Siamo arrivati al termine di una regular season lunga e intensa, con le 82 gare di stagione in calendario a fare da lungo e piacevole antipasto allo spettacolo dei playoff Nba.

L’attesa per la postseason sale di giorno in giorno e, tra chi si prepara a lottare per un posto al sole fra le magnifiche sedici della lega e chi invece è già a pesca con la mente rivolta al Draft e alle prossime mosse di mercato, è tempo di nomination e premi per i protagonisti della lega più bella del mondo.

In attesa di conoscere chi saranno i premiati ufficiali, ci siamo divertiti a giocare con i nomi dei possibili vincitori, assegnando i nostri personalissimi Awards stagionali.

In climax ascendente, che parte dal miglior General Manager fino ad arrivare all’MVP e al quintetto ideale, vi accompagniamo nel nostro viaggio al centro dei premi stagionali.  

Donnie NelsonExecutive Of The Year: Donnie Nelson (Dallas Mavericks)

Dallas torna ai playoff con una possibile stagione da 50 vittorie, e una buona fetta del merito va all’uomo che ha dato forma al nuovo roster dei texani. Nelson ha sfruttato lo spazio salariale a disposizione in un’estate nella quale non sono arrivate superstar, bensì un buon numero di giocatori funzionali al progetto di rilancio dei Mavs.

Monta Ellis, plasmato da coach Carlisle, si è rivelato una gran bella presa a cifre di mercato, diventano il co-trascinatore della squadra insieme al sempreverde Nowitzki; Calderon è stato firmato a peso d’oro e con un contratto molto lungo, ma è salito alla ribalta come uomo d’ordine di grande importanza.

Dalembert ha fatto il suo dovere in mezzo all’area, mentre Blair e Harris (dopo il rientro dall’infortunio) sono stati elementi chiave in uscita dalla panchina. A conti fatti, tre quinti dei titolari e due dei panchinari decisivi sono arrivati grazie alle manovre estive di Nelson, un lavoro che promette di essere solo il primo capitolo della ricostruzione in casa Mavs visti l’ampio margine di movimento per la prossima estate e l’abbondanza di pecunia a disposizione del padrone del vapore, Mark Cuban.

damian-lillard-terry-stottsCoach Of The Year: Terry Stotts (Portland Trail Blazers)

Nel selvaggio Ovest, dove 48 vittorie non sono sufficienti per un posto nelle magnifiche otto dei playoff, Portland è finalmente risorta dalle macerie lasciate dai rimpianti da un’era che poteva essere ma invece non è stata (gli infortuni di Oden e Roy gridano ancora vendetta).

Uno dei principali artefici della rinascita dei Blazers è l’uomo che li guida dalla panchina: Terry Stotts, alla seconda stagione da head coach della franchigia dell’Oregon, ha azzeccato tutte le mosse necessarie a sublimare il talento giovane che abbonda nel roster a sua disposizione.

Stotts ha protetto lo spogliatoio dalle voci, iniziate durante la scorsa stagione, di una possibile trade di Aldridge, ed è stato ripagato in primis dallo stesso LaMarcus che sta disputando la miglior annata della carriera; l’ex assistente dei Mavs ha responsabilizzato ulteriormente Lillard, affidandogli le chiavi della squadra che l’ex Weber State si è preso mostrando una leadership non indifferente.

Una volta avuta a disposizione una panchina degna di questo nome, coach Stotts ha guidato la squadra oltre le più rosee aspettative, toccando anche la vetta di una Western Conference competitiva come non mai e centrando un quinto posto con un record di assoluto valore.

michael-carter-williams-usaRookie Of The Year: Michael Carter-Williams (Philadelphia 76ers)

Non è stata una stagione facile per i rookie entrati nel Draft 2013. Del resto, che il talento e i giocatori cosiddetti Nba ready scarseggiassero era ben chiaro a tutti, come ha dimostrato il clamoroso flop della prima scelta Anthony Bennett (per quanto visto, o meglio non visto, fin qui candidato a passare alla storia con il non lusinghiero appellativo di peggior prima scelta di sempre).

In una classe mediocre, a emergere è una delle poche note positive della stagione dei Philadelphia 76ers: Michael Carter-Williams si guadagna di diritto il titolo di matricola dell’anno, che premia la sua abilità nello sfruttare l’occasione di trovarsi al posto giusto al momento giusto.

MCW è infatti approdato in una franchigia che, proprio in sede di Draft, ha ceduto il suo play titolare (Holiday) in vista di una stagione di ricostruzione totale, che ha permesso al prodotto di Syracuse di prendersi fin da subito minutaggio e ruolo importanti nell’economia della squadra.

Le nude cifre giustificano un premio che appare quanto mai meritato: 17 punti, 6 rimbalzi, 6 assist e 2 rubate, 16 doppie doppie e 2 triple doppie. Il tutto in 35 minuti di utilizzo, statistica che, insieme alle altre appena menzionate, lo vede al primo posto tra i rookie. Dalla chiamata numero undici all’essere il primo della classe delle matricole: well deserved, Michael!

121713-W-NBA-Jamal-Crawford-PISixth Man Of The Year: Jamal Crawford (Los Angeles Clippers)

Quest’anno il discorso per il premio di questa categoria non inizia nemmeno: Jamal Crawford è indiscutibilmente il miglior sesto uomo della lega, e a dirlo sono i suoi numeri, il suo impatto e la sua importanza per le fortune dei Clippers.

Il contributo del nativo di Seattle è sempre più importante per le ambizioni degli angeleni, che grazie al suo talento da scorer puro possono disporre di un ingente quantitativo di punti in uscita dalla panchina (per la precisione 18,5 a sera, terza miglior media in carriera).

Le sue cifre sono leggermente inflazionate dalle partenze in quintetto dettate dall’assenza di Chris Paul, ma non si tratta necessariamente di un punto a sfavore: Crawford è infatti riuscito a non far rimpiangere CP3, dimostrando quanto sia fondamentale la sua leadership in una squadra che, alla prima stagione di Doc Rivers come capo allenatore, ha voglia di stupire tutti ai playoff.

pi-nba-suns-goran-dragic-010214Most Improved Player: Goran Dragic (Phoenix Suns)

Veniamo al premio che, per definizione, è il più controverso da assegnare. Tutto è alquanto relativo nella definizione di “giocatore più migliorato”, il che aprirebbe a molteplici scenari: potrebbero ambire legittimamente al premio giocatori come Isaiah Thomas, che hanno incrementato le loro cifre in maniera esponenziale sia pur giocando in una squadra dal record perdente; oppure Anthony Davis, sicuro dominatore del gioco per la prossima decade, che paga il riferimento di una stagione da rookie deflazionata dai tanti problemi fisici.

E perché non premiare Blake Griffin, del quale colpiscono non tanto i numeri (in linea con quelli abituali) quanto i miglioramenti a livello di bagaglio tecnico e peso specifico nei momenti decisivi, o magari Lance “Born Ready” Stephenson, che è diventando una delle chiavi del successo a Est dei Pacers?

Noi scegliamo di premiare un giocatore di una squadra che, pur snobbata e privata delle luci della ribalta, ha stupito e fatto innamorare gli appassionati Nba: il nostro Most Improved Player è Goran Dragic, che sull’onda lunga del fantastico europeo disputato con la Slovenia si è reso protagonista di una stagione strepitosa. 20 punti di media, tirando con 50% dal campo e col 41% da tre, conditi da 6 assist e 3 rimbalzi con in quali ha trascinato i Suns, pronosticati con un record tra le 15 e le 20 vittorie ad inizio stagione, ad un soffio dai playoff nella più che mai competitiva Western Conference.

“The Dragon” ha stupito tutti, trasformandosi nel leader della squadra dopo anni da garzone di Nash prima e da buon giocatore da quintetto poi. La lega lo ha ignorato nelle convocazioni per l’All Star Game, i Suns sono finiti corti mancando l’accesso ai playoff; forse non vincerà nemmeno il premio “ufficiale” (più opinabile che mai, per le ragioni suddette). Tanquillo, Goran: ci pensiamo noi a nominarti giocatore più migliorato della stagione.

Joakim-Noah-isnt-totally-sure-if-its-cool-for-him-to-clap-yet.-Jonathan-Daniel-Getty-ImagesDefensive Player Of The Year: Joakim Noah (Chicago Bulls)

Ci avviciniamo alla categoria più attesa dei nostri Awards, ma prima di passare all’MVP è doveroso soffermarsi sul giocatore che, tra i tanti premi ai quali potrebbe legittimamente aspirare, si aggiudica quello di difensore dell’anno.

Joakim Noah è ormai l’anima e il cuore dei Bulls di Thobodeau: il francese rappresenta la grinta, la tenacia e voglia di non arrendersi di un gruppo che ne ha viste di tutti i colori nelle ultime due stagioni, ma che nonostante questo resta uno degli ossi più duri della Eastern Conference (non è un caso che gli Heat stiano facendo i loro buoni calcoli per evitare di incrociarli in semifinale di conference).

Noah è l’affilatissima punta di un iceberg che non vuol saperne di sciogliersi pur avvicinandosi all’equatore, e la presenza del figlio di Yannick al centro dell’area dei Tori è sempre più totemica: quasi 8 rimbalzi difensivi, accompagnati da 1,5 stoppate e 1,2 rubate per un quadro che si completa con uno dei migliori defensive rating della lega.

Ma non sono soltanto i numeri a descrivere l’importanza di Noah per i Bulls: la sua energia è contagiosa, e rappresenta la scintilla che ha acceso i compagni permettendo ai decimati e poco accreditati Bulls di rifiorire nel 2014, centrando (con il quarto, se non addirittura il terzo miglior record a Est) una qualificazione ai playoff che sembrava in forte rischio .

kdmv464Most Valuable Player: Kevin Durant (Oklahoma City Thunder)

Eccoci finalmente arrivati al Premio con la maiuscola, quello che viene conferito al giocatore più forte della lega. Per questa stagione la scelta non può che cadere su un fuoriclasse che sembra aver compiuto la definitiva maturazione che lo candida a salire ben presto all’Olimpo dei campionissimi: Kevin Durant ha messo insieme una stagione semplicemente divina, grazie alla quale ha battuto il pur splendido LeBron James nelle preferenze per la corsa al riconoscimento di MVP stagionale.

KD ha dimostrato di saper trascinare i suoi Thunder anche nel momento più difficile della stagione, sopperendo al meglio all’assenza di Westbrook che si è protratta per ben 36 partite, concentrate in particolar modo tra gennaio e febbraio.

Da leader consumato Durant si è preso la squadra sulle spalle, chiudendo con 36 punti di media il mese di gennaio e con più di 33 quello di febbraio, nel quale ha scollinato anche i 7 assist ad allacciata di scarpe. I suoi numeri sono semplicemente strepitosi: 32 punti con il 50% dal campo e il 39% da tre, più di 7 rimbalzi e quasi 6 assist.

Senza dimenticare la striscia record di 41 partite con 25 o più punti all’attivo, con la quale ha superato sua maestà Michael Jordan  al terzo posto di una classifica all time che lo vede alle spalle soltanto di Robertson e dell’irraggiungibile Chamberlain.

Ma, se possibile, la sua grandezza va oltre le nude cifre: ammirare le sue movenze feline, la classe e la leggerezza con le quali porta a spasso un corpo di due metri e dieci riuscendo a fare cose che molte guardie non possono neanche immaginare, è un privilegio da gustare azione dopo azione.

La prima statuetta da MVP è quanto mai meritata: adesso la parola alla postseason, con le speranze dei Thunder che saranno legate a doppio filo al rendimento del ghepardo col numero 35.

 

2 thoughts on “NBA Awards 2014: i nostri favoriti

  1. Vado coi miei: Masai come GM, Hornacek come coach, Mason Plumlee come rookie, Isaiah Thomas come Most Improved… sul resto concordo!

  2. io dico Popovich coach e come sesto vado con Taj Gibson. Il GM nn saprei x il resto very good

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