Se dovessimo fare un sondaggio tra tifosi NBA relativamente giovani chiedendo loro di elencare le 5 franchigie meno vincenti che riescano ad immaginare, ci sono buone probabilità che la maggior parte infili nella lista i Milwaukee Bucks.
Niente di particolarmente sorprendente, dopotutto i numeri della loro storia recente parlano piuttosto chiaro: negli ultimi 23 anni i Bucks hanno ottenuto un record positivo a fine stagione solo 5 volte, raccogliendo la miseria di 8 presenze ai Playoffs con 7 eliminazioni già al primo turno e una sola Finale di Conference persa (erano gli anni di Ray Allen, Sam Cassell e Glenn Robinson).
Eppure scavando più a fondo nelle fondamenta della franchigia si può notare come la loro storia sia quantomeno dignitosa: tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, subito dopo la fondazione della squadra, le coste del lago Michigan hanno ospitato nientemeno che Kareem Abdul-Jabbar e Oscar Robertson, accoppiata stellare che ha prodotto l’unico titolo ad oggi nella bacheca di Milwaukee (1971, 4-0 nelle Finals contro i Baltimore Bullets di Earl “The Pearl” Monroe) e una finale persa (1974, 4-3 con i Celtics di John Havlicek e Dave Cowens).
Negli anni ’80, pur non riuscendo più ad arrivare alle Finals, la squadra si è mantenuta su ottimi livelli conquistando 7 titoli di Division consecutivi e inanellando ben 12 qualificazioni di fila ai Playoffs, per un totale di 19 presenze alla Post-Season nei primi 23 anni di storia della franchigia.
Ad inizio anni ’90 l’incantesimo si è però spezzato, la differenza tra grandi e piccoli mercati ha iniziato ad allargarsi sempre più, la modesta cittadina di Milwaukee è diventata una delle opzioni meno appetibili per le superstar e i fantasmi di una possibile relocation hanno iniziato ad aleggiare senza sosta fino ai giorni nostri.
Nelle ultime due decadi la franchigia del Wisconsin è così rimasta quasi sempre sospesa in quel limbo cestistico dove stanno le squadre che non sono né forti abbastanza da giocarsi il titolo, né scarse al punto da poter sfruttare i draft nel migliore dei modi (dal 1990 ad oggi Milwaukee ha scelto tra le prime cinque solo 3 volte).
Questa situazione di stallo sembrava dover riguardare anche la stagione 2013-2014, nonostante un frizzante mercato estivo che aveva ridisegnato in buona parte il roster visti i contratti scaduti (tra gli altri) di Monta Ellis, Mike Dunleavy e Samuel Dalembert, le partenze via trade di J.J. Redick, Brandon Jennings, Luc Mbah a Moute e l’arrivo di Giannis Antetokounmpo (via Draft), Luke Ridnour, Khris Middleton, Nate Wolters, Brandon Knight, Caron Butler, O.J. Mayo, Zaza Pachulia, Carlos Delfino e Gary Neal (gli ultimi 4 via Free Agency).
Per averne conferma basta spulciare i Power Rankings di inizio stagione, quando gran parte degli esperti e degli addetti ai lavori inseriva i Bucks nel carrozzone delle franchigie da Purgatorio, a metà strada tra il Paradiso dove svolazzano le contender e l’Inferno in cui bruciano le peggiori squadre in circolazione.
La Regular Season ci ha però messo di fronte ad una squadra in grossa difficoltà fin dall’inizio, dal pessimo rendimento sia offensivo (27° su 30) che difensivo (30° su 30), incapace di raggiungere le 10 vittorie stagionali fino a febbraio inoltrato e che ad oggi ha il peggior record della lega, dietro persino ad una squadra come Philadelphia che ormai nemmeno prova più a vincere le partite.
Ma quali sono le cause di quest’annata terribile? La risposta più semplice e al tempo stesso più maliziosa è ovviamente quella del tanking: forse, dopo interminabili stagioni all’insegna della mediocrità e vista la totale mancanza di appeal nei confronti delle superstar già presenti in NBA, la franchigia del Wisconsin ha deciso di sfruttare la merce pregiata presente nel prossimo draft per pescare un “Franchise Player” su cui costruire un futuro più roseo.
Eppure la dirigenza ha sempre smentito questa ipotesi: “So che non possiamo vincere un titolo NBA” – diceva il General Manager John Hammond prima dell’inizio della stagione – “ma abbiamo un mix di giovani e veterani su cui possiamo costruire il nostro futuro senza dover per forza venir meno alla nostra voglia di vincere ogni partita”.
David Morway, ex GM dei Pacers che ha contribuito in maniera sostanziale alla rinascita della franchigia di Indianapolis e che è entrato nello staff di Milwaukee la scorsa estate, era della stessa opinione: “Non c’è un solo modo per costruire un franchise vincente. Si può anche tankare per ottenere una buona pick nel prossimo draft, ma non c’è nessuna garanzia che la mossa si riveli vincente sul lungo termine. E la storia lo insegna”.
Certo, il fatto che il Front Office dei Bucks dichiari apertamente di voler evitare il tanking non significa necessariamente che questa sia la realtà dei fatti, del resto non ci si può aspettare che ammettano pubblicamente di voler perdere di proposito; d’altra parte, il rendimento della squadra negli ultimi anni sembra confermare questa versione visto che Milwaukee ha sempre cercato di arrivare il più in alto possibile, anche nelle stagioni in cui un buon piazzamento nella lottery avrebbe potuto rilanciare le ambizioni della franchigia.
C’è però un altro fattore da considerare tra le possibili cause di questo sfacelo, ovvero gli innumerevoli infortuni che hanno decimato il roster di Larry Drew a più riprese: Larry Sanders ha giocato solo una ventina di partite a causa di due differenti infortuni ed è tuttora fuori causa, Zaza Pachulia è rimasto fuori per quasi metà stagione, Carlos Delfino è stato operato al piede destro ad ottobre e non vedrà il campo prima del prossimo Summer Camp, mentre praticamente tutti gli altri membri del roster hanno accusato qualche problema che si è tradotto in un numero più o meno grande di partite saltate.
In ogni caso, indipendentemente da quali siano le cause del crollo verticale di quest’anno, è probabile che in casa Bucks si stia pensando al futuro già da qualche mese e che ciò porti alla domanda che ogni General Manager finisce per porsi agli albori di una (possibile) rinascita: su chi fondare la squadra del futuro?
Lasciando un attimo da parte il discorso Draft che affronteremo più avanti, concentriamoci prima su chi veste già la maglia verde dei “Cervi” provando ad ipotizzare un quintetto futuribile basato sull’età e sul potenziale dei giocatori:
Point Guard – Nate Wolters | 193cm | 86kg | 22 anni
38^ pick dello scorso Draft, Wolters è stato scelto da Washington prima di essere immediatamente girato a Philadelphia e infine a Milwaukee, in due trade separate avvenute il giorno stesso della sua chiamata.
Inizialmente catalogato come “benchwarmer” (scaldapanchina), ha approfittato degli infortuni delle guardie davanti a lui in rotazione per ottenere fin dalla prima uscita stagionale un notevole minutaggio.
Ed è stata una fortuna per coach Drew, che ha scoperto di avere tra le mani uno dei playmakers più efficienti in circolazione: infatti, con un rapporto Assist/Turnovers di 3.55, in questa particolare classifica Wolters è terzo in NBA dietro solo a Chris Paul e Jose Calderon.
Per guadagnarsi il posto da titolare fisso deve ancora migliorare molto nelle percentuali dal campo, ma sta già mostrando miglioramenti costanti con il passare delle partite.
Point Guard / Shooting Guard – Brandon Knight | 191cm | 86kg | 22 anni
Scelto dai Pistons con l’ottava pick nel Draft 2011, l’ex-Kentucky si è guadagnato fin da subito il posto da titolare nel back-court di Detroit senza però mai riuscire a soddisfare pienamente le attese, tanto che dopo sole 2 stagioni nella Motor City è stato inserito senza troppi patemi d’animo nella trade che ha portato Jennings in Michigan l’estate scorsa.
Tra le mani di Larry Drew il giocatore ha però iniziato una crescita costante che, nonostante la pessima stagione della squadra, lo sta portando a stabilire il Career High in punti a partita, assist, rubate e percentuale dal campo. E, secondo chi ha modo di vederlo all’opera tutti i giorni, questa crescita è solo all’inizio.
Small Forward – Giannis Antetokounmpo | 206cm | 93kg | 19 anni
Soprannominato “The Greek Freak”, il 19enne è atterrato in NBA con la 15^ pick dello scorso Draft nonostante non avesse mai messo piede sui parquet che contano, avendo giocato una sola stagione da professionista nella seconda divisione greca.
Ciò che ha convinto i Bucks a puntare su di lui, nonostante la totale inesperienza, è il suo straordinario potenziale atletico: dotato di mani enormi e di un fisico ancora in crescita (alcuni report parlano di quasi 2cm di statura guadagnati in 8 mesi), Antetokounmpo ricorda da vicino, almeno a livello fisico, il primo Durant.
Tecnicamente deve ancora migliorare tantissimo ma già oggi sa portare palla in transizione con buona efficacia e, grazie alle sue lunghissime braccia, può difendere senza grosse difficoltà su 3 diversi ruoli. Se la sua crescita fisica e tecnica dovesse continuare a questi ritmi, tra qualche anno Milwaukee potrebbe avere tra le mani una superstar di livello assoluto.
Power Forward – John Henson | 211cm | 100kg | 23 anni
Al secondo anno in maglia Bucks dopo essere stato scelto con la 14^ chiamata nel Draft 2012, Henson è un atleta che unisce i centimetri di un centro alla velocità di piedi di una guardia.
Potenzialmente giocatore da doppia doppia fissa, è già oggi un ottimo stoppatore ma denota evidenti limiti in fase offensiva dove raggiunge a malapena il 30% di conversione fuori dal pitturato, problema piuttosto grave per un Power Forward nella NBA moderna: il suo futuro ad alti livelli dipende molto dall’evoluzione del suo gioco offensivo lontano da canestro.
Center – Larry Sanders | 211cm | 106kg | 25 anni
Dopo soli 3 anni a Milwaukee, Sanders si è imposto come una delle presenze maggiormente intimidatorie della lega nel pitturato chiudendo la scorsa stagione con la media di 2.8 stoppate a partita, secondo in NBA dietro al solo Ibaka.
Come il compagno di squadra Henson ha qualche lacuna di troppo nel gioco offensivo fuori dal pitturato, tende a commettere troppi falli (ma questo è un problema comune a quasi tutti i lunghi stoppatori) e più di una volta ha finito per perdere la testa dopo un fischio arbitrale a lui contrario, ma nonostante questi difetti il suo tremendo potenziale difensivo potrebbe farne l’ancora dei futuri Bucks.
Si tratta di un quintetto (senza dimenticare la presenza a roster di altri mestieranti di buon livello come OJ Mayo, Ilyasova e Udoh) che intriga molto, almeno in prospettiva futura. Naturalmente non si può prevedere lo sviluppo del roster a seguito di eventuali future trade, ma in base al materiale umano a disposizione di Larry Drew in questo momento si può ipotizzare che, nel caso in cui tutti i giovani riescano ad evolversi nel migliore dei modi, il futuro di Milwaukee possa essere piuttosto promettente.
Lo Starting Five ipotizzato qui sopra è infatti molto versatile (almeno 3 giocatori possono giocare in più ruoli), con un front-court dalle qualità atletiche impressionanti e dalle capacità difensive non indifferenti. Intendiamoci, non è certo un quintetto all’altezza delle attuali contender: le qualità della squadra sono evidentemente sbilanciate verso la difesa, visto che manca un vero e proprio scorer e i due lunghi hanno un range offensivo estremamente limitato.
Ma è proprio qui che potrebbe rivelarsi fondamentale il prossimo Draft, visto che come detto in precedenza ad oggi i Bucks siedono in fondo agli Standings e, se la stagione dovesse finire così, avrebbero il 25% di ottenere la prima scelta e in ogni caso il 100% di scegliere tra le prime quattro.
Nel caso di prima scelta, quale sarebbe l’opzione migliore? Ipotizzando che tutti i papabili si dichiarino “draftabili” (situazione a dire il vero non scontata, ma presupponiamo che sia così per semplicità), la scelta non sarebbe semplice.
Joel Embiid, centro di Kansas considerato da molti il miglior prospetto, è un giocatore tecnicamente ancora molto grezzo ma dal potenziale assolutamente stratosferico; il suo compagno di squadra Andrew Wiggins è uno Small Forward dall’atletismo smisurato e dalle ottime qualità di scorer, è forse il giocatore dalle prospettive migliori in assoluto anche se sembra meno “NBA Ready” rispetto ad altri compagni di draft; Jabari Parker è un’altra superstar in costruzione, ala meno atletica rispetto a Wiggins ma altrettanto pericolosa in attacco, forse al momento più completo e pronto per fare la differenza fin da subito.
Ci sono poi altri prospetti estremamente interessanti, ma questi sono i tre nomi che dovrebbero giocarsi la prima chiamata. Premesso che si cadrebbe in piedi con uno qualsiasi dei tre e che tutti garantirebbero un notevole passo in avanti, Embiid è forse quello meno indicato visto che, pur garantendo un upgrade rispetto a Sanders (soprattutto sul lungo termine), non risolverebbe il problema della mancanza di uno scorer puro.
Problema che invece potrebbero risolvere gli altri due, con una lieve preferenza personale su Wiggins che a mio avviso si sposa meglio con le caratteristiche dei giocatori già presenti nel roster dei Bucks, nonostante un possibile dualismo di posizione con Antetokounmpo che però non dovrebbe creare grossi problemi vista la versatilità di entrambi i cestisti.
Non rimane che attendere: se Larry Drew e il suo staff dovessero riuscire a gestire nel migliore dei modi la crescita di una squadra dal potenziale così elevato, tra qualche anno Milwaukee potrebbe tornare ad essere una contender a tutti gli effetti.
Cresciuto a pane e calcio, nei primi anni 2000 inizia a seguire il basket NBA e nel 2005-06 si innamora del “7 Seconds or Less” dei Suns di D’Antoni: tifoso Phoenix da allora, nutre un’infinita ammirazione per Steve Nash.
scusate ma solo a me non funziona il forum da almeno un paio di giorni?
No, è un problema generalizzato. Stiamo aspettando che l’host del forum risolva un problema tecnico; inoltre il webmaster del forum è un ferie per cui siamo un poco in emergenza…
ok grazie Max :)