Mike D’Antoni alla fine ha lasciato la panchina più prestigiosa d’America.

Aveva chiesto che il suo contratto venisse prolungato ma i Lakers hanno risposto picche, così l’ex di Milano ha deciso che no, non avrebbe affrontato per un’altra stagione la stampa di Los Angeles e le critiche dei tifosi senza avere precise garanzie sulla propria permanenza in gialloviola, decidendo così di andarsene alle proprie condizioni anziché rimanendo a farsi cuocere a fuoco lento per gli ultimi 12 mesi di contratto.

I Lakers sono riusciti a disfarsi (per la gioia un pio’ sguaiata e di cattivo gusto di Magic Johnson, che però non ricopre più nessun ruolo ufficiale e quindi se lo può permettere) di un allenatore che non volevano più senza licenziarlo (posto che è stato negoziato un buyout per oltre due milioni), risparmiando così qualche dollaro.

Mitch Kupchak si è affrettato a dichiarare che probabilmente nessuno sarebbe riuscito a fare un lavoro migliore di Mike D’Antoni, viste le condizioni, ed è opinione comune ad L.A. che, nonostante Mike non abbia lasciato un grande ricordo di sé, abbia dovuto operare in una situazione non semplice.

Un anno fa subentrò a Brown, con una situazione già parzialmente compromessa, mentre quest’anno ha tentato di costruire un gruppo più congeniale al suo modo di intendere la pallacanestro, ma disponeva di poco talento e per giunta gli infortuni hanno frustrato ogni tentativo di dare una fisionomia ai Lakers.

Mike lascia i Lakers con un roster che probabilmente sarà rinnovato profondamente, sia con la famosa scelta della lottery che con lo spazio salariale che si è venuto a creare.

Oggi è impossibile dire chi potrà vestire la maglia dei Lakers, quindi ci limiteremo alle certezze: i Lakers hanno già sotto contratto Kobe, Sacre, Nash.

Young può estendere il proprio contratto e realisticamente i Lakers useranno la loro opzione per prolungare il contratto di Marshall oltre che di Ryan Kelly. Forse verrà rinnovato Pau Gasol, ora che D’Antoni se ne è andato, ma per il resto, siamo all’incertezza più assoluta.

Chiunque allenerà i Lakers l’anno prossimo sarà il terzo allenatore a sedersi sulla panchina di Los Angeles negli ultimi tre quattro anni e viene da chiedersi se il problema non sia allora chi ha scelto Mike Brown e poi Mike D’Antoni.

Pare che dopo i suoi primi (disastrosi) anni di gestione, Jim Buss si sia rassegnato ad una gestione più collegiale del potere decisionale che gli è stato assegnato da suo padre Jerry.

Chi sono i candidati alla panchina dei Lakers?
Esiste un ventaglio di nomi che vari “insider” e giornalisti con accesso alla sala comandi di El Segundo hanno indicato come plausibili o in procinto di essere contattati.

Si va da John Calipari, (il primo nome ad essere trapelato quando ancora D’Antoni era in sella, che però ha già affermato pubblicamente di ritenersi legato dal contratto e da vincoli affettivi a Kentucky) fino a Jeff Van Gundy, passando per nomi intriganti come Kevin Ollie o Doc Rivers.

Ad ogni modo pare che i Lakers vogliano procedere con ordine, per prima cosa affrontando lottery, draft e free agency, per poi scegliere un allenatore adatto al gruppo a disposizione. Se così fosse, sarebbe un passo avanti considerevole rispetto alle sconsiderate assunzioni di Brown e D’Antoni, scelti quasi a dispetto dei giocatori anziché in loro virtù.

Il Los Angeles Times ha indicato l’interessamento dei gialloviola per due allenatori di college, ma se uno, John Calipari, si è già tolto dall’agone, l’altro, Kevin Ollie, ha confermato di trovarsi benissimo a UConn, ma di non disdegnare la possibilità di soppesare un incarico a Los Angeles, sua città natia.

Ollie è un allenatore virtualmente “unproven” con un solido background da gregario NBA; nel mondo del professionismo americano era annoverato tra i giocatori più positivi ed utili da avere in squadra, un collante per lo spogliatoio che non ha mai fatto mistero di voler prendere in mano la lavagnetta una volta appese le scarpe al chiodo.

I dubbi su di lui vertono sulla sua relativa esperienza, ma è sicuramente un giovane allenatore di prospettiva, con esperienza da vendere, capace di parlare ai giocatori e adatto a portare avanti un progetto di ampia portata, come mira ad essere quello dei Lakers.

Mike Bresnahan (sempre del Times) ha stilato una breve lista di quelli che, secondo le sue fonti, sono i papabili: oltre a Ollie e Calipari, ha indicato George Karl, Jeff Van Gundy e Byron Scott.

Si tratta di tre allenatori esperti e senza contratto, con caratteristiche tecniche molto diverse, il che testimonia che i Lakers sono aperti a molte alternative in base a come andrà il mercato (oppure, a voler pensar male, hanno le idee confuse).

George Karl si è distinto negli ultimi anni per un basket molto libero e ad alto punteggio, ma non si può dimenticare che prima di sfavillare a Denver aveva costruito un nucleo dalla forte mentalità difensiva a Seattle. Dei vari nomi che sono stati accostati a Los Angeles, è probabilmente il più eclettico e solido, ma non è un allenatore con davanti moltissimi anni di carriera e fin qui, non si è affermato come un vincente.

Jeff Van Gundy è fermo da molti anni, trascorsi a fare con successo il commentatore per ESPN, in coppia con Mike Breen. E’ un allenatore prettamente difensivo ma sa far giocare le sue squadre anche in attacco, sebbene abbia smesso di allenare ai tempi di Yao Ming e Tracy McGrady. Tornasse in pista, forse ci sorprenderebbe con quanto appreso in tanti anni trascorsi ad osservare l’operato altrui.

Van Gundy è un allenatore da videotape, e, della lista, è quello più simile a Mike Brown, con una importante differenza: Van Gundy è una voce rispettata nel mondo NBA, è sempre stato bravo nel costruire un canale di comunicazione con le sue stelle. Il suo difetto è che, come Karl, non ha mai vinto e non è più un allenatore giovanissimo.

Byron Scott, a differenza di Van Gundy e Karl, è un allenatore più fresco, e ha dalla sua uno storico ottimo rapporto con il club e con Kobe Bryant, del quale fu mentore nel lontano 1996. Addirittura, in una intervista del 2002 Kobe disse che per il dopo-Jackson vedeva bene coach Scott alla guida dei Lakers.

Sono passati molti anni da allora e Scott non è più il giovane allenatore sulla cresta dell’onda che guidava i Nets di Jason Kidd. Le sue esperienze in panchina sono spesso deragliate in modo includente, e, sebbene sia un profondo conoscitore del gioco, la sua sarebbe una scelta legata alla continuità, con un uomo di scuderia, piuttosto che una vera e propria decisione tecnica; similmente, anche Kurt Rambis avrà a disposizione un colloquio con la proprietà, sia perché già parte dell’attuale coaching staff come “longa manus” della dirigenza, sia per il ruolo che ha ricoperto nella storia del club.

Il fatto che venga preso in considerazione è una notevole inversione di tendenza rispetto a quando Brian Shaw venne messo alla porta per l’eccessiva familiarità con Phil Jackson. Rambis è a sua volta un amico e un ex-assistente di Jackson, dunque forse si può leggere in quest’apertura una maggiore collegialità decisionale rispetto agli anni passati, durante i quali Jim Buss ha gestito il club a piacimento.

Oltre a questi nomi, si è parlato anche di allenatori attualmente sotto contratto con altre franchigie; qualcuno dice che i Lakers abbiano intenzione di chiedere ai Chicago Bulls il permesso di parlare con il loro allenatore, Tom Thibodeau.

Per età e preparazione, Thibodeau sarebbe un eccellente allenatore per i Lakers. Viene da una città esigente (certo non quanto Los Angeles) e ha ottenuto grandi risultati anche quando ha dovuto fare le nozze con i fichi secchi, e visto che i Lakers non sembrano destinati ad assemblare un Dream Team, Thibodeau e la capacità di costruire con poco potrebbero tornare molto utili a Buss e Kupchak. Resta da vedere se i Bulls accetteranno di perdere la loro superstar della panchina senza lottare.

L’altro grande nome ad essere balenato è quello di Doc Rivers, che già era stato accostato ai Lakers dopo il ritiro di coach Phil Jackson. L’improvviso complicarsi della situazione Clippers dopo l’affaire Sterling potrebbe accelerarne l’addio e i Lakers, oltre al loro eterno fascino, hanno anche il vantaggio di non richiedere un trasloco, visto che giocano nella stessa città dei loro cugini meno fortunati.

Se la stagione (e le prospettive) dei Clippers dovessero naufragare, Rivers potrebbe anche decidere (come ha già ventilato) di abbandonare il veliero che affonda; a quel punto, poche sfide sarebbero più affascinanti dei Lakers da ricostruire.

Dalla sua, oltre ad una buona preparazione tecnica, Rivers ha un carisma che probabilmente non ha eguali tra gli allenatori NBA in attività.

Anche Mike Dunleavy Sr. ha paventato la propria disponibilità a tornare (visto che li allenò ad inizio anni novanta, con un bilancio di una Finale persa contro i Bulls di MJ) ad allenare i Lakers, ma la sua sembra una candidatura meno forte di quelli di altri candidati con un résumé più impressionante. Allo stesso modo, anche Lionel Hollins, fresco dei successi con i Grizzlies, ha espresso interessamento per Los Angeles, ma al momento si tratta di una autocandidatura e nient’altro.

Infine, senza aver allenato un singolo minuto di NBA, Steve Kerr si sta trovando al centro delle attenzioni di due delle franchigie più blasonate: New York Knicks e Los Angeles Lakers.

Se è comprensibile l’interessamento da parte dei newyorkesi gestiti da Phil Jackson, che allenò Kerr per quattro anni ai tempi dei Bulls, è quantomeno singolare che sia interessato al vecchio Steve anche Jim Buss, uno che non ha mai fatto mistero di nutrire ben poca considerazione per i metodi del Coach Zen.

Kerr è uno stimato professionista, che ha già ricoperto ruoli da GM, conosce il basket, ha fatto parte di grandi organizzazioni come San Antonio e Chicago, ed ha una visione della pallacanestro molto eclettica. E’ un leader naturale, conosce i media e sa usarli, ma rimarrebbe un esordiente, per quanto dotato di pedigree.

A quel punto, ci sentiamo di lanciare a nostra volta una candidatura: se di esordiente deve trattarsi, perché non rivolgersi alla storia recente del club e affidarsi a Derek Fisher, che a fine stagione ha già annunciato il ritiro?

Da Fish conosce benissimo il club e la sua storia, essendone parte integrante. E’ un giocatore amatissimo presso il pubblico ed ha il rispetto incondizionato di Kobe Bryant, oltre alla nomea di essere un leader d’eccezione.

Luke Walton (un altro ex che vorrebbe prima o poi allenare) dice che “quando Fisher chiamava i compagni a raccolta nell’huddle, ci sarebbe stata bene quella musica da discorso importante che usano nei film“. Dovessero chiamarlo, sarebbe una scelta coraggiosa ma non scriteriata.

C’è anche chi, ha indicato un nome esotico (per gli americani): Ettore Messina, che ha già trascorso in California una stagione da assistente allenatore, nel 2011-12, lasciando un’ottima impressione presso la dirigenza.

Kobe nutre grande stima nei suoi confronti (è ormai celebre l’aneddoto di Bryant che cita a Messina i suoi schemi ai tempi di Bologna) e c’è poco da dire, la sua sarebbe una scelta affascinante oltre che coraggiosa: Ettore diventerebbe il primo allenatore non americano della NBA, e diverrebbe tale nientemeno che sulla panchina più ambita di tutta la lega. Dovessero sceglierlo, avrebbero vinto la scommessa a prescindere, per il coraggio dimostrato.

 

One thought on “Chi sono i candidati per la panchina dei Lakers?

  1. Affascinante l’idea Messina…ma non credo che abbiano le palle per farla…
    Doc e Tom sarebbero quelli più adatti…ma sotto contratto con altre franchigie..
    Quelli della NCAA..non mi fido..il piano alto è molto più complicato…
    Puntare su Fisher o Kerr sarebbe più una scommessa azzardata..xò fattibile..
    degl’altri l’uncio che mi piace è Byron Scott…
    Vediamo cosa porta questo Draft..
    Bell’articolo!!

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