È un pomeriggio caldissimo all’ombra dell’Alamo. No, stavolta non è colpa del chiacchieratissimo guasto all’impianto dell’aria condizionata dell’AT&T Center; l’atmosfera è bollente, perché nel tardo pomeriggio texano i padroni di casa dei San Antonio Spurs ospitano i Miami Heat nel secondo atto delle Finals 2014. Una partita fondamentale, come ogni singolo match della serie che assegna il Larry O’Brien Trophy, ma con un peso specifico forse ancor più grande visto il precoce indirizzo che potrebbe imprimere all’economia del confronto.
San Antonio vuol proteggere la propria casa, siglando un 2-0 che la metterebbe in una posizione se non confortevole quantomeno di controllo rispetto agli avversari di South Beach; gli Heat, dal canto loro, non perdono due partite consecutive ai playoff dalle finali di conference del 2012 (quando i Celtics inflissero ben tre sconfitte filate a LeBron e compagni) e vogliono continuare il trend per mandare un messaggio forte e chiaro ai dirimpettai texani.
È tutto pronto, l’aria condizionata soffia più forte di Lance Stephenson, LeBron James è ben idratato (e, memore della lezione appresa in gara 1, per l’occasione privo di corazza antiproiettile e equipaggiato con soli calzoncini) e pronto a rispondere alle critiche ricevute dopo i crampi di gara 1: gli arbitri alzano la palla a due e il secondo capitolo delle Finals 2014 può avere inizio.
A muovere per primi il punteggio sono i padroni di casa: Danny Green stavolta arriva puntuale all’appuntamento col canestro e non tarda a iscriversi alla partita con due punti dal palleggio. La sua prima parentesi in campo però è direttamente proporzionale alla rapidità del suo primo canestro: il numero 4 di casa commette infatti due falli in rapida successione, e coach Popovich corre ai ripari inserendo il nostro Marco Belinelli dopo appena 90 secondi di gioco. Nel frattempo c’è un signore dalle isole Vergini che deve evidentemente aver falsificato i propri documenti d’identità: Tim Duncan aggredisce di petto il match, prima con un gioco da tre punti e poi con una schiacciata prepotente servito da Splitter su un taglio perfetto per tempi e efficacia. Per gli ospiti è Bosh a provarci, prendendo il centro della scena in contumacia James e Wade, ma gli Spurs trovano un Belinelli che entra in partita da giocatore vero, mettendo a segno una tripla in transizione senza alcuna esitazione e difendendo in maniera più che competente su Wade. Il resto continua a farlo il caraibico col numero 21, che proprio su un errore del Beli inchioda con maestosa prepotenza a rimbalzo offensivo, scrivendo l’undicesimo punto della sua (lei si, ancora giovane) serata. Miami si rimbocca le maniche, e non perde tempo per pareggiare i conti: Lewis mette a segno una tripla importante dalla punta, Chalmers vede luce in mezzo all’area e si butta dentro per chiudere il layup e, finalmente, James mette al corrente tutto l’AT&T Center della sua entrata in partita con una terrificante schiacciata con la quale batte la difesa schierata partendo dall’arco. Dall’altra parte del campo Parker decide di aver atteso fin troppo per entrare in scena: prima una magia delle sue tra le cime degli alberi e poi una tripla chirurgica dall’angolo restituiscono l’inerzia ai suoi. Miami gestisce male il pallone e non trova risorse tranne un encomiabile Bosh, e San Antonio sfrutta la precisione del suo attacco unita a una meravigliosa presenza difensiva che permette ai padroni di casa di sprintare nel finale e di chiudere il primo quarto avanti 26-17. Gli Spurs sono trascinati da un Duncan meraviglioso, e costruiscono un primo, significativo vantaggio grazie a un grande attacco che è il manifesto del basket corale di coach Popovich: 9 assist serviti per 11 canestri segnati, un dato decisamente significativo sull’attitudine all’altruismo dei texani. L’attacco fluido e preciso di inizio gara lascia poi il posto a una difesa da manuale, che confonde le idee all’attacco ospite; Miami non viene neanche aiutata dai suoi due tenori, perché James e Wade siglano il loro minimo storico in un quarto della postseason combinando per due soli punti (nessun tiro per Flash, 1/4 dal campo per LeBron).
San Antonio inizia nel migliore dei modi anche il secondo periodo: Mills si libera sul blocco e va a segno col jumper da due punti, Ginobili lo segue a ruota sfruttando la marcatura permissiva di Wade per colpire col push shot da rimessa dal fondo. Gli Spurs scollinano oltre la doppia cifra di vantaggio (+11), coach Spoelstra corre ai ripari richiamando subito in campo James e Miami è brava e fortunata a sfruttare un difetto di comunicazione tra Belinelli e Diaw, che lasciano improvvidamente libero tale Ray Allen coi piedi oltre l’arco dei tre punti (con risultati ampiamente prevedibili). Popovich si infuria coi suoi e chiama un timeout dal quale gli Spurs escono con la faccia catgiva in difesa, dove chiudono Wade in un vicolo cieco e rubano palla con un gran tuffo sul parquet di Leonard; le decisione offensive, però, sono discutibili, soprattutto quelle di Splitter che prima si lancia in un inusuale contropiede che finisce per essere stoppato da Bosh e poi si rende colpevole di una palla persa sanguinosa che alimenta la rimonta ospite. James fiuta il momento propizio e sposta la levetta su attack mode, andando a nozze in transizione e cancellando quasi tutto il margine accumulato dagli Spurs. Diaw segna un canestro fondamentale per spezzare il parziale di 9-0 degli Heat, ma gli ospiti sembrano aver trovato la chiave per portare dalla loro l’inerzia del match: Ginobili spende il secondo fallo per fermare James, Duncan protesta e rimedia un tecnico che lo stesso LeBron converte prima di andare a rimbalzo offensivo e segnare il canestro che vale il primo vantaggio dei suoi a quota 34-33. Il break di 15-3 col quale gli Heat mettono la testa avanti è di portata tale da stendere un toro, ma una tripla da campione di Ginobili e due canestri in fila di Parker (il secondo dei quali innescato da un’apertura di Duncan che meriterebbe un’esposizione dedicata in una galleria d’arte moderna) riportano i padroni di casa avanti nel punteggio. San Antonio però perde anzitempo Ginobili, sanzionato col terzo fallo personale dopo un flop francamente davvero eccessivo di Wade, e Miami trova un canestro a testa dei suoi tre moschettieri per recuperare il nuovo cuscinetto di vantaggio messo da parte dai padroni di casa e impattare il risultato a quota 43. Pari e patta dunque, quando le squadre tornano negli spogliatoi per l’intervallo di metà gara: l’intensità è tale da illuminare a giorno tutto il Texas per le prossime due settimane, per una partita splendida e dominata da un equilibrio assoluto. È San Antonio a tenere in mano il pallino del gioco, grazie alla partenza a razzo di Duncan (già ad un passo dalla doppia doppia) e all’ottima prova di Parker; Miami però trova finalmente l’apporto sostanzioso di Wade e soprattutto di James, che vanno a far compagnia al buon Bosh visto in avvio di gara per pareggiare i conti e introdurci a un secondo tempo tutto da vivere.
Dopo un long two di Parker, che converte magnificamente uno scarico dalla linea di fondo di Leonard, torna a segnare Duncan, che in due tempi muove il suo tabellino dopo sei errori al tiro. Wade porta a casa col mestiere un fischio che gli vale due liberi e che soprattutto costa a Green il quarto fallo personale; Popovich però non vuol far perdere definitivamente il ritmo al suo fromboliere, e lo tiene in campo venendo pagato con lauti dividendo da una tripla mandata a bersaglio dallo stesso Green. Nel frattempo, Tim Duncan estrae la piuma dal calamaio per scrivere un altro capitolo della sua storia infinita: con la doppia doppia numero 157 nei playoff, il caraibico raggiunge Magic Johnson al primo posto della classifica All-Time della categoria. Un’altra perla che allungherà ulteriormente la già interminabile presentazione nel giorno in cui verrà eletto nella Hall Of Fame. Lewis e Leonard si rispondono dall’arco, ma sono sempre gli Spurs ad apparire leggermente in vantaggio nell’economia del match: malgrado l’ottima difesa ospite, San Antonio trova la via del canestro ancora grazie a una bomba di Leonard, seguita da due liberi di Duncan che valgono il +6. Sul parquet però c’è un signore nativo di Akron, Ohio, che da qualche anno a questa parte si diverte a cambiare la storia della palla a spicchi: LeBron James stavolta seleziona la modalità leggenda, e segna cinque canestri in fila (intervallati soltanto da un tiro libero a bersaglio di Andersen) che sono il manifesto della sua onnipotenza cestistica. James gioca come se fosse da solo in palestra, imbucando canestri impossibili in rapida successione e riportando alla mente la sua leggendaria performance con la maglia dei Cavs in gara 5 della finale delle Eastern Conference del 2007 contro i Detroit Pistons. Lo strapotere del numero 6 degli Heat assesta al match una spallata terrificante, ma ancora una volta gli ineffabili Spurs trovano il modo di resistere e di rilanciare la sfida: Ginobili e Diaw combinano con un’intesa misteriosa, innescando la mano di Mills dall’angolo. Bosh guadagna e trasforma due liberi di pura aggressività, ma Mills dimostra di avere due dirigibili sotto la cintura e imbuca un’altra tripla, stavolta su servizio di Parker. C’è campo anche per Belinelli, a cui spetta l’ingrato compito di marcare Wade proprio nel momento in cui il numero 3 ospite decide di lasciare la sua griffe sul match; poco male, perché gli Spurs possono contare su Parker, che on quattro punti chiude il terzo periodo portando avanti gli Spus col punteggio di 78-77. Nonostante il dominio del Re, gli Spurs sono ancora in testa: l’orgoglio e la classe dei loro campioni, uniti alla profondità e all’impatto della panchina, apparecchiano la tavola per un ultimo quarto da pelle d’oca, che potrà già decidere una piccola porzione di questa serie finale.
Gregg Popovich non manca di regalare uno dei suoi caratteristici siparietti anche nelle Finals. Intervistato nell’ultimo intervallo, risponde così alla domanda di Doris Burke, che gli chiede come pensa di fare per arginare James: “Cosa, fermare LeBron? Sei seria? Come facciamo a fermarlo? Posso solo augurarmi che giochi male!”
Bosh vuol continuare nella sua splendida serata da seconda ruota degli Heat, e inaugura il quarto periodo con un gioco da tre punti conseguente a una roboante schiacciata ai danni di Splitter. L’attacco dei padroni di casa si inceppa, ma è lo stesso Bosh a non calcare la mano fallendo un paio di conclusioni piazzate che permettono così a Splitter di pareggiare i conti a quota 80. Lewis segna ancora da tre, San Antonio fa fatica a rimbalzo offensivo ma trova un’invenzione di Ginobili, che si butta in area estraendo dal cilindro due improbabili punti in transizione. Il gaucho mancino prende in mano le redini della squadra, e innesca una incredibile tripla di Green che batte la marcatura di Wade e fa esplodere l’arena texana per il nuovo vantaggio dei padroni di casa. Popovich cavalca ancora Mills, che pressa a tutto campo su Chalmers, ma è ancora un superlativo James a mettere le cose in chiaro con un irreale canestro in isolamento sopra le lunghe braccia di Leonard allo scadere del cronometro dell’azione. Ginobili intanto guadagna il bonus per gli Spurs con poco meno di 7 minuti sul cronometro, pochi istanti prima di una possibile svolta del match: Chalmers, frustrato dalla stretta marcatura avversaria, assesta una gomitata nella bocca dello stomaco a Parker mentre conduce palla in attacco. Per gli arbitri si tratta di un flragrant 1, e gli Spurs beneficiano così di due tiri liberi e del possesso successivo; incredibilmente, però, Parker e Duncan combinano per un clamoroso 0/4 che, a conti fatti, si rivelerà decisivo per le sorti del match. LeBron, infatti, non tarda a illustrare agli Spurs il peso specifico dei quattro errori dalla lunetta: il Prescelto prima segna dall’arco, battendo ancora la marcatura di Leonard, per poi convertire i due liberi seguenti al quinto fallo del numero 2 degli Spurs. Mancano meno di cinque minuti al termine, e ad ogni possesso che passa il tempo scorre sempre più inesorabile. Ci pensa un califfo franco-senegalese a cristallizzare la situazione in un attimo: Boris Diaw torna in campo e dall’angolo destro infila una tripla di importanza capitale, che pareggia i conti a quota 90. Miami attacca male, San Antonio fa altrettanto; non si segna più, e le due squadre sono stremate al termine di una battaglia che, malgrado l’aria condizionata stavolta funzionante, le ha asciugate di ogni stilla di energia. Si vive di nervi e di momenti, come quello del layup acrobatico col quale Andersen (fin qui fondamentale per la sua presenza a rimbalzo e per la sua consueta energia sui due lati del campo) converte un perfetto assist di Allen per il nuovo vantaggio ospite; o magari come quello in cui Parker si alza dalla punta con due minuti e mezzo sul cronometro per imbucare la tripla del contro sorpasso. James si affida a Bosh, che lo tradisce fallendo la tripla dall’angolo; il rimbalzo è preda dei tentacoli di Leonard, San Antonio si affida a Parker che viene preso in consegna da un James che a questo punto si rende definitivamente anti costituzionale, marcando alla perfezione il franco-belga e andando a un passo dal rubargli palla. La tripla disperata di Ginobili prende solo il ferro, e allora sono di nuovo gli Heat ad avere il pallone della speranza: James punta il canestro, semina gli avversari e fa chiudere la difesa prima di scaricare sapientemente per Bosh. L’ex Raptors stavolta ha metri di spazio e non trema, mettendo a segno al tripla che vale il 95-93 Heat. Gli Spurs adesso sono storditi, con la nebbia della fatica che diventa più fitta a causa del contraccolpo psicologico: la fucilata di Ginobili è troppo forte per poter essere controllata da un esausto Duncan, per una palla persa sanguinosa come non mai. James prende ancora l’iniziativa, va in lunetta dopo il sesto fallo di Leonard ma fallisce il libero della staffa. Gli Spurs hanno la palla del pareggio ma attaccano in maniera confusa, non riuscendo a trovare spazio dall’arco e accontentandosi di un improbabile floater di Diaw che non viene accolto dal ferro. Miami ha nuovamente la palla in mano, Popovich ordina di non commettere fallo e Bosh può battere Duncan dal palleggio, dopo averlo portato sul perimetro, prima di servire a Wade il pallone con scritto basta spingere che vale il canestro del successo. Finisce 98-96 per gli Heat, risultato fissato dalla beffarda tripla di Ginobili che va a segno quando ormai i buoi sono già scappati.
Gli Heat realizzano in pieno il disegno col quale avevano pensato queste Finals: il successo esterno centrato stanotte ha un valore inestimabile per la squadra di coach Spoelstra, che può così tornare a Miami con le spalle ben distanti dal muro e, anzi, con una leggera inerzia dalla sua. LeBron e soci vivono una serata magica dal punto di vista offensiva, chiudendo col 53% dal campo e col 42% dall’arco; le 16 palle perse, che fruttano 14 punti agli avversari, non impediscono agli uomini di South Beach di portare a casa il punto del pareggio. Il motivo può essere indicato senza troppe difficoltà nel signore che veste la maglia col numero 6: LeBron James è ineluttabile nel rispondere alle critiche ricevute nel post gara 1. L’orgoglio e la rabbia del Prescelto si fondono per dar vita a una prestazione straordinaria: 35 punti (33 dei quali arrivati dal secondo quarto in poi, tirando 14/22 dal campo e 3/3 dall’arco) e 10 rimbalzi, una partita da uomo solo al comando con la quale ha tenuto a mettere in chiaro l’intenzione di far valere ancora a lungo il diritto di proprietà sul regno chiamato Nba. Per portare a casa il successo, però, anche un James in serata di onnipotenza ha avuto bisogno dell’apporto dei compagni: è suo l’assist che ha armato la mano di Chris Bosh, che ha segnato il suo diciottesimo punto (6/11 al tiro) con la tripla che ha indirizzato il match verso i lidi della Florida. Wade, in serata di vena non eccelsa, si è limitato all’ordinaria amministrazione, se così si può chiamare una partita da 14 punti (5/9 al tiro), 7 rimbalzi e 4 assist. Fondamentale, al solito, il supporting cast: Lewis chiude con 14 punti, Allen ne aggiunge 9 di una freschezza misteriosa e Andersen porta in dote il suo contributo di 3 punti ma ben 9 rimbalzi.
Gli Spurs, dopo aver tenuto in mano il pallino dell’incontro per larghi tratti della serata, si trovano a dover maledire due sciagurati viaggi in lunetta: i quattro liberi in fila falliti da Parker e Duncan avrebbero potuto dare sei lunghezze di vantaggio ai texani, che però hanno gettato alle ortiche l’occasione e sono usciti battuti. Il franco-belga ne ha messi 21 con 7 assist, Duncan ha chiuso con 18 punti e 15 rimbalzi e Ginobili ne ha aggiunti 19 (con 4 assistenze) dalla panchina. La prova ei grandi vecchi, però, non è bastata, così come quella di una panchina eccellente che ha trovato anche stasera un Diaw splendido (7 punti, 10 rimbalzi e 5 assist) e 8 punti segnati da Mills nel solo terzo quarto. Green non si è acceso (solo 9 punti per lui) Splitter ha smazzato 5 assist ma è mancato in fase realizzativa e difensiva, Leonard è naufragato ancora una volta tra i problemi di falli e Belinelli non ha inciso più di tanto in attacco, pur senza sfigurare sul lato difensivo del campo.
Il tempo, specie nelle Finals, è tiranno e gentiluomo al tempo stesso e non permette di fermarsi pensare più di tanto a quanto successo nelle puntate precedenti. Tra meno di 48 ore si torna in campo alla American Airlines Arena, pronti a vivere il terzo atto di una serie che promette di replicare i fasti di quella dello scorso anno. È adesso che il gioco si fa, se possibile, ancora più duro: scopriremo quali saranno i veri duri, quelli che iniziano a giocare quando la palla scotta e c’è in palio la storia.
Studente in giurisprudenza, amo ogni genere di sport e il suo lato più romantico. Seguace di Federico Buffa, l’Avvocato per eccellenza, perché se non vi piacciono le finali NBA non voglio nemmeno conoscervi.
“Ricordati di osare sempre”.