I San Antonio Spurs sono campioni NBA per la quinta volta negli ultimi 15 anni.

Dopo due partite a San Antonio che facevano presagire ad una finale in stile 2013, ovvero almeno 6-7 gare, tutte o quasi punto a punto, la serie si è spostata a Miami.

A meno di 48 ore da gara 2, con uno spostamento tra le gare, ci si aspettava una partita dove l’atletismo e la difesa asfissiante di Miami, aiutata in attacco da qualche uomo chiave dalla panchina (inesistente in Texas), potesse far pendere l’ago della bilancia dalla parte della franchigia della Florida.
Risultato?

41 (19/21, 90% ) punti degli Spurs nel primo quarto, 71 nel primo tempo con il 75,8% (25/33) in gara 3.
Miami è a -25 dopo 24 minuti e a parte una reazione nel terzo quarto dove riesce a tornare a -11, non riuscirà mai a rientrare completamente in partita.
Se in gara 3 è andata male, in gara 4 va anche peggio: finisce 107 a 86, Heat inesistenti, 12 minuti di garbage time nell’ultimo quarto.
Per gara 5 si torna a San Antonio, Bosh promette la vittoria di Miami, ma il risultato cambia di poco: altri 104 punti subiti dagli Heat e titolo in Texas.

Da gara 3 in poi gli Spurs giocano una pallacanestro offensivamente devastante, Leonard decide di diventare l’MVP delle Finali e Mills di fare “il Parker” della situazione.

Ma dove stanno i meriti degli Spurs e i demeriti degli Heat?
San Antonio si sa, gioca sempre in 5, siano gli interpreti Duncan, Parker o Ginobili, siano essi Mills, Leonard, Splitter. In un sistema dove i veterani hanno rispettivamente 38 (Duncan), 36 (Ginobili) e 32 (Parker), non si può far altro che fidarsi l’uno dell’altro e costruire una squadra che sappia battere gli avversari giocando in 5, sotto la guida di un maestro come Gregg Popovich.

Dall’altra parte si ha un sistema completamente diverso: i big 3 (dopo questa finale forse solo 1) e poco altro: Ray Allen, Chris Andersen, Rashard Lewis con qualche sprazzo decente di partita.
Mario Chalmers nelle finali dell’anno scorso mise a referto 19, 20 e 14 punti in gara 2, 6 e 7, tutte vinte dagli Heat; Wade, Bosh aiutarono James a vincere gara 4 rispettivamente con 32 e 20 punti, quest’anno niente. Zero.

Chalmers finisce con 5,5 punti di media in casa, Bosh e Wade non sono mai andati oltre i 20 punti, nessuno è stato in grado di aiutare LeBron a vincere il terzo titolo in 3 anni.
Sicuramente gli Spurs dell’anno scorso e di quest’anno non sono la stessa squadra, soprattuto fisicamente: Ginobili l’anno scorso veniva da una stagione iniziata alle olimpiadi a Londra e proseguita con qualche infortunio durante la stagione, Leonard ha aumentato la sua fisicità in maniera devastante, Diaw l’anno scorso non sembrava parente di quello di quest’anno.
Dall’altra parte Wade sembrava quest’anno essere arrivato alle Finals in buone condizioni, presto smentite da gara 3 in poi; per il resto nessuno a Miami si è mai preso la responsabilità di aiutare James (si ricordano Battier nel 2012 e Miller nel 2013 per esempio).

Ma quello che ha fatto più scalpore è la differenza di atteggiamento degli Heat a partire da gara 3:
si sa che per Miami la difesa è la prima arma per poter innescare contropiede, attacchi veloci e punti facili.

In gara 1 (prima dei noti problemi a LeBron) e gara 2 gli Heat erano riusciti ad arginare il sistema degli Spurs, grazie alla loro capacità di coprire tutte le zone del campo in poco tempo:

In questo possesso chiave di gara 2 si vede come gli Heat raddoppino Ginobili sul palleggio da pick&roll, preruotando su Duncan (Bosh è già in area), andando a evitare che Diaw tiri dall’angolo grazie alla rotazione di Wade e disinnescando anche Green grazie a Bosh che nel frattempo ha consegnato la marcatura di Duncan al Birdman (originario marcatore del caraibico).
Il tiro che ne scaturisce è quindi un tiro forzato di Ginobili allo scadere dei 24 in uno contro uno, da ben dietro l’arco da 3 punti.

Prendiamo un’azione del finale di primo tempo di gara 3 praticamente identica (minuto 3:12 del primo video).

Parker e Duncan giocano il pick&roll; Bosh è già in area per raddoppiare su Duncan ma stavolta Wade non adegua la propria posizione su Diaw nell’angolo. Risultato: tripla del francese.

Non si può dire che Wade abbia rispettato una scelta dell’allenatore: a San Antonio il suo uomo era Green, a Miami Ginobili, entrambi rispettabilissimi tiratori dall’arco. Quello che è mancato a Miami è infatti la cattiveria e voglia difensiva che l’ha caratterizzata nelle finali 2011 e 2012.

Altra azione emblematica:

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Bonner batte l’uomo sul recupero dopo un pick&roll degli Spurs: Red Rocket entra in area e di solito siamo abituati a vedere almeno due maglie bianche che raddoppiano o si preparano sulla linea di penetrazione a prendere lo sfondamento:

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Invece, quattro uomini fermi e Bonner che ringrazia con 2 punti in solitudine. È vero, le spaziature degli Spurs sono perfette: Andersen dovrebbe lasciare Splitter e limitare Bonner, esponendosi però al passaggio al brasiliano che sarebbe indisturbato (Allen è troppo lontano e nel caso provasse il raddoppio lascerebbe libero Ginobili). Ma se Battier (e in generale chi difende l’uomo con la palla) fosse riuscito a contenere il primo passo (cosa successa gli anni scorsi e in questi playoff), forse Andersen si sarebbe mosso prima, limitando l’eventuale passaggio a Splitter, e tutta la difesa si sarebbe adeguata meglio, sicuramente non lasciando un tiro facile con 13 secondi sul cronometro dei 24.

Anche quest’ultima azione denota una mancanza di energia e voglia di lottare di Miami:

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Parker lotta spalle a canestro contro James Jones.

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Riesce ad evitare Jones, ma trova il raddoppio di Bosh in mezzo all’area. Chalmers ruota su Duncan (marcato originariamente da Bosh), lasciando libero Mills nell’angolo. Wade non sa cosa fare e finisce per stare a metà: non aiuta su Mills e non marca il proprio uomo, Ginobili (che nel frattempo ha tagliato in area).

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Tiro senza marcatura per Mills, Wade e Chalmers non marcano nessuno, LeBron che guarda la palla ma non il proprio uomo Leonard.
Finale dell’azione:

Booom! Difesa Heat ferma e Leonard schiacchia in testa a tutti.

Se una difesa come quella di Miami,dove i concetti chiave sono pressing, raddoppi, deflections (deviazioni dellla palla) e rotazioni difensive, smette per un momento di dare il 100% delle proprie energie, il rischio è proprio quello successo da gara 3 in poi, a maggior ragione contro l’attacco più forte della Lega.
Forse erano appagati dalle vittorie degli anni scorsi, forse Wade e altri non erano in condizioni ottimali, forse i Big Three pensavano ai loro contratti invece che giocare, forse Spoelstra non ha saputo adeguarsi al sistema offensivo di San Antonio, FORSE. O forse, gli Spurs sono stati semplicemente più forti.

One thought on “Analisi di una sconfitta: la difesa di Miami

  1. Complimenti, ottimo articolo e ottimo sito in generale, altro che la gazzetta, questo sarà il sito che visiterò quando voglio sapere qualcosa sugli sport USA, continuate così!

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