Non sono lontani i tempi in cui gli Indiana Pacers erano una delle tante franchigie dalle scarse ambizioni e dal futuro incerto, quando anche l’ottavo posto nella Eastern Conference era un’autentica chimera e l’unica speranza dei tifosi era di pescare bene nel draft successivo all’ennesima annata negativa.
Ma nel corso di sole 3 stagioni i Pacers sono passati dall’essere una squadra di bassa classifica a vera e propria contender, in grado persino di mettere in discussione la leadership di Miami sulla Eastern Conference e sull’intera lega.
I motivi di questa straordinaria trasformazione, impossibile da pronosticare solo qualche anno fa, sono diversi: l’arrivo di Vogel, che alla prima esperienza da Head Coach si è rivelato uno dei migliori in NBA a livello difensivo; l’evoluzione di Roy Hibbert, divenuto in breve tempo una delle presenze più intimidatorie sotto canestro dell’intera lega; l’esplosione di Paul George, già innalzato al ruolo di superstar assoluta a soli 23 anni; la sinergia che c’è tra i primi 7 o 8 giocatori della rotazione, tutti in grado di sovrapporsi l’un l’altro a livello tattico e di posizione, senza però mai finire per pestarsi i piedi.
C’è però un giocatore che gode di ben poco credito quando si tratta di trovare le ragioni del successo dei Pacers, un giocatore che da molti viene considerato l’anello debole di una macchina all’apparenza quasi perfetta e che anche molti fan di Indiana stessa non esitano ad infilare in ogni trade quando si gioca a fare il General Manager tra tifosi: stiamo parlando di George Hill, point guard titolare della squadra dai Playoffs 2012 (quando “rubò” il posto a Darren Collison) in poi.
Nato e cresciuto proprio ad Indianapolis, dove ha anche mosso i primi passi nel basket di un certo livello tra la Broad Ripple High School e la Indiana-Purdue University (sempre come Shooting Guard), nel Draft 2008 viene scelto alla 26^ da San Antonio e l’anno successivo è già nella rotazione di Popovich, giocando da back-up dei titolari e alternandosi tra SG (soprattutto) e PG.
Ma dopo 3 stagioni in maglia Spurs, nonostante un buon rendimento e il guadagnato apprezzamento di tifosi e compagni, Hill torna nella sua città natale via trade in cambio di Kawhi Leonard (e spicci).
Ad Indianapolis ci mette meno di un anno a conquistare coach Vogel e a guadagnarsi i gradi di starter, a discapito come detto in precedenza dell’allora play titolare Collison. Da lì in poi, come si suol dire, è storia recente. Ma quale aspetto del gioco di Hill ha catturato Vogel, al punto da convincere l’ex Video Coordinator dei Celtics a cambiargli definitivamente ruolo pur di trovargli spazio nello Starting Five?
A livello puramente statistico, effettivamente, si può trovare di meglio: il buon George non è un giocatore dai grandi numeri, visto che ad oggi si attesta intorno a 11 punti, 3.5 assist, meno di 4 rimbalzi e 1 rubata a partita. Questi numeri sono persino in calo rispetto all’anno scorso, quando concluse l’annata con medie a partita di 14.2 punti, 4.7 assist e 3.7 rimbalzi.
Ma se è vero che le statistiche bastano a tracciare un quadro ben definito delle capacità di molti cestisti, per Hill è necessario analizzare più a fondo quello che fa in campo per apprezzare meglio il suo apporto alla squadra: per farlo nel dettaglio, iniziamo dallo scindere il suo gioco in fase offensiva e difensiva.
In attacco è fuori dubbio che il prodotto di Indiana-Purdue abbia dei limiti piuttosto evidenti: gli manca la visione di gioco da vero playmaker (del resto gioca in questo ruolo da un paio di stagioni), non ha la capacità di bruciare l’avversario in 1 vs 1 o attaccare il ferro come invece fanno molte PG moderne, e non è molto efficace nel gestire i Pick n Roll palla in mano.
D’altro canto, la scarsa produzione di Hill in fatto di punti ed assist non è frutto soltanto dei suoi limiti: il gioco dei Pacers prevede che in diverse occasioni sia Lance Stephenson che Paul George si sostituiscano al playmaker per avviare l’azione, quindi in sostanza Hill ha meno palloni giocabili per accumulare numeri sul Box Score.
Una prova di ciò è che il numero 3 di Indiana commette pochi errori nella distribuzione della palla (1.3 TO a partita, migliore tra i titolari) e, quando ha modo di concludere l’azione, tira con percentuali eccellenti: 51% da 2 (dietro solo a Stephenson) e 37% da 3 (migliore tra i titolari alla pari con Paul George), il tutto tirando solo 8.5 volte a partita (minimo tra i titolari).
Semplicemente non è la prima opzione offensiva della squadra e non gli viene chiesto di iniziare e gestire ogni singolo possesso, di conseguenza i suoi numeri offensivi ne risentono al punto da far pensare che sia un giocatore meno consistente di quello che in realtà è.
Il maggior contributo di Hill alla squadra, però, si vede in fase difensiva: i Pacers sono la miglior squadra della lega per punti concessi e la PG è un ingranaggio fondamentale in ciò.
Ormai molte squadre sfruttano i Pick n’ Roll per avviare ogni singolo set d’attacco, e la squadra di Vogel è la migliore in NBA a difendere in queste situazioni: sui PnR centrali avviati dal play avversario, la tattica difensiva di Indiana prevede generalmente che Hibbert arretri fino al limite del pitturato per chiudere possibili tentativi di penetrazione, George e Stephenson accorcino per chiudere eventuali sbocchi dai lati e Hill rimanga attaccato al portatore di palla senza farsi rallentare dal blocco per contestare un eventuale (e probabile, visto il posizionamento dei compagni) tiro dalla media distanza.
E Hill è sorprendentemente efficace nel fare ciò, riuscendo quasi sempre a seguire l’avversario senza perdere tempo sul blocco e potendo quindi difendere alla grande su ogni possibile scelta della PG avversaria.
Sui PnR laterali, Hill è altrettanto efficace nell’anticipare il blocco e indirizzare l’avversario sul lungo linea, dove Hibbert è pronto a chiudere la strada verso il canestro. Quando invece il PnR è avviato da un avversario diverso dal play, Hill è ottimo anche nell’attuare il lavoro difensivo che di solito fanno Stephenson e George sui lati.
Naturalmente la difesa sui PnR, per quanto ottima, non è l’unico fattore decisivo per il successo della difesa di Indiana: Hibbert è uno dei migliori nella difesa del pitturato mentre George e Stephenson sono difensori di grande qualità nelle marcature a uomo.
Ma anche nel caso degli 1vs1 non è da sottovalutare l’apporto difensivo di Hill, in grado di limitare con ottimi risultati molte delle guardie avversarie e persino giocatori più grossi di lui (a San Antonio conquistò il cuore dei tifosi dopo aver praticamente annullato niente meno che un certo Kobe Bryant).
In conclusione è sicuramente vero che in giro per gli States ci sono point guard più efficaci di Hill, alcune delle quali potrebbero effettivamente rappresentare un upgrade per Indiana soprattutto in fase offensiva; d’altra parte, in una squadra il cui successo è dato principalmente dalla difesa, è difficile trovare un playmaker in grado di calarsi negli schemi difensivi di Vogel meglio di quanto riesca a fare l’attuale numero 3 dei Pacers.
E quando una macchina funziona bene, perché rischiare di farla inceppare cambiando un ingranaggio magari più piccolo degli altri, ma che fa alla perfezione il lavoro per cui è stato scelto?
Cresciuto a pane e calcio, nei primi anni 2000 inizia a seguire il basket NBA e nel 2005-06 si innamora del “7 Seconds or Less” dei Suns di D’Antoni: tifoso Phoenix da allora, nutre un’infinita ammirazione per Steve Nash.