Chiudiamo gli occhi anche solo per un secondo focalizzando le migliori otto squadre della Eastern Conference negli ultimi anni e no, nemmeno sforzandosi con impegno vengono a mente i Toronto Raptors.
Una franchigia giovane, che l’anno venturo spegnerà le venti candeline di permanenza tra le compagini professionistiche Nba, non certo conosciuta quale potenza all’interno di un raggruppamento che da anni arranca proponendo avversarie in grado di accedere alla post-season anche con un bilancio perdente, e che la parola playoffs l’ha potuta pronunciare solamente cinque volte in diciannove anni di faticosa storia.
Il punto più alto del loro percorso risale alla stagione 2000/2001, immortalato dalle poderose schiacciate di Vince Carter, l’ultimo ad arrendersi a suon di trentelli dinanzi ai Philadelphia 76ers di Iverson in una spettacolare semifinale di conference, evento che correda una storia fatta di troppe campagne deludenti ed aspettative mai rispettate, con scelte altissime (Bosh, Bargnani) mai in grado di trasformare la cultura non certo vincente dell’unica franchigia attualmente residente al di fuori degli States.
E’ proprio per questa motivazione che la cima dell’Atlantic Division, piazza in questo momento tenuta stretta dai Raptors, rappresenta un’assoluta sorpresa, se non altro perché la squadra allenata da Dwayne Casey non era attesa a determinati progressi così presto, ma alcuni importanti movimenti di mercato ed una chimica di squadra assai migliorata sono certamente tra le ragioni di questo inatteso successo, che pone Toronto veramente vicina alla sesta qualificazione post-season di questo quasi ventennio.
Le ragioni di tale positività possono essere ricercate in vari fattori che hanno contribuito all’ottenimento di questi risultati, la squadra si è difatti messa a difendere come Casey auspicava facesse già da tempo, il ritmo offensivo è meno soggetto ai freni che l’head coach aveva sostanzialmente imposto l’anno passato, la panchina è migliorata sensibilmente a livello di profondità in seguito alla trade che ha portato Rudy Gay a Sacramento, e molte individualità sono cresciute fino a divenire dei punti di riferimento fissi nei momenti caldi delle partite.
Una di queste individualità è Kyle Lowry, che sta sicuramente proponendo il miglior basket di carriera non solo nei vari settori statistici, ma soprattutto come atteggiamento nei confronti di allenatore e compagni.
Point guard dinamica, velocissima nonché difensore più che competente, Lowry ha tirato fuori le migliori cifre di carriera (17 punti, quasi 8 assist, 4.7 rimbalzi ed 1.6 palle rubate a gara al momento della scrittura dell’articolo) passando sostanzialmente inosservato, probabilmente pagando dazio a causa del comportamento immaturo di cui molti addetti ai lavori hanno preso nota in passato.
Quest’anno, però, i segnali mandati dal giocatore sono stati completamente differenti, a partire da un training camp affrontato in forma fisica adeguata e proseguendo con la lenta ma graduale ricostruzione del rapporto con coach Casey, a testimonianza del fatto che qualcosa, nella mentalità di un ragazzo che aveva avuto frizioni anche con Kevin McHale a Houston, è davvero cambiato.
Lowry ha giocato – e si è comportato – così bene da meritarsi ulteriore fiducia da parte del general manager Masai Ujiri, il quale ha resistito alla tentazione di cederlo entro la deadline di febbraio per proseguire la cavalcata vincente dei Raptors senza cambiare troppo l’assetto di squadra, nonostante la mossa potesse avere un senso logico dal momento che il contratto della point guard da Villanova sarà in scadenza a fine stagione, e Toronto rischia pur sempre di perderlo senza ricavarci alcun che.
Per lui si erano fatti insistentemente avanti i Knicks, bisognosi di affiancare un altro giocatore di valore a Melo, che secondo le indiscrezioni riportate erano arrivati ad offrire un pacchetto comprendente Shumpert, Felton e Udrih per assicurarsi i suoi servigi.
Ma Lowry non è più una distrazione, oramai, ed il progetto che Toronto ha messo a sviluppare prevede delle decisioni a breve termine che saranno determinate dall’esito del presente campionato. Non sembra difatti più esserci l’ombra di quel ragazzo pronto ad oscurarsi ad ogni cambiamento di programma a lui non consono, che in campo dava il cuore sacrificando il suo corpo per raccattare palloni ovunque e fuori passava parecchio tempo con il muso lungo per differenze non conciliabili con il coach di turno.
Ha sicuramente giovato il fatto che Casey abbia smesso di pretendere di volerlo snaturare a tutti i costi per adeguarlo alle sue idee, cercando di fargli giocare un basket più lento e ragionato, due termini che stridono assai se inseriti a forza nella natura di una guardia che vive grazie alla sua velocità nel farsi il campo, nel condurre il contropiede, nel battere l’avversario in penetrazione centrando con molta costanza l’angolo giusto per eludere il proprio marcatore. Nel momento stesso in cui l’head coach ha compreso di doverlo lasciare libero di creare, a costo di incappare in qualche suo famoso turnover o in qualche selezione di tiro non propriamente corretta, Lowry si è dimostrato essere un giocatore così rigenerato da diventare fondamentale per i successi dei Raptors.
E’ un ragazzo istintivo, combattivo, cui non piace certo essere imbrigliato da schemi troppo sofisticati e da ritmi troppo lenti.
La costante della sua carriera cestistica è sempre stata l’aggressività da ambo i lati del campo, e quello che stiamo vedendo oggi è tornato ad essere un Lowry capace di arrivare spesso al ferro, presentandosi però come giocatore ancora più completo di quanto avesse fatto intuire di essere anche negli anni spesi ai Rockets, capace di assumersi tante responsabilità, risultando uno scorer di grande efficacia alzando nel contempo il numero di assistenze per i compagni, continuando ad essere un rimbalzista sopra la media considerandone stazza e ruolo, e consono a gestire situazioni di campo aperto grazie ad una buonissima visione del campo, che gli consente di concludere personalmente in penetrazione o di attirare preziosi raddoppi, che conseguono in scarichi a rimorchio o per i tiratori sul perimetro.
Pur non essendo stato chiamato a New Orleans, per quanto ciò non ci piaccia quale metro di misurazione di un giocatore, avrebbe pienamente meritato una convocazione tra gli All-Stars dell’Est.
A lui della Eastern Conference interessano maggiormente le graduatorie, che desidererebbe far scalare alla sua squadra più in alto possibile, tenendo a debita distanza la concorrenza di Brooklyn, rivale divisionale che ai Raptors ha creato qualche problemino di troppo.
I maligni stanno continuamente sottolineando come il ragazzo stia giocando in questa maniera perché in scadenza contrattuale e quindi in cerca di firmare in estate un contratto più lucrativo dell’attuale, a Toronto hanno invece deciso di tenerlo dandogli fiducia invece di scambiarlo per altra merce da scaricare o qualche scelta futura (ciò che i Knicks si erano rifiutati di dare a febbraio), per poi calibrare nuovamente le strategie di una franchigia che a questo punto cerca più la ricostruzione, ma il mantenimento di un nucleo in grado di fare i playoffs con una certa costanza.
I Raptors sembrano avere i tasselli giusti per cominciare, da questo punto di vista, una corsa lunga: DeMar DeRozan è diventato un risolutore importante nei momenti caldi delle gare, Jonas Valanciunas è un giovane big man di valore che può crescere ancora molto, e la qualità delle seconde linee si è elevata tantissimo grazie alle operazioni di mercato concluse da Ujiri.
Tuttavia, senza un Kyle Lowry grintoso come sempre ma più maturo e concentrato, Toronto non si troverebbe certo in questa posizione. In carriera è stato spesso sottovalutato, ma in questo finale di stagione avrà una ghiotta occasione di dimostrare i suoi innegabili progressi provando a dare fastidio ai colossi della Eastern Conference.
In quel momento, il gioco si farà duro sul serio.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.