella perfezione sfiorata, forse raggiunta, dai ragazzi di Popovich, il francese è sembrato il gioiello di Cartier che decora il collo di una splendida ragazza, l’ultimo pezzo indossato di un vestito splendente. Il suo tocco di classe ha illuminato le serate delle Finals, qui nel behind the back pass, la sua intelligenza è stata rivoltante, un vero piacere vederlo giocare, una mente ed una raffinatezza superiori.
Lazy Wade. Negli ultimi tempi ne aveva fatto quasi uno stile di vita ma quel suo essere lazy, pigro, forse anche presuntuoso di poterla sempre e comunque risolvere nel finale è stato un danno per tutta la squadra. Manu l’anno scorso ci aveva provato, quest’anno per Wade non ci sono scuse, è stato inguardabile prima di tutto per l’atteggiamento. Non ha inciso nemmeno per un secondo, un fantasma, si vedrà se rivelatore di una situazione interna alla squadra ormai ingestibile ma resta il fatto che non ha onorato queste Finals con un body language irrispettoso e irritante.
Welcome Kawhi. Fate spazio a Leonard, MVP meritatissimo delle Finals. Il valore aggiunto rispetto al 2013 è la sua crescita fino ai livelli dei grandi. Ha impressionato in difesa, col suo atletismo, segnando canestri che dicono tanto dell’oggi ma che soprattutto preannunciano un futuro da possibile star. 17,8 punti di media con una gara 3 da dominatore a quota 29, Pop l’ha cresciuto come un figlio e se lo è ritrovato MVP dando quel tocco di giovinezza ai Big 3 che mancava per tornare a vincere.
La voglia di Tim. Nei suoi occhi si leggeva distintamente la voglia di cancellare la macchia del 2013. Tim Duncan aggiunge un altro tassello alla candidatura di miglior power forward di sempre, di sicuro c’è ora l’ammirazione di tutti per la sua etica del lavoro e per lo spirito di squadra, ha portato i fondamentali che esprime sul campo a modello di vita. Dei Big 3 è stato il più continuo, più Ginobili che Parker col freno a mano, un vero leader, rimasto miracolosamente nelle ultime due stagioni giusto ad una spanna dai livelli di quando era MVP della lega. Si ritira ? Dovrebbe, è bello così, che non faccia l’errore di MJ uscito di scena al top poi pentitosi. 5 anelli controcorrente in una NBA che vorrebbe andare da un’altra parte ma che è dovuta ritornare sui suoi passi, quelli silenti ed educati di un insegnante vivente del gioco.
Sventola il tricolore. Bravo Marco, grande Marco, un sogno si è avverato, sei il primo italiano campione NBA, che bello. Pop lo ha usato col contagocce ma quando è entrato si è fatto sempre sentire, è stata una stagione esaltante in cui il suo contributo è stato importante. Prima la corona di miglior tiratore da 3 all’All Star Game poi il trionfo vero, nella notte italiana già piena dei tricolori ai balconi per i Mondiali in Brasile sventola la bandiera del nostro amato paese.
La rivincita. Quella gara 6 del 2013 non è stata una partita normale, nè per chi l’ha vinta nè per chi l’ha persa tanto meno per chi l’ha guardata semplicemente in TV. Non potevano perdere due volte di fila, dovevano vendicarsi e l’hanno fatto demolendo degli Heat impotenti di fronte ad una furia che è stata una promessa mantenuta.
Dinastie. San Antonio va per 5, (’99, ’03, ’05 e ’07 i precedenti), Miami si ferma a due, forse per sempre, per lo meno nel formato Big 3 che conosciamo. Gli Spurs sono la dinastia più particolare della storia, coach Pop e Duncan sono le colonne di 5 titoli in un ampio raggio di tempo, con buona sequenzialità all’inizio, dopo il titolo con la vecchia guardia di David Robinson hanno vinto con l’aggiunta di Tony Parker e Manu ad anni alternati, quelli dispari, mai consecutivamente. La loro firma però c’è, distesa nel tempo, incaccellabile. Miami invece vede sfumare il three-peat della grandezza NBA, come i Bulls di Michael e i Lakers di Shaq e Kobe. Devi sempre raggiungerle quattro Finals di fila, pur nella non irresistibile Eastern Conference, quindi onore a loro ma alla fine ne hanno vinte due su quattro, quelle di mezzo, buttando via la prima e l’ultima anche con tanto demerito proprio. Può darsi sia finita qui, per entrambe le squadre, chissà, sono Finals sulle quali incombono cambiamenti epocali, vedremo se è stato l’ultimo atto di un’epoca oppure si ritornerà a rincorrersi di rivincita in rivincita.
LeBron, now what ? Ci ricorderemo dei suoi crampi in gara 1 che hanno condannato i suoi Heat alla sconfitta ma quell’immagine è la metafora di una serie di dolori antichi. Lui fa il fenomeno e gli altri non lo seguono. L’unico che ne esce veramente a testa alta è lui, lottando contro i crampi e contro Leonard, 28,2 punti, 7,8 rimbalzi, 4 assist col 57,1% dal campo e il 51,9% da tre sono numeri da MVP, al netto degli assist che chiaramente denunciano la pochezza dei compagni. Ci ha provato, ha avuto qualche streak offensiva impressionante ma ora si ritrova con un record di 2-3 nelle Finals e sempre quelle critiche, quella legacy, quei soliti paragoni. E ora ? Sinceramente se può essere servita questa sconfitta mi sento di dire che meritiamo di vederlo in un altro contesto, questa era è finita, è andata bene ma non benissimo, adesso vorrei cambiasse aria, in una città con dei fans che non lasciano l’arena nel terzo periodo, con compagni diversi e quindi con un ruolo diverso, basta doppiezze con Wade co-leader o meno. Il sogno è ancora quello di vederlo a New York, ora sotto l’egida di Phil Jackson potrebbe anche darsi, comunque The Decision 2.0 potrebbe non essere più rinviata per colpa di questo disastro non personale ma come trascinatore di una squadra che si è sfasciata con lui alla guida, alla maniera dei vecchi Cavs.
The team. Gli Spurs 2014 hanno ridefinito il concetto di squadra. Un leader in campo, un allenatore che è più di un maestro, vecchi compagni e giovani rampanti, uno per tutti, tutti per uno. Per una volta le giocate più belle non sono slam dunk o un circus shot, che pure non sono mancati, ma le azioni di squadra in cui tutti toccano la palla e si va a canestro facile di layup dopo una meravigliosa circolazione di palla. La filosofia offensiva di San Antonio si basa su spacing e motion ma qui si va oltre, si devono considerare le componenti umane prima di quelle tecniche. Raramente si era vista una squadra così unita e così completa, hanno raggiunto un livello che flirta con la perfezione, è veramente diffificile fare di meglio. Complimenti Spurs, vi ho odiato a lungo ma oggi è semplicemente impossibile non ammirarvi.
“E qualcosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure…”
A me ricorda molto invece Detroit Pistons-L.A Lakers delle finali 88/89. Con i Lakers a vincere in gara 7 nel 88, e successivamente demoliti dai Pistons nel 89.
In termini di “vendetta” sicuramente, considerando pure che nel 1988 i Pistons meritavano di più (come gli Spurs l’anno scorso…). Però ricordo che i Lakers delle Finals 1989 ebbero dei seri problemi di infortunio nel back-court (dovettero rinunciare prima ancora di iniziare la serie a Byron Scott, la G titolare che ebbe uno stiramento all’hamstring; Magic Johnson giocò gara 1 con la febbre alta e in gara 2 si stirò pure lui l’hamstring, facendo poi solo una comparsata di 5 minuti in gara 3) che forse non avrebbero sovvertito il pronostico ma di sicuro ebbero un evidente impatto sul risultato. Cosa che invece non è stata per Miami, dove il Prescelto ha sì continuato a fare il Magic nel corpo di Karl Malone e la vena realizzativa di Michael Jordan, ma dove onestamente negli ultimi 4 anni io non ho visto né un Worthy, né un Kareem, né un Byron Scott e nemmeno un Michael Cooper. Con tutto il rispetto possibile per He got game.
LeBron doveva vincerle da solo, come a Cleveland nel 2007. Ma la pallacanestro è un gioco di squadra, e l’effetto Maradona-mondiali86-Argentina non funziona.
Se fossi in lui farei “decision-2”. Mi piacerebbe vederlo con Kobe ad LA…
MI fila tutto. Avrei aggiunto un commento sul supporting cast delle rispettive squadre (Allen Mills Battier Splitter ecc….) e qualcosa su R.C. Buford.
Lebron… a new york la vedo dura, tecnicamente e dal punto di vista economico.
Tecnicamente: Perché mai James dovrebbe arare in una squadra disfunzionale, con un coach esordiente, l’altra bocca da fuoco nel suo stesso ruolo, Stat dalla panca, senza play né guardia, e col mercato bloccato?
Economicamente… Stat+Bargnani+Melo… + James? Uhm…