La Regular Season 2013-2014 volge ormai al termine e, in attesa della Post-Season, possiamo iniziare a trarre qualche conclusione.
In questo articolo ci occuperemo dei Rookies, figli di un Draft non particolarmente atteso (o almeno non certo quanto il prossimo) che secondo molti non proponeva nemmeno un giocatore in grado di diventare in futuro un conclamato All-Star.
Dopo un’intera stagione sarà cambiato qualcosa o avevano ragione gli scettici? A questo scopo proviamo ad analizzare la stagione delle prime 15 scelte dello scorso Draft per scoprire chi ha confermato le attese, chi ha deluso e chi alla fine si è rivelato un’autentica “steal”.
1 – Anthony Bennett – Cleveland Cavaliers
La First Pick a sorpresa dello scorso Draft ha mostrato sul campo i motivi per cui nessuno aveva pronosticato una sua chiamata così in alto, tanto che statistiche alla mano la stagione di Bennett è stata la peggiore in assoluto tra le prime scelte degli ultimi 25 anni (sì, peggio anche di Kwame Brown).
Dopo aver debuttato con un terrificante 1/21 dal campo nelle prime 7 partite in maglia Cavs, il suo rendimento è leggermente migliorato con il passare del tempo ma è comunque rimasto ben al di sotto delle aspettative che si possono avere nei confronti di una prima scelta, anche se forse le colpe maggiori vanno assegnate ai Cavs invece che al giocatore stesso. Ha comunque il potenziale per diventare una solida ala da rotazione, ma deve ancora migliorare molto in tutti gli aspetti del gioco con una particolare attenzione al tiro (quest’anno 35% dal campo, 24% dall’arco e 64% ai liberi).
2 – Victor Oladipo – Orlando Magic
Uno dei migliori per rendimento nella disastrata classe 2013, dopo aver impressionato tutti nei workout pre-Draft per serietà ed etica del lavoro il prodotto di Indiana ha confermato le sue attitudini nella prima stagione ad Orlando, dove si è guadagnato fin da subito un elevato minutaggio giocando all’occorrenza sia da playmaker che da Shooting Guard e portando sul parquet grande dinamismo e qualità difensiva.
Le sue doti atletiche e morali ne fanno un prospetto da tenere in seria considerazione per gli anni a venire, e anche se forse non sarà mai una vera e propria All-Star ha tutto il potenziale per diventare uno di quei giocatori che fanno comodo ad ogni allenatore.
3 – Otto Porter – Washington Wizards
L’ex-Georgetown è uno dei tanti iscritti al Draft 2013 che possiamo inserire nella categoria “Chi l’ha visto?”. Frenato da qualche problema fisico ad inizio stagione, Porter è entrato nella rotazione di Washington a dicembre senza però mai riuscire a ritagliarsi il suo spazio ben definito, tanto che ad oggi è in assoluto il giocatore meno utilizzato da coach Wittman con una media di circa 8 minuti a partita, e con i “maghetti” in piena corsa Playoffs è difficile ipotizzare che il suo impiego possa aumentare visto il rendimento di Trevor Ariza e Martell Webster.
Le sue percentuali al tiro evidenziano uno scarsissimo adattamento al basket professionistico, in particolare se paragonate con quelle del suo ultimo anno a Georgetown quando aveva chiuso la stagione con il 48% dal campo (quest’anno 31%), 42% dall’arco (15%) e 77% dalla lunetta (62%): ha solo 20 anni e tutto il tempo per migliorarsi, ma ad oggi rappresenta una delle delusioni più cocenti dello scorso Draft.
4 – Cody Zeller – Charlotte Bobcats
Compagno di Oladipo ad Indiana e fratello minore di Luke Zeller (visto a Phoenix l’anno scorso) e Tyler Zeller (attualmente ai Cavs), Cody si è ritagliato fin da subito il suo spazio alle spalle di Al Jefferson e Josh McRoberts in quel di Charlotte, guadagnandosi un impiego che già supera i 15 minuti a serata.
Le statistiche non sono ancora straordinarie e probabilmente gli manca qualche kg per diventare un fattore nel pitturato, ma in questa prima stagione ha già messo in mostra un elevato IQ cestistico, buoni mani e una discreta versatilità: basi solide su cui costruire un lungo potenzialmente ideale per l’NBA moderna.
5 – Alex Len – Phoenix Suns
Alcuni addetti ai lavori indicavano il centro ucraino come il miglior giocatore in prospettiva della Classe 2013 e il GM dei Suns Ryan McDonough ha spesso confermato di essere di questo parere, tanto da essere disposto a mettere in piedi una trade il giorno stesso del Draft pur di portarlo in Arizona.
I dubbi più grandi sul prodotto di Maryland riguardavano la sua condizione fisica visto che ancora prima di iniziare il Summer Camp con Phoenix aveva già subito un’operazione chirurgica a ciascuna caviglia, ma McDonough ha deciso di correre il rischio dato che i Suns sono nel bel mezzo di un progetto a medio/lungo termine e non c’è la necessità di vincere subito.
Nella sua prima stagione Len ha visto il campo con il contagocce, sia per il recupero dall’ultima operazione che per il sorprendente rendimento di Miles Plumlee, ma in quei pochi minuti di gioco (circa 9 di media a partita) l’ucraino ha mostrato una buona presenza sotto il ferro e una più che discreta tecnica per essere un centro di 216cm. Ha tutto il potenziale per diventare un fattore in area e un giocatore da doppia doppia fissa, sempre che il suo nome non finisca nella già nutrita lista dei lunghi che hanno dovuto rinunciare ad una carriera ad alti livelli causa infortuni.
6 – Nerlens Noel – Philadelphia 76ers
A proposito di centri infortunati, Nerlens Noel era uno dei papabili come prima scelta ma è finito addirittura alla sesta, a causa dei grossi dubbi sulla sua condizione fisica a seguito di un grave infortunio al ginocchio accusato qualche mese prima del Draft.
A Philadelphia hanno preferito non accelerare il suo recupero tanto che ad oggi Noel non ha ancora giocato un minuto, ma l’ex-Kentucky dovrebbe essere pronto per dare il suo contributo fin dall’inizio della prossima stagione: ovviamente non è ancora possibile giudicarlo a livello NBA, ma viste le sue caratteristiche è lecito attendersi un grosso impatto fin da subito almeno a livello difensivo (4.4 stoppate di media a Kentucky), mentre c’è ancora molto da lavorare sull’altro lato del campo.
7 – Ben McLemore – Sacramento Kings
Considerato forse il miglior scorer puro dell’intero Draft, a Sacramento McLemore ha parzialmente deluso le attese nonostante un consistente minutaggio (circa 25 minuti a partita) e il posto da titolare in più della metà delle partite giocate finora, visto che il 50% dal campo che aveva a Kansas si è trasformato in un deludente 37% in California. Nonostante ciò McLemore ha comunque messo in vetrina un atletismo smisurato e una velocità fuori dal comune che, in caso di contestuale miglioramento al tiro nei prossimi anni, potrebbero fare della guardia dei Kings un attaccante davvero fenomenale.
8 – Kentavious Caldwell-Pope – Detroit Pistons
Un’altra grossa delusione dello scorso Draft: Caldwell-Pope era arrivato a Detroit per rinforzare lo scarso back-court dei Pistons e dare il suo contributo fin da subito, ma ha fallito miseramente nonostante i quasi 20 minuti di impiego a serata. Di certo il fatto di giocare in una squadra costruita oggettivamente male non ha aiutato, ma qualche raro lampo di classe ha comunque lasciato intravedere un potenziale più che discreto: bocciato per questa stagione, ma con tutte le carte in regola per rifarsi nei prossimi anni.
9 – Trey Burke – Utah Jazz
Considerato da molti il miglior playmaker della classe 2013, l’ex-Michigan è scivolato fino alla nona scelta per qualche dubbio sul suo adattamento al gioco dei professionisti viste le sue doti fisiche non straordinarie (185cm per 85kg), ma in maglia Jazz ha smentito tutti mettendo a referto quasi 13 punti e più di 5 assist di media in circa 30 minuti a partita: ha il potenziale per continuare la grande tradizione di playmaker dei Jazz e diventare uno dei migliori passatori della lega negli anni a venire.
10 – C.J. McCollum – Portland Trailblazers
Scelto per dare un contributo fin da subito in uscita dalla panchina alle spalle sia di Lillard che di Matthews, McCollum ha saltato la prima metà di stagione per una frattura al piede ed è entrato in rotazione solo a gennaio. Difficile dare un giudizio sulla sua stagione visto il grave infortunio che l’ha messo fuori causa per quasi 3 mesi e la condizione fisica che per forza di cose non può essere al top, ma in quei pochi minuti di impiego (circa 13 di media) McCollum ha mostrato di poter diventare quantomeno una riserva di lusso per Portland.
11 – Michael Carter-Williams – Philadelphia 76ers
Ad oggi la vera steal del Draft e il candidato numero 1 al premio di “Rookie of the Year”, Carter-Williams è riuscito a farsi notare mettendo a referto 35 minuti, 16.5 punti, 6 assist, 6 rimbalzi e quasi 2 rubate a partita, leader tra i compagni del primo anno in tutte (!) le statistiche citate.
Deve ancora migliorare molto al tiro e nella gestione della palla (guida anche la classifica di palle perse tra i rookie, con 3.8 TO di media), e qualcuno potrebbe obiettare che è più facile accumulare numeri simili giocando in una squadra derelitta come i Sixers di quest’anno, ma tutti gli addetti ai lavori sono comunque convinti che “MCW” possa diventare la pietra angolare su cui costruire il futuro di Philly.
12 – Steven Adams – Oklahoma City Thunder
Centro dotato di buona velocità di piedi ed ottimo fisico (213cm per 115kg), il nativo della Nuova Zelanda è entrato da subito nelle rotazioni di coach Brooks come back-up di Perkins. Ha messo in mostra una grande abilità a rimbalzo (sulla proiezione a 36 minuti è già il miglior rimbalzista dei Thunder) e percentuali al tiro migliori del centro titolare, e potrebbe rappresentare l’alternativa che OKC aspettava per poter finalmente mettere sul mercato Perkins. Non sarà mai un fenomeno, ma può diventare una presenza nel pitturato da non sottovalutare.
13 – Kelly Olynyk – Boston Celtics
Lungo piuttosto particolare, alto ma (relativamente) leggero, efficace in attacco dove mostra una buona sensibilità al tiro (sa concludere anche dall’arco) e una discreta tecnica, ancora acerbo in difesa dove non riesce ancora ad essere un fattore. Nel processo di re-building di Boston ha trovato minuti fin da subito e sembra avere le caratteristiche tecniche e morali per far parte del futuro dei Celtics, ma avrà bisogno di lavorare molto per diventare un giocatore dal sicuro affidamento.
14 – Shabazz Muhammad – Minnesota Timberwolves
Nel 2012 era considerato da molti il miglior prospetto del paese, ma nella sua unica stagione a UCLA ha deluso sia in campo che, soprattutto, fuori. Il suo carattere difficile ha spaventato molti GM e il suo primo assaggio di NBA ha confermato questi timori: durante il “meeting” che la lega organizza per accogliere i rookies e spiegar loro come comportarsi tra i professionisti, Muhammad ha infranto le regole già al primo giorno portando una ragazza nella sua stanza, nonostante il divieto di avere ospiti.
Per il momento, tra piccoli infortuni e qualche partita di D-League, non ha ancora lasciato il segno e già in molti intravedono un altro Michael Beasley, ovvero un talento enorme mandato a farsi friggere da una testa non all’altezza: se sarà così o meno dipende solo da lui.
15 – Giannis Antetokounmpo – Milwaukee Bucks
La scarsissima esperienza maturata tra i professionisti (solo un anno nella seconda divisione greca) ne faceva un’autentica scommessa in sede di Draft, ma la sua prima stagione in NBA ha provato senza ombra di dubbio che i Bucks abbiano fatto bene a puntare su di lui.
Versatile, atletico e dotato di mani enormi, “The Greek Freak” ha tutto il potenziale per diventare di gran lunga il miglior giocatore della Classe 2013 e trasformare Milwaukee in una squadra da Playoffs, ma deve migliorare al tiro ed imparare a gestire con più cervello i suoi possessi. Il futuro, in ogni caso, è tutto suo.
Poco da segnalare tra le picks successive ad Antetokounmpo, visto che delle successive 45 scelte i giocatori che hanno avuto un discreto impatto si possono contare sulle dita di una mano: Mason Plumlee a Brooklyn, lungo che ha trovato minuti in rotazione grazie all’infortunio di Brook Lopez e che ha messo in mostra buone qualità difensive; Tim Hardaway Jr a New York, che nel solito caos dei Knicks è riuscito ad imporsi come buon attaccante in uscita dalla panchina; Nate Wolters a Milwaukee, playmaker arrivato per scaldare la panchina ma diventato un importante pezzo delle rotazioni dei Bucks grazie ad un’ottima visione di gioco e gestione del pallone; Ryan Kelly, ala grande che nello sfacelo dei Lakers ha ottenuto un buon minutaggio e mostrato buone qualità, soprattutto offensive; infine nota di merito per Gorgui Dieng, centro che ha giocato poco a Minnesota ma che recentemente è partito in quintetto 6 volte mettendo a referto 5 doppie doppie, inclusa una prestazione da 22 punti e 21 rimbalzi contro Houston.
In definitiva, a parte qualche rara eccezione, la Classe 2013 è riuscita a deludere le già basse aspettative che c’erano su questa infornata di rookies: molta mediocrità, tante delusioni e poche sorprese positive.
Ovviamente un anno non basta per trarre conclusioni e qualche giocatore che ha deluso alla sua prima stagione potrebbe esplodere in futuro, ma attenendosi a quanto intravisto in questi mesi è molto difficile che in futuro il Draft 2013 venga ricordato da qualcuno come memorabile, soprattutto perché sulla carta rischia di essere totalmente oscurato dalla prossima classe di debuttanti.
Cresciuto a pane e calcio, nei primi anni 2000 inizia a seguire il basket NBA e nel 2005-06 si innamora del “7 Seconds or Less” dei Suns di D’Antoni: tifoso Phoenix da allora, nutre un’infinita ammirazione per Steve Nash.