C’erano una volta la dynasty. C’erano una volta Bill Russell e Wilt Chamberlain, John Havlicek e Jerry West.
C’erano una volta anche Larry Bird e Magic Johnson, Kevin McHale e Kareem Abdul-Jabbar.
C’erano una volta, e ci sarebbero ancora, Kobe Bryant e Paul Pierce, Pau Gasol e Kevin Garnett. Ci sono ancora, ma è come se non ci fossero, chi out per infortunio chi perchè non veste più la stessa maglia.
Ci sono, invece, e giocano i Kendall Marshall e i Phil Pressey, i Robert Sacre e i Kelly Olynyk. No, decisamente non sono più i Lakers e i Celtics dei vostri padri.
Con questa premessa sembrerebbe passata un’eternità dai fasti di un tempo. In realtà non più di 4 anni fa Lakers e Celtics si affrontavano in una finale combattutissima risolta in gara 7 a favore dei gialloviola.
Da lì è iniziata la parabola discendente: i Lakers che falliscono il three-peat con Phil Jackson che saluta la compagnia, i Celtics che si scontrano con i nuovi “big three” di Miami e ne escono sconfitti dando il via a quel processo di sgretolamento che porterà alle partenze di Pierce, Allen, Garnett e coach Rivers.
Per entrambi questo è l’anno zero, a Boston ne erano coscienti dalla prima palla a due, a Los Angeles lo hanno capito strada facendo.
Se nel Massachussets il processo di rinnovamento è stato più semplice da attuare, nella grande metropoli della California bisogna sempre fare i conti con uno Staples Center esigente e con una franchigia che muove milioni e milioni di dollari.
A Boston si è messo un punto ripartendo da un coach giovane alla prima esperienza in NBA come Brad Stevens. A sua disposizione una squadra piena di giovani e veterani in scadenza di contratto con l’eccezione di Rajon Rondo, unico superstite dei Celtics di Rivers.
Il play, rientrato da poco dall’infortunio al ginocchio subito nella scorsa stagione, è il punto fermo da cui ripartire. L’obiettivo? Il prossimo draft che si preannuncia pieno di buoni prospetti e da cui pescare un buon giocatore per riaccendere il “Pride” del TD Garden.
Diversa la situazione nella città degli angeli dove i Lakers erano partiti con l’obiettivo di centrare i playoffs convinti di poter contare su un Bryant in più da metà stagione. Il black mamba effettivamente è tornato a tempo di record, ma si è nuovamente fermato per un problema al ginocchio che lo ha costretto ad altri 2 mesi (minimo) di stop.
Già gli infortuni, ai Lakers sono stati la costante di questa stagione con Nash, Gasol, Kobe e Blake ai box per diverse partite. Con questi chiari di luna gli obiettivi stagionali sono presto svaniti portando la dirigenza a non disdegnare un anno di tanking in attesa di tempi migliori.
Nel frattempo è stato rinnovato il contratto a Bryant, un biennale da 48 mln di dollari piuttosto pesante viste le sue non perfette condizioni fisiche. Il 24 e Steve Nash sono gli unici giocatori sotto contratto per la prossima stagione, a dimostrazione di come si voglia chiudere un capitolo e ripartire da capo magari con l’acquisto di una grande stella (Kevin Love?).
Un impronosticabile 18-33 è il record attuale di L.A. che occupa il penultimo posto ad Ovest e rischia seriamente di essere superata anche da Jazz e Kings. 19-34 è, invece, il bilancio dei Celtics che hanno la fortuna (sfortuna in ottica tanking) di trovarsi nella Conference più debole, quell’Est che vede inesorabilmente ultimi i Bucks con sole 9 vittorie.
Quindi Lakers e Celtics giocheranno per perdere? No, o almeno non proprio. I giocatori continueranno ad andare in campo cercando di vincere per tutti e 48 i minuti, ma alla lunga la differenza tecnica tra le squadre viene fuori, alla lunga la squadra migliore e più affamata di vittoria la spunta.
A Boston difficilmente le cose potranno cambiare, a Los Angeles bisognerà fare i conti la variabile Kobe, uno che di perdere proprio non ne vuole sapere e avrà voglia di dimostrare che la sua carriera non è ancora giunta al capolinea.
Capolinea che, invece, si avvicina sempre più per Pau Gasol, il catalano è in scadenza di contratto, ma ci sono buone possibilità che lasci Los Angeles prima del termine della stagione. I Lakers stanno provando a cederlo per liberare ulteriore spazio in vista dell’estate, mossa che, Kobe o non Kobe, metterebbe la parola fine alle velleità di risalita in classifica dei gialloviola.
Non resta che attendere il mese di giugno quando oltre al draft 2014 si potrà pescare nel mercato dei free agent magari provando a convincere un Lebron James o un Carmelo Anthony a vestire una divisa gloriosa, una divisa che è più di una semplice canotta da gioco.
Lakers e Celtics anche in uno dei peggiori anni della loro storia restano le franchigie più vincenti. Questione di dynasty.