“Snub”. Questo è il termine con cui gli americani chiamano quei giocatori che statistiche alla mano avrebbero meritato la chiamata per l’All-Star Game, ma che per un motivo o per l’altro sono rimasti a guardare la partita delle stelle dal divano di casa.
Come spesso accaduto negli ultimi anni, anche per l’All-Star Weekend 2014 di New Orleans le discussioni sui giocatori “snobbati” hanno incendiato gli animi nei giorni successivi alla nomina delle riserve dei team East e West, con tifosi e addetti ai lavori pronti a scannarsi per difendere o criticare le scelte degli Head Coach (sono loro a scegliere le riserve, a differenza dei titolari selezionati via votazione pubblica): da Lance Stephenson a DeMarcus Cousins, da Kyle Lowry a Mike Conley, ognuno ha eletto il suo personale principe degli Snubs.
Nella Western Conference uno dei giocatori che ha raccolto il maggior numero di voti per il titolo (puramente platonico) di “Snub dell’Anno” è sicuramente Goran Dragic, playmaker sloveno che sta vivendo una stagione stellare alla guida dei Phoenix Suns, franchigia da molti ritenuta la più grande sorpresa dell’annata.
Atterrato in NBA nel Draft 2008 come 45^ scelta assoluta di San Antonio, il giocatore viene girato dopo solo due giorni a Phoenix in cambio di Malik Hairston (tagliato dopo un paio di stagioni in maglia Spurs e visto in seguito anche in Italia, tra Siena e Milano) e una Second Round Pick per il Draft successivo.
“The Dragon” arriva in Arizona ben consapevole di non poter insidiare il posto di starter occupato da Steve Nash, ma pian piano si ritaglia il suo spazio come back-up del canadese ed inizia a far intravedere (anche se solo a sprazzi, alternato a qualche momento di difficoltà) il suo potenziale.
Memorabile in particolare la sua prestazione in Gara 3 dei Playoffs 2010 contro San Antonio, quando Dragic mette 23 punti nel solo ultimo quarto (10/13 dal campo, 5/5 dall’arco) trascinando la squadra alla vittoria in rimonta e portando la semifinale di Conference sul 3-0: “E’ stata la miglior performance che abbia mai visto nell’ultimo quarto di una partita di Playoffs” sintetizza a fine partita l’allora compagno di squadra Grant Hill.
Ma proprio quando lo sloveno sembrava sulla buona strada per prendere il posto di Steve Nash, ormai sempre più vicino al ritiro, a 5 minuti dalla Trade Deadline del febbraio 2011 Dragic viene ceduto ai Rockets in cambio di Aaron Brooks: ennesima “invenzione” di mercato della sgangherata dirigenza dei Suns di allora, una mossa considerata assurda già all’epoca da molti addetti ai lavori considerando anche che l’ex-Houston sarebbe diventato Restricted Free Agent 4 mesi dopo (e che infatti conterà solo 25 presenze totali in maglia Orange, prima di finire in Cina durante il lockout e successivamente ai Kings via Free Agency).
Anche a Houston Dragic finisce per coprire il ruolo di riserva della starting Point Guard (Kyle Lowry) ottenendo grosso modo lo stesso minutaggio che aveva a Phoenix, salvo giocare da titolare le ultime 3 partite di Regular Season a causa dell’assenza del play titolare e mettendo a referto prestazioni davvero degne di nota: 14 punti + 10 rimbalzi + 7 assist vs Clippers, 15+10+7 vs Mavs, 11+11+11 vs T-Wolves (prima tripla doppia in carriera).
L’8 dicembre 2011, il giorno prima della fine del lockout, arriva il momento “Sliding Doors” della carriera di Dragic: Rockets, Lakers e Hornets mettono in piedi l’ormai celebre scambio che avrebbe dovuto portare Pau Gasol a Houston, Chris Paul a Los Angeles e Goran Dragic, Luis Scola, Kevin Martin e Lamar Odom a New Orleans, ma nella notte il commissioner David Stern annulla la trattativa su pressioni degli altri owner.
Così nella stagione 2011-2012 lo sloveno rimane in quel di Houston, partendo nuovamente dalla panchina e giocando da titolare solo quando manca Lowry, prima di diventare Free Agent a fine anno: il 19 luglio 2012 Dragic torna a Phoenix con un contratto quadriennale da 30.000.000$ per prendere, ora per davvero, il posto di Steve Nash che una settimana prima era finito ai Lakers via Sign-and-Trade.
Sotto la guida di Alvin Gentry lo sloveno diventa titolare fisso per la prima volta in carriera, nuovo leader di una squadra però in piena fase di transizione che chiude la Regular Season con il peggior record della Conference e che sembra destinata ad un lungo periodo di scarsa competitività.
La stagione 2013-2014 nasce sotto gli stessi auspici, nonostante il rinnovamento tecnico e societario (Jeff Hornacek in panchina e Ryan McDonough come GM), ma il nuovo Head Coach dà alla squadra un gioco veloce e travolgente che sorprende tutti fin dalla prima partita, trascinato dall’accoppiata Dragic/Bledsoe (arrivato in estate) che si impone come uno dei back-court più elettrizzanti dell’intera lega: i Suns si trovano così, contro ogni pronostico, in piena corsa Playoffs fin dall’inizio.
A gennaio il pesante infortunio di Bledsoe sembra spegnere le speranze di Post-Season in Arizona, ma è proprio Dragic a prendere per mano la squadra e a tenerla nella lotta Playoffs quasi da solo fino al rientro del compagno di merende (avvenuto pochi giorni fa), inanellando una serie di prestazioni stellari una dopo l’altra con l’apice che arriva nel mese di febbraio quando lo sloveno ottiene per la seconda volta in carriera il premio di “Player of the Week” e ritocca per ben 3 volte il suo career-high di punti: 34 contro Golden State, 35 contro Houston e 40 contro New Orleans.
Ma per analizzare la crescita esponenziale di Dragic in questa stagione partiamo dai numeri:
Il numero 1 dei Suns sta stabilendo il suo record personale in minuti giocati, percentuale dal campo, percentuale da 3, punti e rimbalzi, con la sola eccezione di un piccolo decremento negli assist dovuto al fatto che quest’anno ha spartito il ruolo di facilitatore di gioco con Bledsoe, quando disponibile.
Queste statistiche, se confrontate con i colleghi, mettono Dragic molto vicino al gotha delle migliori superstar in circolazione: 18° in NBA nella media punti, 17° negli assist, 15° nell’Efficiency Rating, 8° nella True Shooting Percentage e 12° nell’Offensive Rating.
Gran parte del merito di questa crescita va riconosciuto a Jeff Hornacek, che parlando di Dragic in Pre-Season diceva: “Vorrei che diventasse più aggressivo, è uno di quei giocatori che prima cerca l’assist e solo dopo pensa a segnare. Quando giocavo a Phoenix dicevo sempre al mio amico Kevin Johnson di guardare prima il canestro, perché in questo modo avrebbe aperto gli spazi per i compagni”.
Inutile sottolineare che il nuovo Head Coach di Phoenix ci ha preso in pieno: sotto le sue indicazioni lo sloveno si è trasformato da playmaker “Pass-First” ad una delle Point Guard più complete in circolazione, in grado di creare problemi agli avversari ogni volta che ha la palla in mano visto che in qualsiasi situazione può inventare assist grazie alla sua ottima visione di gioco, penetrare a canestro con grande efficacia (anche contro avversari ben più grossi di lui, citofonare Roy Hibbert per conferma) o sfruttare la sua mano educata per trovare la retina da ogni parte del campo, come mostra la sua Shotchart di quest’anno:
Come si può ben notare, sulle 14 zone di campo prese in considerazione dagli statistici Dragic è sopra la media della lega in quasi la metà di esse, con punte che superano il 60% di realizzazione dall’angolo sinistro e nelle conclusioni al ferro (derivanti sia dalle penetrazioni che dai contropiedi).
Anche la distribuzione piuttosto equilibrata dei tiri è un segnale di come lo sloveno non si faccia problemi a variegare i suoi attacchi: 37% al ferro, 13% nel pitturato, 23% in area e 27% dall’arco.
Altro punto forte dei Suns è la velocità ed efficacia delle transizioni dopo un rimbalzo difensivo, situazione in cui è ancora Dragic a farla da padrone: veloce nelle gambe e nella testa, ogni contropiede avviato da “ The Dragon” è una sentenza per gli avversari, tanto che ad oggi Phoenix è la miglior squadra della lega per percentuale di punti segnati in situazioni di Fast Break.
Permane qualche limite di troppo sull’altro lato del campo, dove Dragic fatica a tenere testa alle guardie avversarie più atletiche, ma del resto i limiti fisici dovuti puramente alla genetica non sono così facilmente aggirabili.
Per quanto riguarda il suo futuro, ad oggi è difficile immaginare dove potrebbe arrivare nel giro dei prossimi 2 o 3 anni: potrebbe mantenersi su questi ottimi livelli o potrebbe continuare la sua evoluzione al punto da raggiungere le migliori Point Guard della lega.
Ciò che è certo è che Dragic è il manifesto di come sia possibile migliorare di anno in anno con la determinazione e la voglia di superare i propri limiti, ignorando la scarsa fiducia dell’ambiente e sconfiggendo tutti i pregiudizi, come spiega lo stesso sloveno: “Quando sono arrivato in NBA molti dicevano che il vero nome di Dragic fosse ‘Tragic’, e ho sentito anche dire in tv che non c’era un giocatore nella lega peggiore di me [pensiero di John Hollinger, ex analista di ESPN ora nello staff dei Memphis Grizzlies – ndr]. Questo mi ha fatto male. Ho sempre conservato quei commenti nella mia testa per trasformarli in motivazione a migliorare. Oggi penso di aver dimostrato a tutti di poter giocare qui, e sentire i tifosi cantare ‘M-V-P’ o i giornalisti parlare di All-Star Game per me è straordinario”.
Alla fine la convocazione per la partita delle stelle non è arrivata, più per la concorrenza spietata delle guardie dell’Ovest che per demeriti propri, ma è fuori dubbio che in questa stagione Dragic stia offrendo un basket di livello assoluto.
E chissà che magari, tra 12 mesi circa, non saremo qui a parlare della sua prima apparizione nella partita delle stelle invece che della sua mancanza.
Cresciuto a pane e calcio, nei primi anni 2000 inizia a seguire il basket NBA e nel 2005-06 si innamora del “7 Seconds or Less” dei Suns di D’Antoni: tifoso Phoenix da allora, nutre un’infinita ammirazione per Steve Nash.