Quando sembra essersi ristabilito il normale ordine delle cose, ecco i Pacers che non ti aspetti. O meglio, Indiana ci ha abituato nell’arco della stagione alla sua ormai conclamata doppia natura: un principio di stagione folgorante, seguito da un calo netto e vertiginoso.
Nell’ultima settimana di playoff tuttavia la banda di Vogel ha portato all’estremo questo concetto. Nelle partite di Washington si era rivista tutta la durezza e la crudeltà di cui la difesa dei Pacers è capace, insieme con una buona produzione offensiva, omaggio di un’accoppiata di cavalli di razza, George & Hibbert, in grado di mettere i punti necessari e sufficienti a referto.
Tornati a Indianapolis si sono improvvisamente sgonfiati ed hanno finito per essere schiacciati sotto i colpi di Washington, dead team walking con più nulla da perdere. Alla sirena il punteggio ha detto 102-79 Wizards, con i capitolini anche sul +30 nell’ultimo quarto, divario che di per sé non ammette repliche.
Può darsi che Stephenson e compagni fossero stanchi dopo la battaglia di gara 4, una sfida in cui lo sforzo profuso per ricucire il gap che si era venuto a creare è risultato davvero considerevole. Di certo c’è che questi Pacers non si possono permettere dei cali di tensione. Non possono in nessun caso togliere le mani dal manubrio, troppo poco è il talento a disposizione.
Detto in parole povere: non sono così forti da giustificare un atteggiamento così altalenante, come quello visto in questi playoff. Utilizzando un adagio fin troppo abusato nel basket a stelle e strisce, fra le molte doti possedute non c’è quella di accendere e spengere a proprio piacimento. Se non spendono ogni singola goccia del proprio sudore sul parquet, se non escono esausti dall’Arena, se non si spingono continuativamente fino al limite delle loro possibilità, a volte cadono. E quando cadono lo fanno piuttosto rumorosamente. L’eco che si produce si diffonde in tutto il paese.
Queste peculiarità – va da sé – non rientrano propriamente fra le caratteristiche che si addicono ad ogni buona Contender che si rispetti. L’ultima squadra ad aver vinto il titolo contando nel percorso verso la gloria una perdita di tal fatta sono i Los Angeles Lakers del 2000, che persero gara 2 allo Staples per 106-77 contro i Portland Trail Blazers.
Siccome la storia è beffarda, anche gli altri finalisti nell’anno del giubileo – i Pacers di Reginald Wayne Miller e Jalen Rose – avevano collezionato una simile disfatta. A onor del vero, nell’anno di grazia 2014, anche i luccicanti Spurs di questi tempi hanno perso in casa con Dallas per 113-92. Provate a dire a Popovich che la sua squadra non è da titolo. Nel migliore dei casi non vi risponderebbe. E farebbe bene perché se c’è una squadra da titolo in questa post season, quella è senza dubbio San Antonio. Quindi per Indiana non tutto è perduto.
Parliamo invece degli avversari, perché per fortuna spesso e volentieri in questo gioco la sorte che spetta ad una squadra dipende dalla prestazione di cui si rende protagonista chi ha di fronte. E di fronte questa volta c’era un Marcin Gortat in formato Wilt The Stilt.
Il centro dei Wizards ha pareggiato il suo career-high di 31 punti. Non sazio, l’ha poi condito con 16 rimbalzi e 13-15 dal campo, secondo Elias la percentuale migliore della storia dei playoff di un giocatore con almeno 30+15.
La sua voracità sotto le plance è ben sintetizzata dal fatto che nel momento in cui è uscito nell’ultimo quarto aveva più rimbalzi degli interi Indiana Pacers (16-15). Probabilmente una volta informato del fatto che, perdendo questa, sarebbero stati costretti a smontare baracca e burattini e tornarsene a casa, Gortat non ne ha proprio voluto sapere di raggiungere la natia Polonia: forse è contrario all’adozione dell’Euro (argomento di attualità in questi giorni).
Parlando seriamente, il dato dei rimbalzi di gara 5 fa accapponare la pelle: 62-23 per Washington. Non credo ci sia bisogno di ulteriori commenti. Persino il terzo quarto, terreno di conquista dei Pacers finora (+42 nelle prime 4 gare), ha visto gli ospiti dare lo strappo decisivo alla partita con un parziale di 31-14. In questo periodo John Wall, il grande accusato dell’ultima partita del Verizon Center, ha segnato 17 dei suoi 27 punti finali.
Il suo jumper non ha mai trovato opposizione lungo tutti i 48 minuti di gioco. La point guard da Kentucky è stata semplicemente devastante. Con i suoi canestri e la sua elettricità ha infiammato i compagni e bruciato gli avversari.
La partita della Bankers Life Fieldhouse è durata poco: fatta eccezione per il breve ritorno dei Pacers all’inizio del secondo quarto, Washington ha fatto andatura di testa per tutta la contesa. Nell’arco dell’intero secondo tempo la vittoria dei ragazzi di Wittman non è praticamente mai stata in discussione.
Paul George è tornato sulla terra, dopo il breve viaggio sulla luna di gara 4. Nella testa di Hibbert sono tornati a circolare gli scomodi fantasmi dei mesi addietro. L’ultimo ad arrendersi è stato West, il veterano, autore comunque di 17 punti con 6 rimbalzi.
Al contrario di quello che in tanti si aspettavano, la serie torna a Washington sul punteggio di 3-2. Il compito resta assai arduo per i Wizards, costretti a vincerne altre due in fila, per di più la prima fra le mura amiche, dove in questa serie si va tendenzialmente male (vale per entrambe le squadre).
Il pronostico per gara 6, giovedì notte al Verizon Center, è più che mai aperto. Indiana è capace di tenere gli avversari sui 60 punti realizzati, così come è altrettanto brava (se non anche di più) a segnarne a sua volta non più di 70. Difficile capire quale delle sue anime porterà nella Capitale. Washington è squadra con difetti evidenti (esecuzione a metà campo, gestione sconsiderata dei possessi, imprecisione al tiro, etc.) ma che comprende un nucleo di giocatori in grado di incendiarsi facilmente in seguito a giocate spettacolari e folate improvvise che infondono entusiasmo e – perché no – magia in tutto l’ambiente rosso-blu.
In più non ha davvero niente da perdere, la pressione è tutta sugli altri. Non resta che attendere il sesto episodio.
grande amante del basket, del vino e della scrittura, segue l’NBA dal 1994, quando i suoi occhi furono accecati dal fulgido bagliore emanato dal talento irripetibile di Penny Hardaway. Nutre un’adorazione incondizionata per l’Avv. Federico Buffa e non perde occasione di leggere i pezzi mai banali di Zach Lowe.