Un primo tempo leggendario rimette gli Spurs in testa alla serie. Quello che Duncan e compagni hanno mostrato nei primi 24’ di martedì notte è stato un qualcosa di pazzesco (25/33 dal campo per 71 punti, così, per non dimenticare) che ha stordito gli Heat, finiti sotto troppo pesantemente per avere poi le forze di riprendere la partita nella seconda metà. Ma è stata anche la notte della consacrazione definitiva, nel caso ce ne fosse bisogno, di Kawhi Leonard, che è stato il migliore dell’incontro in tutti i sensi, dominando in attacco e in difesa. Pensarlo così sempre è chiaramente impossibile, ma se riuscirà a portare sempre un contributo importante su entrambi i lato del campo, specialmente per la sua difesa su LeBron, beh allora per Popovich potrebbero davvero schiudersi le porte del quinto anello.
COSA HA FUNZIONATO
– L’attacco. Eh grazie. Il primo tempo degli Spurs sarebbe da mettere in loop video in ogni luogo dove si giochi a pallacanestro. La cosa più impressionante è stata la circolazione di palla. Perché è vero che gli Spurs hanno segnato sempre, anche tiri difficili, che la difesa Heat (in particolare di Wade) non è stata arcigna, ma come ha vorticato la palla in quei 24’ è un qualcosa di difficilmente ripetibile su un periodo di tempo così esteso. La palla raramente si è fermata nella mani dello stesso giocatore per più di uno o due secondi. Quando giocano così, e se le percentuali si alzano, anche non necessariamente arrivando al 75%, questi sono difficilmente battibili. Specie se si pensa che, comunque, gli Heat il loro, nella metà campo offensiva, lo stavano facendo eccome. E nonostante tutto si sono ritrovati sotto di 20 punti;
– Se ricordate avevamo parlato, nel post gara 2, delle assenze di Leonard e Green, giocatori fondamentali per il sistema Spurs, e che per strappare una vittoria in Florida era necessaria una loro rinascita. Detto fatto: i due all’intervallo assommavano per 31 punti con un assurdo 12/13 dal campo. E lo stesso Green ha iniziato il secondo tempo (che terminerà con la coppia a quota 44 punti con 17/21) con un canestro e fallo in penetrazione contro James molto importante. Poi di Leonard probabilmente sapete già tutto. Se in una partita sei l’uomo più pericoloso in attacco e, contemporaneamente, quello che mette la museruola a LBJ viene quasi da dire che sei un’arma illegale e che non vale neanche metterti in campo. La partita, tra l’altro, ha una valenza ancora più grande: intanto perché regala una vittoria esterna vitale ai suoi mettendo spalle al muro gli Heat e poi perché arriva dopo un inizio di serie abbastanza in ombra;
– Gregg Popovich, certo aiutato dalla prestazione balistica dei suoi, si è comunque messo in tasca la partita dal punto di vista tattico, adattandosi ai quintetti di Spoelstra con maestria e prontezza. Quando Bosh e Lewis sono stati in campo ha risposto inserendo Duncan e Diaw, con il francese dislocato su un Bosh poco servito dai compagni, che ha permesso a Duncan di aiutare maggiormente i compagni, potendosi disinteressare di Lewis più di quanto non faccia con lo stesso Bosh, che è comunque un giocatore più attivo dell’ex Magic, pericoloso da dietro l’arco ma che più che mettersi ad aspettare uno scarico non fa. Quando gli Heat hanno proposto Andersen al posto di Lewis, Pop è andato con Splitter, avendo sempre un’ottima efficienza difensiva. In tutto questo l’allenatore dell’anno ha trovato anche il modo di avere minuti positivi da Matt Bonner, e di non soffrire la small ball avversaria, che solitamente fa disastri, grazie alla prestazione difensiva di Leonard su LeBron sopracitata. Insomma, per una volta, ko tecnico sulla panchina in favore dei nero argento;
– Certo, un primo tempo da 71 punti tende a instradare la partita nella direzione giusta, ma bisogna anche dare atto agli Spurs di aver saputo rispondere presente ai momenti (uno in realtà) di difficoltà che ci sono stati. Verso la fine del terzo quarto, quando gli Heat erano tornati a -7, è arrivato l’unico canestro di Belinelli che li ha respinti alla doppia cifra di svantaggio ed è stato, forse, il canestro più pesante di tutta la gara, perché ha bloccato una rimonta che, forse, James e soci, in cuor loro, pensavano di aver già completato. E invece San Antonio ha rimesso una quindicina di punti di margine con il carattere e la presenza di una grande squadra;
– Molte delle tante palle perse degli Heat hanno le impronte della difesa Spurs sopra. Pressione difensiva per punti facili in contropiede (12-4 San Antonio), un’equazione che ha funzionato alla grande. Green in particolare si è distinto con le sue lunghe leve (5 recuperi);
– Menzione d’onore per Tony Parker, che ha ricevuto anche le parole al miele di Gregg Popovich. Il francese, che forse è ancora limitato fisicamente, non ha voluto strafare, limitandosi a fare girare l’attacco e aspettando i propri momenti per segnare un paio di canestri dal peso specifico notevole. Considerato come hanno giocato i suoi compagni di squadra, e le difficoltà enormi dei pari ruolo avversari, ha avuto molto più valore una sua partita del genere, piuttosto che una magari da 30 punti;
COSA NON HA FUNZIONATO
– Ecco, oggi è sinceramente difficile trovare qualcosa che non abbia funzionato. Anche rivedendo per intero la partita in ogni suo dettaglio è difficile trovare qualcosa che si possa imputare agli Spurs, che se non hanno giocato la partita perfetta, ci sono andati davvero vicini. Forse il calo del secondo tempo, in particolare nel terzo quarto, si può imputare, con l’attacco e la difesa che sono andati in confusione, generando tiri marcati da un lato, perdendo uomini sul perimetro e nei pressi del canestro e regalando quei tiri liberi (11 sui 24 totali di Miami) che, invece, gli Spurs sono tanto bravi a negare agli avversari dall’altro. Però, va anche detto che, dopo quel primo tempo, un rilassamento era quasi fisiologico e attendibile, e comunque, come citato in precedenza quando c’è stato da stringere per chiudere la partita i texani lo hanno fatto prontamente;
– Nota a margine: tutti erano pronti all’evento nel post partita, ossia la conferenza stampa di Kawhi Leonard, notoriamente molto molto parco di parole. E invece, l’ex San Diego State si è tirato indietro volontariamente, mandando al suo posto Manu Ginobili. Delusione tra i giornalisti che non credevano fosse vero di poter avere a disposizione il numero 2 per tirargli fuori qualche dichiarazione. E infatti così non è stato. Sarà per la prossima. O forse no;
Cestista, baskettaro, appassionato della palla a spicchi, fedele adepto del parquet.
Nato a pane e Danilovic, cresciuto a tarallucci e Ginobili, ho sviluppato col tempo un’insana passione per il basket a stelle e striscie e i Denver Nuggets, aggiungendo poi con calma interesse vivo per Football Americano (San Francisco 49ers) e Baseball (San Francisco Giants). Scrivo per diletto. Parlo a volte, a sproposito, su Radio Playit.