Nessuna squadra NBA ha mai rimontato da uno svantaggio di 3-1 in Finale.
I Miami Heat si erano messi nella condizione di dover fare la storia, per usare le parole usate da LeBron James; dopo un inizio fulminante però, segnato da un perentorio +16, San Antonio è stata capace di rientrare, continuando ad insistere e trovando, ancora una volta, giocatori capaci di “crescere con l’occasione”, chiudendo una serie che è stata molto meno epica e combattuta di quanto ci aspettassimo, finita con tre partite consecutive di garbage time e con uno scarto complessivo di 70 punti, il più alto di sempre in una serie finale.
Dopo il primo quarto di gioco, con gli Heat in controllo e LeBron che caricava a testa bassa, “eravamo un po’ impressionati e intimiditi” ha detto Ginobili, “sai, LeBron ha messo 17 punti, così mi sono sentito di spingere e provare ad essere contagioso”.
Proprio Ginobili, con una partita di chirurgica efficacia, ha restituito inerzia ad una squadra che stava giocando sulle uova, prima con una tripla pesantissima, e poi con una favolosa schiacciata nel traffico che ha fatto esplodere l’AT&T.
James ha iniziato fortissimo, prendendosi tiri, rimbalzi e responsabilità, ma nessuno l’ha seguito e anche lui si è perso in un secondo tempo durante il quale gli Spurs sono stati fedeli al motto tanto caro all’ex agente della CIA, continuando, come le onde, ad erodere la roccia degli Heat, fino a farla cedere, per poi dilagare e chiudere con un 104-87 che sigilla il quinto anello della premiata ditta Gregg Popovich-Tim Duncan e il quarto di Ginobili e Parker.
“Abbiamo disputato un grande primo quarto, ma da lì in poi sono stati loro la squadra migliore” ha detto un delusissimo LeBron, che chiude la stagione con 31 punti e 10 rimbalzi, ma anche l’amaro in bocca per un Three-peat che gli Heat hanno visto sfuggire di mano senza poter fare nulla.
Poteva essere una gara molto insidiosa per gli Spurs, soprattutto con il nuovo formato delle Finals: avessero tolto il piede dall’acceleratore dopo due vittorie in Florida, si sarebbero poi trovati a giocare Gara 6 davanti al pubblico di Miami.
Con lo svolgersi dell’incontro, è apparso chiaro che i timori della vigilia erano infondati; animati da un indomabile spirito di rivalsa (“vendetta” è un termine che i neroargento hanno rifuggito), gli Spurs hanno seguito Manu e hanno preso abbrivio senza più perderlo.
A nulla è valso il cambio di quintetto di Spoelstra, mai così in difficoltà come in questa Finale, che ha sostituito il nullo Chalmers con Ray Allen, aumentando la pericolosità del quintetto (e costringendo Tony Parker, autore di una difficile prestazione al tiro, a lavorare difensivamente) ma condannandosi a subire nel derby delle panchine, vinto 47-24 da San Antonio.
Traditi dai tiratori (Bosh, Allen e Lewis hanno complessivamente tirato 7-24 dal campo) e da un D-Wade che ha chiuso con 4-12 per 11 punti, gli Heat non hanno trovato risposte all’infinita varietà di soluzioni proposte dall’attacco degli Spurs, che ha sublimato il concetto di drive-and-pass a livelli celestiali, ma, lo sottolineiamo, San Antonio non è solo attacco.
Hanno costretto al 40% dal campo e al 28% da tre i loro avversari, hanno contribuito a neutralizzare i pick-and-roll e a chiudere con buon tempismo sui giocatori appostati dietro l’arco del tiro da tre e hanno vinto la gara a rimbalzo, dopo essersi trovati a perderla nel primo tempo.
“Hanno giocato un basket squisito in questa serie, soprattutto nelle ultime tre partite, e sono la squadra migliore, non c’è altro modo di dirlo” ha affermato Spoelstra ai microfoni di ESPN.
Gli Spurs chiudono queste Finali con la più alta percentuale dal campo dall’introduzione dei 24 secondi (52.4%), e si collocano di diritto tra le squadre più forti di tutti i tempi: questa partita è stata la dodicesima in questi Playoffs in cui hanno battuto l’avversario con uno scarto di 15 punti, e dopo aver battuto Dallas, Portland e Oklahoma City, hanno concluso l’opera smantellando gli Heat come nessuno si aspettava che facessero, giocando una serie perfetta da un punto di vista tattico (qualche problema nelle prime due partite per i raddoppi su Ginobili e per i pick-and-roll 1-3, prontamente risolto dal coaching staff) e da quello emotivo-caratteriale.
Mentre Miami è strutturalmente costretta a fare riferimento ad un motivo offensivo che consiste nell’uno contro uno e nelle letture di LeBron James (e in parte di Dwayne Wade), gli Spurs, forti del collettivo, hanno trovato in ogni partita della serie protagonisti diversi capaci di diventare mattatori, sopperendo ad una serie altalenante di Tiago Splitter e Danny Green e trovando pronti tutti i giocatori scesi in campo, incluso Marco Belinelli, che non ha avuto il minutaggio che forse sperava ma ha sempre risposto presente, dimostrandosi parte vera di una squadra campione NBA.
Adam Silver li ha elogiati con un “avete mostrato al mondo quanto sia bello questo gioco” e non si può essere che d’accordo.
È stata una vittoria di squadra, sottolineata dalla prova corsara di Patty Mills, astuto in difesa e coraggioso in attacco, dove ha messo a segno 17 punti con un secondo tempo di rara spietatezza, e dall’MVP di queste Finali, Kawhi Leonard (22 punti e 10 rimbalzi per il terzo più giovane MVP di sempre), scambiato due anni fa con George Hill, e quasi imbarazzato nel ricevere il Bill Russell Award, mentre un Tim Duncan emozionato come non l’avevamo mai visto ha speso parole di grande stima nei suoi confronti (“sono onorato di giocare nella sua squadra”), ma d’altronde l’altruismo è di casa a San Antonio, dove Buford, Popovic e il proprietario, Mr. Holt, si sono rimpallati a vicenda il merito di questi tre lustri di successi, concordando su una sola cosa: l’ispirazione e il merito di tutto, alla fine va ad un terzetto straordinario di campioni: Tony Parker, Manu Ginobili, e soprattutto, quell’immenso leader che è Tim Duncan.
Seguo la NBA dal lontano 1997, quando rimasi stregato dalla narrazione di Tranquillo & Buffa, e poi dall’ASB di Limardi e Gotta.
Una volta mi chiesero: “Ma come fai a saperne così tante?” Un amico rispose per me: “Se le inventa”.
Spurs meritatamente vincenti, hanno giocato un basket migliore e sono una squadra fenomenale.
Ciò nonostante spero di non sentire le solite storie su Lbj non decisivo. Queste finali le ha giocate da solo e Miami è una squadra con giocatori sostanzialmente finiti o non più a livello di Finals.
Wade è ormai un giocatore mediocre, Bosh non è mai stato un vero fuoriclasse e la panchina ha tradito in modo inverecondo (prima di gara 5 la panca di SA aveva un +91 di plus/minus mentre quella di Miami un -84 (circa).
Imbarazzante.
Lbj li ha portati alle Finals (anche forse per la pochezza a est), ma da solo contro la squadra più squadra che ci sia non era proprio possibile fare meglio.
Su Pop inutile spendere elogi, la storia parla per lui.