Volete sapere come si fa a rivoluzionare a tempo di record una franchigia NBA? Chiedete ai Nets, che in meno di 5 anni hanno cambiato tutto.
Un nuovo proprietario, il magnate russo Mikhail Prokhorov, che tra il 2009 e il 2010 ha rilevato l’80% della società.
Una nuova casa, il Barclays Center di Brooklyn, con conseguente re-location (di qualche miglio) e cambio di sede della franchigia ospitata in New Jersey fino al 2012.
Un nuovo roster, rinnovato da cima a fondo nel giro di 4 anni (l’unico “sopravvissuto” della stagione 2009-2010 è Brook Lopez).
Un nuovo staff, sia in ufficio (dal 2010 il Front Office è nelle mani di Billy King, ex-GM dei 76ers) che in panchina, dove a dire il vero i cambi sono stati più numerosi: da Lawrence Frank a P.J. Carlesimo, passando per Kiki Vandeweghe ed Avery Johnson, fino ad arrivare all’attuale Head Coach Jason Kidd, che ancora detiene qualche record di franchigia dei Nets (triple realizzate e tentate, rubate totali, assist a partita e totali) e che ha assunto la guida di Brooklyn poche settimane dopo aver appeso le sneakers al chiodo.
Ed infine, dall’estate 2013 anche nuove aspettative e nuovi obiettivi, frutto di una “blockbuster trade” che ha portato in maglia nera due veterani del calibro di Paul Pierce e Kevin Garnett, insieme a Jason Terry e in cambio di Keith Bogans, MarShon Brooks, Kris Humphries, Kris Joseph, Gerald Wallace e svariate draft picks future, senza dimenticare l’approdo via Free Agency di un altro “vecchietto” di sicuro affidamento come Andrei Kirilenko (che ha rifiutato un contratto da quasi 10 milioni l’anno offerti da altri per poi accettare i 3 milioni e spiccioli proposti dal connazionale Prokhorov, misteri della propaganda russa).
Nessuna scaramanzia in casa Nets: “Abbiamo due stagioni per vincere il titolo, ovvero i due anni che rimangono sul contratto di Garnett. Pierce ha solo un altro anno di contratto, ma ha la forza per continuare a giocare” ha dichiarato il GM King alla vigilia della stagione 2013-2014.
Insomma, chiaro messaggio ai naviganti: nessun progetto a lunga scadenza, nessun percorso di crescita da dover intraprendere, nessun tempo di attesa. Si va per il titolo, da subito.
Ambizioni suffragate da diversi addetti ai lavori subito dopo la trade con Boston, convinti che i due ex-Celtics potessero trasformare la franchigia newyorkese in una “instant contender”, e del resto era difficile dar loro torto considerando che un quintetto del livello di Deron Williams / Joe Johnson / Paul Pierce / Kevin Garnett / Brook Lopez aveva (ed ha tuttora) ben pochi rivali nell’intera lega, almeno sulla carta.
Già, sulla carta, perché la prima parte di stagione ha invece mostrato ancora una volta come sia il campo l’ultimo giudice delle ambizioni di una squadra: 10 sconfitte nelle prime 13 uscite, poi diventate 21 nelle 31 partite giocate prima di capodanno.
“Siamo frustrati. Frustrati ed imbarazzati. Non so che altro dire, è dura” confessava Andray Blatche dopo una delle tante sconfitte di inizio stagione.
Difficile trovare il motivo principale di questa iniziale debacle, forse perché quando le cose vanno così male le cause sono molteplici: qualche problema di chemistry per una squadra profondamente rinnovata in estate, l’inesperienza di un coach non ancora pronto a gestire una (presunta) squadra da titolo, la fatica a convivere con la pressione derivante dall’essere diventati una contender da un giorno all’altro.
A peggiorare il tutto la mazzata psicologica dell’assenza prolungata di Brook Lopez, infortunatosi il 20 dicembre durante l’OverTime di una partita poi persa in casa dei 76ers (ebbene sì, ne hanno persa una anche contro Phila), e fuori per il resto della stagione con una frattura al piede.
Il sogno di competere per il titolo sembrava infranto ben prima di metà stagione, ma nel 2014 Brooklyn ha inaspettatamente cambiato marcia: 10 vittorie su 11 per iniziare l’anno, record riportato in parità ad inizio marzo e “run” finale utile a garantire un record conclusivo di 44-38 e una qualificazione ai Playoffs da sesto Seed (sfruttando a dirla tutta lo scarso livello competitivo della Eastern Conference, considerando che Phoenix è rimasta fuori dalle prime 8 dell’Ovest nonostante 48 vittorie).
Una rinascita figlia innanzitutto di un ottimo adattamento delle rotazioni all’assenza di Lopez, a partire dal più che discreto rendimento del centro di scorta Mason Plumlee (22^ Pick dello scorso Draft) e passando per l’aumentata efficienza sia difensiva che offensiva di ogni membro del quintetto titolare, oltre ad un Jason Kidd apparso più convincente nella gestione dei minutaggi e senza infine sottovalutare la trade che a febbraio ha portato in maglia nera Marcus Thornton (entrato in rotazione fin da subito, 23 minuti a serata per circa 12 punti di media).
Nel primo turno dei Playoffs i Nets si sono trovati di fronte i Raptors, squadra giovane, dinamica e dal gioco “frizzante”, dando vita ad una delle serie più emozionanti della Post-Season: dopo 5 partite tiratissime i canadesi conducevano 3-2, ma i veterani di Brooklyn hanno tirato fuori gli artigli ed hanno conquistato la qualificazione vincendo Gara-6 in casa e la decisiva Gara-7 a Toronto, grazie ad una stoppata a tempo quasi scaduto di Pierce su Lowry che ha suggellato la vittoria per 104-103, nonostante il fattore campo a sfavore (per quanto possa contare il tifo di Brooklyn, tanto che durante la serie con i canadesi le “Brooklynettes”, il corpo di ballo della squadra newyorkese, ha pubblicamente polemizzato con il pubblico pagante del Barclays Center, reo di essere troppo freddo e di non supportare adeguatamente la squadra).
Ad attendere i Nets nelle semi-finali di Conference c’erano i campioni in carica di Miami, vero banco di prova per una squadra con l’ambizione di arrivare alle Finals: ma nonostante i precedenti favorevoli in Regular Season (4-0 per Brooklyn negli scontri diretti, anche se con 3 partite vinte di 1 punto), la squadra di Kidd si è letteralmente sciolta nel momento cruciale, perdendo la serie con un perentorio 1-4 che lascia pochi dubbi sulla supremazia di LeBron e compagni.
E mentre gli Heat si giocano il titolo della Eastern contro Indiana, a New York è tempo di bilanci: Prokhorov sembra aver digerito l’eliminazione senza troppi patemi d’animo, tanto che subito dopo la fine della serie ha ringraziato tramite un comunicato ufficiale la squadra per gli sforzi di questa stagione, promettendo ai tifosi di ripartire l’anno prossimo da dove la squadra ha lasciato quest’anno.
Ma nonostante l’ottimismo del presidente, è difficile vedere il bicchiere mezzo pieno dopo aver costruito una squadra per vincere a brevissimo termine, spendendo tra l’altra una vagonata di dollari per i salari (il roster 2013-2014 è dati alla mano la squadra più costosa di sempre in NBA), per poi invece uscire sconfitti così pesantemente contro una vera contender che ha evidenziato quanto ancora i Nets siano lontani dai livelli dei top-team.
D’altra parte l’infortunio di Lopez, nonostante la squadra abbia paradossalmente trovato una quadratura migliore proprio in sua assenza, non può essere ignorata quando si cerca di dare un giudizio alla stagione di Brooklyn: vista l’ormai cronica difficoltà di Miami nel difendere contro i lunghi, è quantomeno ipotizzabile che con lui in campo i Nets si sarebbero giocati meglio le loro chances.
Ma più che rimpiangere quello che sarebbe potuto essere, i Nets ora devono pensare a quella che sarà, visto che i dubbi sul futuro di alcuni membri del roster non sono pochi.
La scorsa estate, come intuibile anche dalle parole di King riportate in precedenza, l’intenzione era quella di costruire un roster in grado di fare almeno due “Title Runs” prima che i contratti e l’età media dei giocatori rendessero il compito impossibile.
Ma, archiviato il primo tentativo, le prospettive per la prossima stagione si fanno tetre: il 37enne Garnett ha appena terminato la peggior stagione della sua carriera (statisticamente parlando), e le voci di un suo possibile ritiro anticipato aleggiano come fantasmi sopra il Barclays Center, nonostante gli rimanga ancora un anno di contratto.
Paul Pierce è invece giunto alla scadenza del suo contratto, ma ha dichiarato di voler continuare ancora per un paio d’anni: il problema è che, a precisa domanda, ha sorvolato con eleganza sull’ipotesi di rimanere a New York.
Deron Williams ha invece ancora 3 anni di contratto garantito, ma ha fatto sapere che sta considerando l’ipotesi di operarsi ad entrambe le caviglie per risolvere alcuni problemi cronici che si porta dietro da tempo, e considerando che compirà 30 anni tra qualche giorno l’ipotesi di una trade non appare così azzardata secondo molti addetti ai lavori, soprattutto nel caso in cui i Nets dovessero avviare un nuovo progetto più a lungo termine.
Infine Brook Lopez, che sta ancora recuperando dall’infortunio, è una vera incognita: qualche catastrofista aveva anche ventilato l’ipotesi di un suo ritiro anticipato a causa del problema al piede, ma lui ha sempre dichiarato di voler tornare a giocare, anche se solo il campo potrà dire se un infortunio di questo tipo possa essere lasciato alle spalle senza conseguenze sul futuro.
Insomma, sia per la dirigenza newyorkese che per alcuni giocatori è tempo di prendere decisioni importanti, che potrebbero cambiare radicalmente le prospettive per la prossima stagione dei Nets.
Se tutti i pezzi del puzzle dovessero andare al loro posto allora Brooklyn potrebbe effettivamente tentare un ultimo assalto al titolo prima che sia troppo tardi, ma gli incastri sono sottilissimi e il rischio di forzare troppo la mano è dietro l’angolo: in ogni caso, come sempre, sarà poi il campo a parlare.
Cresciuto a pane e calcio, nei primi anni 2000 inizia a seguire il basket NBA e nel 2005-06 si innamora del “7 Seconds or Less” dei Suns di D’Antoni: tifoso Phoenix da allora, nutre un’infinita ammirazione per Steve Nash.