La tentazione, dalle parti dello Staples Center, è quella d’essere delusi e arrabbiati, di farsi divorare dai rimpianti per una vittoria solamente sfiorata e sfuggita due volte nell’arco di due partite.
In fondo, a 49 secondi dalla fine di Gara 5, i Clippers vincevano di sette e avevano in mano le Finali di Conference. C’è voluto un minuto perfetto di OKC per mandare tutto i frantumi e passare dall’estasi alla depressione.
I Clippers si sarebbero potuti rifare in Gara 6, ma, ancora una volta, complice un arbitraggio onestamente non di livello, sono “andati corti”. Si può accusare la cattiva sorte o i fischietti, ma siamo sicuri che Doc Rivers, placata l’ira che gli ha fatto sbottare “siamo stati derubati” guarderà oltre gli episodi sfavorevoli e individuerà nella propria squadra alcuni limiti tattici e d’esperienza.
Posto che i due fischi consecutivi per fallo in attacco di Gara 6 (il primo contro Paul che aveva alzato per una schiacciata di Jordan e il secondo a Blake Griffin, che si è visto annullare un canestro per offensive foul su Durant) gridano vendetta, questi sono gli arbitri (e le regole) con cui tutti (e non solo i Clippers) devono fare i conti.
Nonostante l’eliminazione al secondo turno, riteniamo che i Los Angeles Clippers, con una stagione da 57-25 abbiano intrapreso la strada giusta. Vediamo perché.
Per prima cosa, i Chris Paul e compagni sono stati eliminati al secondo turno, certo, ma nella tonnara della Western Conference.
Insieme a Thunder e Spurs, Los Angeles è nel terzetto delle tre migliori squadre della Conference. Se aggiungiamo i Miami Heat, è chiaro che i Clips sono una delle migliori quattro squadre d’America, e su questo devono costruire.
In secondo luogo, lo spogliatoio è rimasto unito anche durante il terremoto-Sterling, e la qualità di gioco che Los Angeles mette in campo è infinitamente maggiore rispetto a 12 mesi fa, e questi sono elementi sui quali porre l’accento quando si mette in archivio una stagione e ci si prepara per quella seguente; i Clippers hanno una direzione tecnica e uno spogliatoio unito sui quali lavorare.
La crescita tattica della squadra, i miglioramenti tecnici di alcuni giocatori (su tutti, Jordan e Griffin) sono stati strabilianti e danno la misura della bravura di Doc Rivers, ma anche della quantità di talento a disposizione dei Velieri di L.A.
Abbiamo inoltre menzionato Donald Sterling, e non si può sottovalutare l’impatto che le sue sconsiderate uscite hanno comportato in termine di consunzione emotiva dei giocatori.
Mentre attorno allo spogliatoio ribollivano le acque agitate dai media, Paul, Griffin e compagnia hanno continuato a giocare, eliminando un avversario tostissimo come i Golden State Warriors e poi dando battaglia contro OKC, segno che il gruppo c’è e si compatta nelle difficoltà.
Quest’estate, Doc Rivers dovrà tornare a lavorare sul nucleo storico, lasciando da parte le polemiche vorticose –complottismi che evidentemente non sono solo italiani– che stanno avvelenando i canali mediatici vicini alla squadra (e i fans) per concentrarsi su pregi e difetti di una franchigia pronta per grandi traguardi.
Il meccanismo dei Clippers non è perfetto, ma quando si tratta di fare un ultimo salto di qualità, occorre fare due ordini di considerazioni: tecniche (e approfondiremo in seguito le lacune del roster) e di cura dei dettagli.
Si ripartirà da DeAndre Jordan, diventato un’ancora difensiva (e non è sempre stato così), dal playmaking di Chris Paul e dalla dominanza di Blake Griffin, ormai stella assoluta (anche se un poco obliata) del firmamento NBA.
I Clippers hanno un roster completo e profondo, e che potrà essere perfezionato durante l’estate, con un occhio inevitabilmente rivolto alle novità che arriveranno sul movimentato fronte societario.
Quando tutta l’America ha sentito la viva voce di Donald Sterling apostrofare nei modi più beceri gli afroamericani, su di lui si è abbattuta una condanna così dura e unanime che ha addirittura spinto Adam Silver a pretendere la vendita forzata della franchigia pur di togliere il club dalle mani di un conclamato bigotto.
Può sembrare un comportamento ipocrita (e forse lo è, visto che nella realtà, il razzismo continua a serpeggiare negli USA come altrove) ma è certamente meglio della pacata rassegnazione con la quale l’opinione pubblica del vecchio continente continua a considerare normale che negli stadi si tirino banane a chi bianco non è.
Sterling sembra ormai essersi rassegnato a cedere la squadra con la mediazione della moglie, Shelly Sterling, e quindi pare tramontata l’ipotesi di una causa alla NBA che l’ottantenne proprietario della franchigia californiana aveva paventato.
Tirano un sospiro di sollievo gli altri 29 proprietari, che evitano così il pericoloso precedente di una vendita forzata, e anche gli stessi Clippers, che potranno conoscere una transizione se non altro più morbida tra l’improponibile Sterling e il nuovo gruppo di controllo, quale esso sia (da David Geffen a Magic Johnson passando per Patrick Soon-Shiong, Larry Ellison e Rick Caruso).
Silver, dal canto suo, ha pubblicamente dichiarato che “i Clippers sono la squadra di Donald Sterling, e la signora Sterling ne possiede la metà tramite un trust; la vendita spetta a loro, e conoscono il punto di vista della Lega al riguardo; decidessero di venderla con una tempistica ragionevole, preferirei che a gestire il processo fossero loro piuttosto che noi”.
In ogni caso, la vendita dei Clippers minaccia di frantumare qualunque record, se pensiamo che l’estate scorsa i Sacramento Kings furono pagati mezzo miliardo di dollari; nel caso dei Clips, stiamo parlando di una contender e per di più, ubicata nella seconda area metropolitana degli USA. Mark Cuban ha dichiarato di ritenere che la vendita dei Clippers frutterà a Sterling oltre il miliardo di dollari; qualcuno parla addirittura di due miliardi.
Si tratterà sicuramente di un procedimento lungo, sia per i costi astronomici dell’operazione, sia perché i gruppi di imprenditori che sostengono i vari Magic e Grant Hill si contenderanno la franchigia rialzo dopo rialzo. Nel frattempo, i Clippers dovranno affrontare un’off-season con la quale rafforzarsi in vista della prossima stagione.
Los Angeles detiene solamente una chiamata al draft, la numero 28, utile per un buon giocatore di complemento, quindi, se ci saranno innesti consistenti, arriveranno dalla free agency o dagli scambi.
I Clippers potranno usare la mid-level exception (5 milioni) e la bi-annual exception da 2 milioni, con un occhio al salary cap e soprattutto alla soglia della luxury tax, alla quale i Clips minacciano di avvicinarsi pericolosamente.
I principali nodi da sciogliere sono i contratti di Glen Davis, Danny Granger e Darren Collison, tre elementi che potrebbero avere abbastanza mercato altrove da ritenere conveniente declinare l’opzione per un altro anno nella città degli angeli.
Collison, in particolare, sembra essere in predicato di andarsene, vista l’intenzione di sondare la free agency, dove potrà quasi certamente lucrare un contratto triplo o quadruplo rispetto a quello che ha con Los Angeles, dove ha un rapporto privilegiato con l’amico Chris Paul ma relativamente poco spazio e forse anche poche chance di lucrare al massimo sulla stagione appena conclusa.
Granger e Davis sono due incognite, nel senso che potrebbero diventare oggetto d’interesse di squadre con soldi da spendere in un’estate che non promette troppi nomi caldi.
Nessuno dei due è per la verità un elemento cardine della squadra, se Granger ha chiuso i Playoffs tirando con un agghiacciante 27% dal campo e Davis non è stato determinante. Va detto che Big Baby deve ancora ricevere 6 milioni dal suo vecchio contratto con i Magic, quindi è possibile che accetti di giocare per cifre vicino al minimo per un’altra stagione in riva al Pacifico, un po’ come Hedo Turkoglu, che deve però recuperare dall’infortunio patito contro Golden State.
Dal punto di vista tecnico, i Clippers sono cresciuti immensamente sotto la guida di Doc Rivers, ma rimangono ovviamente una squadra perfettibile, popolata di giocatori dalle qualità diverse e compatibili, da Matt Barnes al fantastico Jamal Crawford, passando per Jared Dudley e JJ Redick.
Andrà sicuramente migliorata la percentuale sul tiro da tre, che ha collocato Los Angeles al ventiduesimo posto (35.2%) nella lega, e (DeAndre permettendo) anche sui tiri liberi, dove si collocano quint’ultimi, con un poco lusinghiero 73%.
I Clippers commettono inoltre 21.5 falli a partita (contro i 18.2 degli Spurs o dei Bobcats, il cui exploit difensivo è passato quasi inosservato) e anche in questo campo ci sarà da lavorare, ma sono un gruppo tutto sommato giovane, ed è lecito presumere che il loro gioco maturerà con la crescita di Blake Griffin e la definitiva maturazione di Chris Paul, che sta cercando di limare i propri difetti (primo su tutti, proprio quel perfezionismo che lo spinge ad eccellere ma talvolta diventa un limite).
Il lavoro fatto da Rivers nel 2013-14 è stato entusiasmante: ha messo ordine in un roster talentuoso ma confusionario, ha stabilito gerarchie affidando a tutti un ruolo preciso e, cosa ancor più difficile, ha lentamente dato un’impronta difensiva a una compagine a trazione offensiva.
I Clippers hanno chiuso la stagione con il miglior offensive rating della lega (109.4 punti segnati per 100 possessi, saliti a 109.7 nei Playoffs) concedendo 102.1 punti su 100 possessi (saliti ad un poco lusinghiero 108 nei P.O), che non è un dato stratosferico ma li posiziona ugualmente all’ottavo posto tra le squadre NBA (curiosamente, l’anno scorso il risultato fu migliore, con 101 punti su 100 possessi, ma era un contesto di basket completamente diverso).
Los Angeles è la quarta squadra per percentuale di canestri assistiti (62%). Davanti hanno solo Bulls, Hawks e Lakers, tre squadre che per trovare canestri devono contare sul collettivo e non sulle qualità individuali, mentre sono inseguiti dagli Spurs, la squadra che fa del movimento di palla il proprio mantra.
Aggiungiamoci che la proporzione assist/palle perse dei Clippers è la migliore della lega e che sono terzi per numero di assist per 100 possessi ed ecco delineato il livello d’eccellenza di un attacco che dispone di grandi capacità balistiche e soprattutto di tanti (e a volte insospettabili) passatori.
Non che sotto Del Negro i numeri fossero necessariamente peggiori, in fondo i suoi Clippers erano solo leggermente inferiori in tutte le categorie statistiche, ma proprio in questo sta la bravura di Doc, che ha saputo ottenere quel tanto in più cambiando la mentalità della squadra.
Le statistiche, edulcorate dal cambio di “pace” offensivo (passato da 93 possessi per 48 minuti a 98) possono essere solo leggermente migliori (o peggiori, ad esempio i Clips di Rivers prendono il 2% in meno di rimbalzi rispetto a quelli di Vinnie Del Negro), ma il modo in cui gioca la squadra testimonia una maggiore maturità cestistica.
Dove dovrà intervenire Doc Rivers? Analizzando i dati statistici dei Playoffs, è evidente che la difesa, pur migliorata, ha abbondanti margini di crescita, così come i rimbalzi: i Clippers hanno concesso agli avversari il 30% di rimbalzi d’attacco, riuscendo a catturarne solo il 26%.
Insomma, i Clippers concedono troppi secondi possessi e non ne lucrano a sufficienza ed è strano se pensiamo che hanno due uomini d’area fisicamente dominanti come Griffin e Jordan, un duo che vale 23.1 rimbalzi di media, ma che non sono aiutati a sufficienza dagli esterni. In questo senso, Crawford e Redick sono due non-fattori (sono viceversa preziosissimi sul versante offensivo), ma anche le ali piccole lasciano abbastanza a desiderare.
Tra i dieci quintetti con più minuti in stagione, quello con Willie Green, Jared Dudley, Chris Paul, Blake Griffin e DeAndre Jordan è stato il migliore per percentuale di rimbalzi difensivi, oltre che il migliore per defensive rating (uno stellare 96.7).
Sempre prendendo in considerazione i 10 quintetti più usati, è interessante notare che Jared Dudley è presente anche nel quintetto con il maggior numero di canestri assistiti; a Phoenix si era imposto all’attenzione degli addetti ai lavori come un role player duttile e intelligente e si pensava che ai Clippers avrebbe trovato spazio, ma i suoi numeri a rimbalzo (2.2 di media per il 5% di rimbalzi catturati), uniti ad uno slump sul tiro da tre, non gli hanno lasciato scampo in una squadra che in quel reparto è già fin troppo fragile, scivolando così dietro a Matt Barnes, che prende il 9.3% dei rimbalzi; cifre non eccezionali, ma sicuramente migliori di quelle inaccettabili di Dudley.
Dovessero decidere di acquisire un nuovo giocatore dalla free agency, i Clippers potrebbero puntare ad un’ala dotata di tiro e rimbalzo, come CJ Miles o Trevor Ariza.
Dovessero accontentarsi della mid-level (o di un sign-and-trade), sono entrambi giocatori che potrebbero aiutare i Clippers in quel salto di qualità utile per affrontare senza timori le corazzate dell’ovest, ma la vera voragine nel roster dei Clippers riguarda i big men, ruolo dove Hollins e Mullens hanno fallito e nel quale Davis può essere una risposta solo parziale.
Allo stesso modo, Los Angeles potrebbe trovarsi priva di un play di riserva, motivo per il quale è facile supporre che le eccezioni al cap verranno impiegate per procurarsi un playmaker e un lungo di riserva.
Chissà che una prima risposta ai problemi che da anni accompagnano lo spot di small forward dei Clippers non sia il ventitreenne Reggie Bullock, proveniente da North Carolina, che ha giocato meno di tutti i compagni di squadra, schiacciato da Dudley, Barnes e poi anche da Turkoglu e Granger.
I Clippers cercavano in lui uno specialista delle triple e della difesa, e hanno deciso di svilupparlo senza fretta. Posto che i suoi numeri appartengono al garbage time e quindi sono poco indicativi, il suo rilascio della palla è ottimo e difensivamente ha mostrato sia cose buone che cattive. Bullock è sicuramente un osservato speciale del coaching staff; dovesse impressionare nella Summer League di Las Vegas, potrebbe anche guardagnarsi la rotazione.
Insomma, le priorità sono rimbalzi e difesa, e oltre ad eventuali interventi di mercato, sarà importante la crescita dei giocatori, oltre alla conferma di una certezza come DeAndre Jordan, che con tutti i suoi limiti offensivi, è diventato un’àncora difensiva capace di stoppare, prendere rimbalzi e pattugliare il verniciato.
Jordan riesce spesso a coprire anche i passaggi a vuoto di Blake Griffin, ma se i Clippers vogliono fare il definitivo salto di qualità, l’ala nativa dell’Oklahoma dovrà per forza diventare un difensore più continuo. È vero che, come lui stesso ha sottolineato, gli viene spesso assegnata la marcatura del lungo più forte, ma questo avviene per consentire a Jordan di lavorare in aiuto.
Inoltre, è singolare che un atleta del calibro di Blake stoppi così poco: in carriera non è mai arrivato a dare una stoppata di media in stagione, e, sebbene la stoppata non sia certo un indice infallibile di abilità difensiva, è chiaro che da un lungo si può pretendere di più che 0.5 stoppate per gara.
Detto degli aspetti negativi, non si può tacere che oggi molta parte del gioco di Los Angeles passi per le mani di Blake, convertitosi ormai in un lungo dotato di movimenti di post (che potrebbe usare di più) e di doti da passatore rare da trovare in un giocatore con quel fisico, oltre che di un tiratore molto più pericoloso di quanto non fosse due anni fa. Può ancora rifinire il suo gioco offensivo, ma è in difesa che ha i maggiori margini di crescita.
A dividere con lui il ruolo di leader e stella della squadra, c’è Chris Paul, che ha dato il solito apporto fatto di carisma, doti da playmaker e realizzatore.
Accanto a loro, è emerso uno straordinario Jamal Crawford, che si è ritagliato un ruolo da “microwave”, attingendo a piene mani dal suo capiente cilindro e coronando la stagione con il premio di Sesto Uomo dell’Anno e chiudendo la Regular Season con 18.6 punti di media, segnati in modo uniforme da ogni zona del campo.
Rimbalzi, stoppate, la conferma di Collison e la ricerca di un terzo lungo affidabile; forti di un nucleo composto da Paul, Griffin, Jordan, Crawford e Redick, sono queste sono le chiavi con le quali valutare la lunga estate calda dei Clippers, e le loro chance di presentarsi al training camp 2014 in prima fila per la conquista del Larry O’Brian Trophy!
Seguo la NBA dal lontano 1997, quando rimasi stregato dalla narrazione di Tranquillo & Buffa, e poi dall’ASB di Limardi e Gotta.
Una volta mi chiesero: “Ma come fai a saperne così tante?” Un amico rispose per me: “Se le inventa”.