durhard355Il tiro libero: occasione per punti facili per molti, una chimera per i forzati della lunetta (citofonare Howard Dwight e Jordan DeAndre per informazioni), l’Eldorado per pochi eletti che sono una sentenza dal campo e a maggior ragione dalla linea della carità.

Ma come fa questo frangente del gioco, in apparenza uno dei più semplici e banali, a diventare parte integrante del bagaglio a disposizione di un giocatore?

Per capirlo occorre prendere appunti delle lezioni di due docenti in materia: parliamo di Kevin Durant e James Harden, due dei fuoriclasse della lega, due scorer purissimi che hanno fatto dell’arte dell’andare in lunetta una parte significativa della loro scatola dei trucchi del mestiere.

Partiamo dalle nude cifre che, come sempre, non dicono tutto ma in questo caso tracciano un quadro d’insieme già abbastanza significative: KD e il Barba sono infatti soci del club d’élite dei giocatori che effettuano in media più di 8 tiri liberi a sera.

Al momento in cui scriviamo, Durant guida la speciale classifica con ben 9.8 tentativi di media a partita, tallonato da Howard (9.6), davanti a Cousins e allo stesso Harden che insegue a quota 8.6 (mentre più staccati troviamo Griffin e Love).

Entrambi i nostri osservati speciali sono chirurgici dalla lunetta: l’88% di realizzazione consente a KD di stabilirsi al quinto posto tra i tiratori di liberi più precisi della lega, oltre a mettere a referto quasi 9 punti tirando in solitaria; il Barba risponde con un altrettanto significativo 85% (diciannovesimo miglior dato assoluto), per 6 punti gratis a serata.

Ma, una volta appurato (e non c’era certo bisogno di una nostra commissione d’inchiesta) che i due ex compagni di squadra sono tra i più assidui e prolifici tiratori dalla linea della carità, può essere interessante capire in che modo questi due grandi giocatori riescono a procacciarsi un numero così elevato di viaggi in lunetta.

La premessa, doverosa, è quella di considerare lo status ormai acquisito da entrambi nella lega più famosa del mondo: parliamo di due superstar del gioco, il che fa derivare come corollari tanto l’attenzione delle difese avversarie quanto quella degli ufficiali di gara. È inoltre da aggiungere che Durant e Harden possono contare sul fattore età: entrambi giovanissimi e nel fiore degli anni, sfruttano una freschezza atletica che permette loro di cercare e trovare contatti praticamente a piacimento.

Dopo un prologo introduttivo possiamo entrare nel vivo della nostra analisi, provando a capire nel dettaglio i segreti del mestiere di questi “artisti del contatto”.

Il modo in cui i due fuoriclasse vanno in lunetta va a braccetto con i rispettivi stili di gioco: Durant può contare su una varietà pressoché infinita di movimenti per avvicinarsi al ferro, che gli consentono di essere letale e versatile anche in questo aspetto del gioco.

KD può prendere un fischio sia con accelerate improvvise in palleggio sia portando l’avversario in post, sfruttando le sue lunghe leve e la sua proverbiale agilità per costringerlo a dover usare le maniere forti.

Harden, invece, ha due diverse situazioni predilette: la partenza in isolamento, dalla quale può cercare di liberarsi per il tiro o, in alternativa, scegliere di buttarsi in penetrazione sfruttando il suo fisico compatto e la grande forza della quale è dotato; oppure, o meglio soprattutto, l’attacco in transizione.

Non è raro vedere il Barba impossessarsi rapidamente del pallone dopo un rimbalzo difensivo o un canestro subito, correndo subito in attacco e prendendo spesso e volentieri il tempo al diretto marcatore grazie anche all’atipicità della sua mano mancina, capace di disorientare più di un avversario.

Le differenze tra i due, però, non si fermano certo qui. Anzi, il tratto distintivo più marcato risiede proprio nel momento nel contatto, nell’istante nel quale i due concretizzano il fine lavoro di preparazione al contatto con il difensore.

Quelli di Durant, generalmente, non sono creati ad arte: il primo pensiero di KD, quando si trova di fronte al diretto avversario col pallone in mano, è quello di trovare la strada per arrivare a canestro. I falli subìti dal 35 di OKC sono quindi di tipo “terminale”: è la difesa a dover cercare il contatto per fermare lo strapotere cestistico dell’avversario, che per parte sua sembra concentrarsi quasi esclusivamente sulla soluzione più efficace per fare canestro.

Per questo motivo, i falli ai danni di Durant sono per la maggior parte portati al corpo: le sue braccia infinite restano infatti sempre molto composte, difficilmente raggiungibili da quelle della difesa a causa della loro posizione spesso raccolta nel gesto del tiro.

Harden adotta invece una tattica completamente opposta: il Barba è una sorta di Arsenio Lupin del pitturato, avendo ormai affinato una tecnica che, a quanto si evince dai numeri, risulta davvero efficace.

La guardia di Houston è costantemente alla ricerca del corpo del difensore, sfruttando la sua grande forza che gli permette di assorbire al meglio i contatti anche con avversari più corazzati, ma sfoggiando anche un trucco che un altro mancino terribile come Manu Ginobili ha tramandato alle nuove generazioni: Harden, infatti, si butta a capofitto in mezzo alle maglie avversarie, portando le braccia in avanti quasi ad esporre il pallone alla mercé dei difensori, che sono soliti cadere nella trappola.

Per questo motivo, gran parte dei falli fischiati al Barba sono il risultato di un contatto sulle braccia. Una strategia che si rivela una perfetta esca per portare a casa un fischio e un giro in lunetta.

Ci troviamo quindi di fronte a due fuoriclasse che hanno trovato l’alchimia per fare del tiro libero una delle chiavi di volta del loro gioco. Il percorso seguito, come abbiamo visto, è però molto diverso: Durant è poesia in movimento, un artista prestato alla pallacanestro che può essere fermato (raramente, peraltro) solo con le cattive; Harden invece è forza bruta e astuzia, necessaria soprattutto in una stagione tormentata da vari acciacchi che lo costringono ancor di più a fare di necessità virtù, ricorrendo all’aiuto di alcuni trucchi del mestiere.

Entrambi, però, hanno scoperto e abbracciato l’arte dell’andare in lunetta; l’hanno appresa, coltivata e portata al livello successivo, diventando dei luminari della materia.

 

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