Non penso che qualcuno di voi sia mai stato nel Dakota del Sud – tanto meno il sottoscritto – terra di tornado, lande desolate, suggestivi scenari e nulla più, se non fosse per una delle maggiori attrazioni che il Midwest degli States possa offrire: il Monte Rushmore.
Quattro volti di quattro famosi presidenti americani: George Washington, Thomas Jefferson, Theodore Roosevelt e Abraham Lincoln; scolpiti nella roccia del massiccio montuoso delle Black Hills, come simbolo, rispettivamente, della nascita, della crescita, dello sviluppo e della conservazione degli Stati Uniti.
Ora, immaginatevi se su questa imponente e impegnativa scultura (ci vollero ben quattordici anni per ultimarla) ci fossero impressi i visi dei quattro giocatori NBA più rappresentativi della storia.
Ma facciamo un piccolo passo indietro, precisamente a qualche giorno fa, quando tale LeBron Raymone James, durante un’intervista con uno che di basket se ne intende, come Steve Smith, gli viene posta la seguente domanda:
“Chi metteresti sul tuo Monte Rushmore?”
“Beh, i primi tre sono facili: Michael Jordan, Larry Bird e Magic Johnson” risponde LeBron senza un minimo di esitazione. Poi fa un breve, ma intenso sospiro, prima di affermare: “Ora dirò il mio quarto…”
Ok King, stiamo aspettando, qual è questo benedetto nome? Ancora nulla. James prova a prendere tempo, mentre Smith si fa beffe di lui, ripetendo dentro di sé: “L’ho messo in difficoltà, ora voglio proprio vedere come ne salta fuori.”
“Oscar Robertson!” esclama, improvvisamente, il Prescelto.
What?!
Ebbene sì, LeBron ha messo la faccia di The Big O sul suo Mount Rushmore, tra i quattro giocatori più forti di sempre.
Fin qui tutto ok, almeno fino a quando un mostro sacro come Bill Russell è salito sulla cattedra, bacchettando, seppur con ironia, il numero 6 di Miami, reo di non aver nemmeno preso in considerazione la sua presenza, scatenando un conseguente – e assai montatissimo – dibattito, andato in onda anche sui vari social network, dove persone di dubbia conoscenza cestistica hanno provato a prendere una posizione, dividendosi in due fazioni ben distinte.
Quanto a me, non sono mai stato molto avvezzo a questo tipo di “giochini” di stampo prettamente americano, soprattutto se riguarda il discorso di eleggere una sorta di “club dei migliori” come in questo caso.
“Scusa Nicholas, ma allora perché hai voluto scrivere questo articolo?”
Giusta osservazione, ma devo ammettere che, questa volta, volente o nolente, mi sono sentito letteralmente coinvolto, sia per la mia stima nei confronti di un giocatore come LeBron James, sia per il mio sconfinato amore per Bill Russell che rappresenta un’epoca andata e che, personalmente, avrei voluto vivere e assaporare, giusto per capire cosa si provasse ad ammirare le eleganti gesta del numero 6 dei Celtics, magari in uno dei tanti scontri con un altro titano che occupava le aree in quegli anni, quel Wilton Norman Chamberlain aka “Wilt the Stilt” or “The Big Dipper”.
Cos’abbia spinto LBJ verso Oscar Robertson ancora non mi è chiaro. Perdindirindina, rimarrà sempre un giocatore straordinario, l’unico ad aver completato una stagione con una tripla-doppia di media. E’ stato rookie dell’anno nel 1961, MVP nel 1964, campione del mondo nel 1971 e dodici volte All-Star, ma basta questo per spiegare tale decisione? Forse no.
Ok, siamo tutti d’accordo sul fatto che le scelte sono soggettive e che ognuno le compie in base ai propri gusti personali, ma da qui a spodestare un mostro sacro come Russell ce ne vuole. Uno che piazzerei lì sopra anche se fossi bendato come Cedric Ceballos durante la gara delle schiacciate del ’92.
Il buon vecchio William Felton si è fatto strada dalla Louisiana, sconfiggendo il razzismo ancora fin troppo dilagante e diventando uno dei pionieri dell’integrazione razziale all’interno della lega di basket più importante del pianeta. Sgomitando contro tutto e tutti- come sapeva già benissimo fare nella vita – è diventato un’icona degli anni ’60, in cui, con i suoi Celtics, conquistò la bellezza di otto titoli, undici in tredici anni di carriera.
Il giocatore più vincente di sempre negli sport nordamericani, insieme ad Henri Richard dei Montreal Canadiens. Talmente vincente che l’NBA ha deciso di onorarlo rinominando il premio di Most Valuable Player delle Finals, con il suo nome, quello stesso premio che il nostro LeBron ha vinto per ben due volte.
Ti sei ricordato ora, caro LeBron, di quell’omaccione anziano con barba e capelli bianchi che ti ha consegnato il trofeo lo scorso giugno e quello prima ancora? Ti sei ricordato ora, sempre di quell’omaccione anziano con barba e capelli bianchi che tu e i tuoi colleghi avete omaggiato cantandogli “Happy Birthday to You” in una pausa dell’All-Star Game di una settimana fa? Arrivati a questo punto, dici che merita di essere scolpito su questo benedetto monte, oppure no?
Quindi, va bene mettere Jordan, Bird e Magic, ma escludere Bill Russell è, a mio parere, come dimenticarsi che esista la pallacanestro. Fine. Peace.
Personal trainer e grande appassionato di sport americani. Talmente tanto che ho deciso di scrivere a riguardo.
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