Doveva essere una trade deadline senza grossi scossoni, con qualche minimo aggiustamento al cap da parte di alcune squadre e altre alla ricerca di un backup di terz’ordine perchè “non si sa mai”, ma niente di più.
Invece qualche novità interessante è avvenuta: i grossi nomi, i Rondo e i Love della situazione, non si sono mossi, ma qualcosa comunque è cambiato, sia a livello di contender che delle underdog.
Cominciamo dalla trade meno citata e più sottovalutata, forse anche perchè arrivata il giorno prima della deadline: Steve Blake a Golden State – con Kent Bazemore e MarShon Brooks che si accasano nella città degli Angeli – significa dare ai Warriors il pezzo che stavano inseguendo dal giorno in cui in free agency hanno perso Jarrett Jack: il playmaker di esperienza e buon ball handling a cui dare la palla in mano sotto pressione.
Si, perchè Stephen Curry è unico quando si tratta di creare gioco e sparare missili teleguidati da 8 e più metri, ma come riesce lui a perdere palla contro le difese aggressive e a tutto campo, non ci riesce nessuno.
La dirigenza Warriors si è probabilmente fatta ingolosire la scorsa estate dall’opzione Iguodala, che costa troppo per quel che rende e soprattutto ha stoppato la crescita di Harrison Barnes, ma non si può dire che non sia attiva nel tentativo di far avere alla squadra i pezzi mancanti.
Spencer Hawes ai Cavs – in cambio di Earl Clark, Henry Sims e 2 seconde scelte future – non è dato sapere a cosa possa servire. A raggiungere i playoffs no di certo. In tutta la NBA c’è un pacchetto lunghi peggio assortito di Varejao-Thompson-Hawes-Bennett? Cambiamo argomento…
Andre Miller ai Wizards formalmente va a fare da chioccia a John Wall; in pratica, va a rompere le scatole da un’altra parte, visto che ovunque vada vuole tanti minuti in campo, comandare lui, e possibilmente partire in quintetto. La differenza è che a Washington troverà pane per i suoi denti in spogliatoio, con tipetti tipo Wall e Beal pronti ad accoglierlo – si fa per dire – a braccia aperte. Auguri.
I Bobcats continuano a dimostrare di essere finalmente gestiti con un senso acquisendo 2 giocatori tutta sostanza come Gary Neal e Luke Ridnour: senza essere dei fenomeni, nel deserto dell’Est possono essere la differenza fra un ottavo e un decimo posto.
Gli Spurs continuano ad essere innamorati dei giocatori alla Leonard, per cui danno una chanche a Austin Daye, pterodattilo di 6-11 con gioco da esterno, in cambio di Nando De Colo. Mal che vada, l’estate prossima il suo buyout costa solo 250.000 dollari…
Last but least: il quasi colpaccio. Indiana spedisce Danny Granger a Philadelphia – un discutibile ringraziamento dopo 9 anni insieme – per ottenere Evan Turner e Lavoy Allen. Apparentemente, Bird sembra un genio: cedi il tuo veterano sempre infortunato per un giovane in rampa di lancio.
Però subito dopo l’euforia iniziale uno si chiede: ma chi gliel’ha fatto fare? L’ex prima scelta di Philadelphia finora ha dimostrato di rendere solo se a) gioca da titolare, b) passa tutto il tempo con la palla in mano e c) tira tutto quello che gli passa in mano. Adesso ha 2 mesi per inserirsi in una contender che gioca un attacco corale e controllato e che ha nel suo ruolo uno Stephenson titolare inamovibile (e permalosetto).
Se poi a questo aggiungiamo il fatto che i Sixers stanno per liquidare Granger che così sarà libero di andare dove vuole (Heat e Spurs son già pronti a firmarlo) ecco che d’un tratto la trade sembra già un po’ meno geniale.
Max Giordan
segue l’NBA dal 1989, naviga in Internet dal 1996.
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