È una calda serata nella splendida Miami, ma dentro l’American Airlines Arena la temperatura è altissima non certo a causa del clima tropicale di South Beach. Alla Triple A va in scena il terzo atto della finale della Eastern Conference, l’ennesimo capitolo di una rivalità in continuo divenire e che sta segnando la storia recente del basket sulla costa Est degli Usa.
Miami ha espugnato la Fieldhouse di Indianapolis e ha di fronte a se la prima chance di prendere il comando della serie; i piani degli ospiti saranno giocoforza differenti, e non potrebbe essere altrimenti vista anche la striscia aperta di cinque vittorie consecutive in trasferta nella attuale postseason. Numeri di alto profilo, statistiche che scomodano paragoni con squadre che hanno visto culminare la loro corsa con un anello a fregiare le mani dei vari protagonisti.
Paul George è abile e arruolato, nonostante il trauma cranico che minacciava di tenerlo ai box; per gli Heat si vede in panchina addirittura Greg Oden, che può già considerarsi in una posizione privilegiata pensando allo status da quasi ex giocatore che lo ha accompagnato negli ultimi quattro anni.
Si parte, e anche stavolta il rombo del motore dei Pacers si leva subito altissimo: George sembra lucido e ispirato, l’attacco è paziente ed efficace e sfrutta subito la supremazia di Hibbert e West, che banchettano al cospetto di una Miami irriconoscibile che in un attimo si trova già a dover inseguire sul punteggio di 17-4.
Gli Heat faticano tremendamente su entrambi i lati del campo, col quintetto piccolo (che vede Battier agire da 4 e Andersen da 5 al posto di un abulico Bosh) disegnato da coach Spoelstra che va in tilt contro i lunghi ospiti. Per l’ennesima volta tocca alla panchina dei bianchi di casa arrivare alla riscossa per salvare capra e cavoli: Battier segna da tre dopo aver crepato il tabellone con un mattone dalla lunga distanza, Cole manda fuori giri Watson (doppio tecnico per entrambi ma fallo in attacco commesso dal frustrato numero 32 ospite), Andersen è una dinamo che sprizza energia su tutti e 28 i metri di campo e James prende finalmente ritmo dopo un primo quarto a dir poco in sordina giocato dai Big3 di South Beach.
Nel frattempo George è costretto a sedersi in panchina dopo aver commesso il secondo fallo personale, un fischio che premia oltremodo il movimento offensivo di James; LeBron chiude col jab step un primo quarto che vede Indiana avanti 21-14, ma nel quale gli Heat si possono considerare più che fortunati a essere sopravvissuti dopo un avvio a dir poco disastroso.
Spoelstra prova a cambiare le rotazioni, lasciando in campo James nei primi minuti del secondo periodo e tenendo invece in panchina Wade e Bosh, ribaltando le consuetudini di casa Heat. Il duo di Miami torna poco dopo sul parquet, combinando offensivamente per una tripla di CB1 imbeccato dalla penetrazione di Flash; Bosh però è un buco nero in difesa, accoppiato con uno Scola che esce finalmente dall’anonimato delle prime due gare regalando un break di classe pura col quale si erge ad assoluto protagonista.
L’argentino segna 8 punti in fila, alternando sapientemente pick and roll e gioco in post e andando anche a segno con un long two da distanza davvero considerevole. Bosh è inerme, a conti fatti deleterio per i suoi: Mahinmi lo cancella al ferro con una grande stoppata, Stephenson lo beffa a rimbalzo e lo costringe al terzo fallo personale che vale il gioco da tre punti per Born Ready.
L’inerzia è tutta dalla parte di Indy, che assesta un colpo potenzialmente già mortale: Stephenson è costretto a tirare quasi da metà campo per salvare il possesso, e la sua conclusione riesce nell’intento di colpire il ferro; Mahinmi salva il rimbalzo offensivo e i Pacers pescano Butler, che dall’angolo si alza per la tripla del 37-22 in favore degli ospiti. Miami perde il decimo pallone della sua serata, ma inaspettatamente la mossa in apparenza disperata di coach Spoelstra inizia a pagare dividendi enormi: il coach di casa, viste le difficoltà e i problemi di falli di Bosh, punta su Rashard Lewis e di conseguenza con un quintetto mai così piccolo (con l’ex Orlando da ala forte e Haslem nel ruolo di centro).
L’allenatore di origine filippina mette a segno il colpo gobbo della serata, perché l’azzardo paga eccome e dà il là a un break di Miami Heat basketball alla massima potenza: la difesa sale clamorosamente di colpi, con blitz letali sulle linee di passaggio e l’intensità che l’ha resa uno dei marchi di fabbrica degli uomini di South Beach.
Indiana sparisce letteralmente in attacco, con George e Hill che commettono il terzo fallo personale e devono abbandonare anzitempo il palcoscenico del primo tempo; i lunghi ospiti non trovano più spazio, mentre i palloni rubati e la brillantezza del quintetto bonsai permettono agli Heat di diventare letali attaccando in transizione. Indy resta quattro minuti senza segnare, Miami piazza un break di 16-5 nella seconda metà del quarto che vede James toccare quota 10 punti e Wade che si accende giusto nei possessi finali. Indiana è avanti 42-38 a metà gara, ma gli Heat hanno compiuto una vera e propria impresa riemergendo dal baratro e accorciando sugli attoniti avversari.
Sarà un secondo tempo tutto da gustare, con entrambe le squadre che giocheranno con la spada di Damocle rappresentata dai problemi di falli (tre a testa per le coppie Bosh-Haslem e Hill-George).
Indiana sembra non scomporsi più di tanto in avvio di ripresa, riallacciando come se nulla fosse il filo bruscamente interrotto a metà del secondo quarto: coach Vogel coinvolge subito Hibbert in attacco, col lungo di origini giamaicane che riceve e chiude nei pressi del canestro in due possessi consecutivi. L’attacco ospite torna a girare forte, e Hill riporta i suoi sul +7; Miami deve affidarsi all’ottima luna di Wade, che si è scaldato in chiusura di primo tempo e in questo avvio di ripresa gioca praticamente da solo in attacco, trovando le soluzioni che permettono ai suoi di rimanere a contatto.
Indiana perde il suo regista, perché Hill è ben presto costretto a sedersi in panchina per un quarto fallo che poteva anche essere fischiato contro la difesa di casa: nel frattempo Spoelstra fa un pensiero stupendo di colpaccio-bis, e sguinzaglia nuovamente Lewis sfruttando a proprio vantaggio il quarto fallo commesso da Bosh. Il risultato è una fotocopia del bagno di sangue (per Indiana, of course) visto nella seconda metà del quarto precedente: Miami confeziona un parziale di 8-0 che le regala il primo vantaggio della serata, grazie alla ormai ben nota trama composta di una difesa che ingabbia le iniziative di Stephenson e compagni e permette ai bulldozer degli Heat di travolgere tutto e tutti in contropiede.
George porta a casa un paio di fischi, uno dei quali generoso ai danni di James che però è il giusto contrappasso di una identica chiamata arrivata a parti invertite nel primo tempo e l’altro che costa il quarto fallo personale a Haslem. James la prende sul personale e decide di mettere la museruola a chiunque passi dalle sue parti, costringendo anche George a spendere il quarto personale e mettendosi in ritmo dalla lunetta. Indiana ci prova grazie alle iniziative di una panchina insolitamente produttiva, che trova Watson e Butler in serata da big shot coi piedi oltre l’arco; ma il fuoco ospite si spegne a stretto giro di posta, perché Lewis si scopre difensore d’élite nel togliere ogni opzione a West prima e andando a stoppare clamorosamente Hibbert poi.
Il tutto mentre LeBron completa lo show personale di un terzo quarto da 12 punti prima di un rapido check-up in spogliatoio per problemi di crampi; ci pensa Wade a farne le veci nel miglior modo possibile, andando a segno con la tripla dal palleggio che quasi allo scadere che vale il 71-64 Miami a dodici minuti dal termine.
Gli Heat azzannano la partita trascinati da un James strepitoso, che più che per i 12 punti realizzati sale alla ribalta grazie a una difesa feroce, fatta di break individuali che rendono la impervia la via del canestro agli inermi ospiti. Spoelstra ha azzeccato ancora la carta Lewis, ripagato da una prestazione inaspettata del suo numero 9 che ha scombinato i piani dei Pacers, alle prese anche col grattacapo non da poco dei quattro falli a carico di George e Hill.
Nel frattempo, un Ray Allen quasi invisibile si è fatto notare con tre liberi a bersaglio dopo un fallo di Butler; tenete buono il nome del 34 di casa, perché ne sentiremo parlare negli ultimi dodici minuti di partita.
Wade apre il quarto periodo con un’altra bomba dal palleggio e l’espressione di chi sembra voler dire: “Ragazzi, pensavate mica che mi fossi scordato come si fa coi piedi dietro l’arco?”. Il vantaggio degli Heat tocca la doppia cifra per la prima volta nella serie, ma Indiana trova un Paul George deciso a riscattare tre quarti di gara a margini della scena: il 24 ospite si carica in spalla i suoi, e con classe e malizia inusuale per un giocatore soltanto al quarto anno di militanza nella lega segna 10 punti nei primi minuti del quarto periodo riportando inaspettatamente i suoi a sole due lunghezze di distanza.
76-74 Heat con otto e trenta sul cronometro: è adesso che il gioco si fa duro, e capiremo chi saranno i duri che iniziano a giocare. Sul primo nome della lista i dubbi sono tendenzialmente ben pochi: Ray Allen, dopo due gare passate a studiare lo strano accoppiamento con West nel quarto periodo, decide che è arrivata l’ora di punire l’audacia con la quale i Pacers hanno scelto di far marcare il miglior tiratore della storia da un’ala grande.
Allen segna dall’angolo, imitato immediatamente da Watson che spara tirando fuori il coniglio dal cilindro dopo un pessimo attacco. Miami però sta per rompere l’argine, accompagnata dal ruggito di una Triple A che chiede la testa del nemico; gli Heat guadagnano il +6 col reverse mancino di Cole e un tap-in scorbutico di James, e solo un canestro di orgoglio e quasi disperazione di George e un insolito errore di Allen dalla lunetta tengono ancora accesa la fiammella delle speranze ospiti.
Basterebbero due dita per spegnere la flebile candela gialloblù, ma gli Heat vogliono far le cose a regola d’arte e si armano di idrante per spazzare definitivamente via gli ospiti. La firma è ancora sua, l’ineluttabile Allen che ogni volta che si alza dall’arco fa sanguinare il cuore di ogni tifoso dei Celtics e muove senza possibilità di appello la retina: He Got Game va alla giugulare della partita come un ghepardo che agguanta la gazzella dopo averla a lungo inseguita, e con due triple consecutive scuote le fondamenta del palazzetto e regala il +11 ai suoi.
Indy prova a non arrendersi a un destino ormai segnato, e la difesa di casa ci tiene a ribadire il concetto aumentando ancor di più il volume e propiziando il break che chiude la gara. James segna in step back, prima di armare ancora la mano di Jesus Shuttlesworth, che anche stasera conferma di essere quanto di più vicino possibile al divino si possa ammirare su un campo di pallacanestro: altra tripla di Sugar Ray, altra scossa tellurica a South Beach e LeBron in delirio per quello che è a tutti gli effetti il colpo del K.O. per i Pacers.
Finisce 99-87 per gli Heat, che dopo essere stati con la schiena a terra e le mani quasi legate ribaltano clamorosamente la situazione con una prestazione travolgente che lancia un chiaro messaggio alla serie.
Miami porta a casa il punto del 2-1, spezzando la striscia di vittorie esterne consecutive dei Pacers e risorgendo dalla morte apparente della quale era rimasta vittima nella prima parte di gara. Lo fa grazie a due fuoriclasse assoluti, che continuano a scrivere pagine di storia: LeBron James e Dwyane Wade segnano praticamente la metà dei punti degli Heat, scrivendone rispettivamente 26 (9/14 dal campo con 7 assist, 5 rimbalzi e 4 rubate che compensano le 6 palle perse) e 23 (9/16, 4 rimbalzi e altrettanti assist arricchiti da 3 rubate).
LeBron aggiunge una ferocia difensiva senza eguali, Wade una freschezza niente male per uno che dovrebbe avere le ginocchia a pezzi (sesta partita sopra i 20 punti in questi playoff). Bosh delude ed è per larghi tratti deleterio (9 punti con 4/12 al tiro e appena 23 minuti giocati a causa dei cinque falli commessi) ma gli va comunque dato atto di essere stato del match al momento dell’allungo decisivo nel finale.
Ancora una volta il segreto, ormai di Pulcinella, degli Heat è racchiuso nella loro formidabile panchina guidata stanotte da un monumentale Ray Allen, che con 16 punti (arrivati tutti negli ultimi quindici minuti di gara e frutto di un micidiale 4 su 4 da tre) ha stroncato la resistenza dei Pacers e portato i suoi al successo. Nota di merito per un Cole ancora una volta protagonista (9 punti e giocate da role player navigato su entrambi i lati del campo) e per la proverbiale energia di Andersen (7 rimbalzi), senza dimenticare l’uomo che non ti aspetti: leggendo lo score di Lewis (virgolona impreziosita da una stoppata, ma che stoppata…) ci si potrebbe chiedere il perché dei suoi 17 minuti giocati.
L’ex Magic è stato invece una delle chiavi della serata, perché con le sue insospettate qualità difensive ha permesso agli Heat di mettere a segno i break della maxi rimonta e del sorpasso. E qui entrano in gioco i meriti di un Erik Spoelstra a cui va reso onore per l’ennesima gestione di gara illuminata: il coach degli Heat non sta sbagliando un colpo, ed è così ormai da tre stagioni a questa parte. Il suo lavoro è oscurato (e ovviamente anche sublimato) dall’enorme talento dei suoi, che però sanno che su quella panchina siede un generale coi fiocchi, sul quale possono sempre contare.
Che dire dei Pacers, se non che se i quarti fossero durati la metà saremmo qui a parlare della loro sesta vittoria di fila in trasferta. Indiana ha rasentato la perfezione nella prima parte del primo, del secondo e in parte anche del terzo periodo, facendo bere gli Heat dall’idrante e costruendo la beata illusione di riprendere il comando della serie.
Indy però ha subito la rabbiosa rimonta degli Heat, malgrado un quintetto produttivo e una panchina finalmente all’altezza del compito. I problemi di falli non hanno impedito a George di chiudere da top scorer dei suoi, con 17 punti (11 dei quali in un orgoglioso quarto periodo), con un 6/10 dalla lunetta che però grida vendetta; Hibbert (16 punti ma 2 soli rimbalzi) ha iniziato alla grandissima per poi spegnersi come una candela, penalizzato da un attacco completamente in balìa della difesa avversaria e incapace di innescarlo a dovere.
West ha chiuso a quota 13, perdendosi però nei meandri di una ripresa che lo ha visto vittima sacrificale dei diabolici aggiustamenti del coach avversario, mentre Stephenson si è profuso in un’altra prova all-around (10 punti, 11 rimbalzi, 5 assist e 3 recuperi) ma è apparso stremato a fine gara (non un bel segnale per chi si era affidato il compito di “far esplodere le ginocchia” di Wade). Hill ha pagato i problemi di falli, Scola e Butler (rispettivamente autori di 8 e 6 punti) hanno avuto un paio di fiammate dalla panchina, mentre Watson ha recitato il compitino nei 27 minuti giocati.
54% dal campo, 56% da tre: se gli Heat fanno pari e patta a rimbalzo e in vernice e banchettano in contropiede (15 punti a 6) non può esserci storia. Vero, Indiana ha toccato con mano un +15 che profumava di successo, ma Miami ha mostrato ancora una volta di essere Squadra (con la maiuscola), specialmente una volta messa con le spalle al muro. Adesso sul ponte di comando ci sono quelli di South Beach, forti del 2-1 e del controllo sulla serie; l’impressione è che, per questi Pacers, sarà davvero dura spodestarli e riconquistare l’inerzia del confronto.
Studente in giurisprudenza, amo ogni genere di sport e il suo lato più romantico. Seguace di Federico Buffa, l’Avvocato per eccellenza, perché se non vi piacciono le finali NBA non voglio nemmeno conoscervi.
“Ricordati di osare sempre”.