clip7097L’inizio del nuovo anno non ha portato buone nuove per i lanciatissimi Clippers di Doc Rivers, anzi sembrava essersi aperto nel peggior modo immaginabile: infortunio serio per Chris Paul, l’indiscusso leader tecnico e carismatico dei velieri, l’uomo che li ha trasformati da eterna barzelletta della lega in potenziale contender.

Nella nottata del 4 gennaio scorso nel corso della sfida vinta contro i Mavs il miglior playmaker della lega si è infortunato alla spalla e lo staff medico Clips aveva previsto dalle tre cinque settimane di stop, generando immediatamente un certo panico nei tifosi dal momento che vi erano dubbi giganteschi su come la squadra avrebbe potuto reggere senza Paul, quanto ne avrebbero risentito Griffin, Jordan e tutti i vari beneficiari del genio del folletto di Wake Forest.

Ebbene ormai il periodo di assenza forzata di CP3 è finalmente terminato, ma in quest’ultimo mese, dai più prospettato come un potenziale incubo per i Clippers, le cose sono andate decisamente meglio del previsto: il record ha recitato 12 vittorie e 6 sconfitte (le ultime due sfortunate al fotofinish contro Nuggets e Heat), certamente un po’ aiutato dal calendario non proibitivo, ma in ogni caso un ruolino di marcia notevole e che probabilmente nessuno aveva pronosticato all’indomani della notizia della perdita di Paul per un periodo tanto lungo.

Perciò è doveroso analizzare quali siano i motivi di un così inatteso salto di qualità, essenziale per ovviare alla mancanza di giocatore che appariva insostituibile (e non si vuol certo affermare che non lo sia più, beninteso): in primis il rendimento di alcuni giocatori è salito esponenzialmente di livello, trascinando il resto della squadra e creando nuove sicurezze, in secundis coach Rivers ha maggiormente responsabilizzato le seconde linee, innovando l’alchimia del team e generando un circolo virtuoso (composta di disponibilità al sacrificio per i compagni, consapevolezza dei propri mezzi ed anche un pizzico di sana incoscienza) che potrà essere fondamentale nella post season.

Il giocatore che ha compiuto il salto di qualità decisivo è stato Blake Griffin, la seconda e più giovane stella del team, colui che veniva etichettato come un grande talento dalle doti atletiche sovrumane, ma tecnicamente limitato ed incapace di migliorare le proprie lacune dopo diversi anni nella lega.

In verità Blake in questi anni è notevolmente progredito: ha ampliato il proprio bagaglio offensivo e difensivo (il tiro dalla media, pur se esteticamente discutibile, ha raggiunto una certa efficacia, i movimenti in post sono più sicuri, in difesa è più intelligente), non ha ovviamente perso alcunché dell’esplosività che lo ha reso celebre e l’esperienza maturata ha fatto sì che divenisse un giocatore migliore in ogni senso.

I detrattori invece hanno continuato a considerarlo come una sorta di attrazione da circo, uomo volante, stella che vende i biglietti ma non fa vincere le partite e via discorrendo; Griffin li sta smentendo ad uno ad uno ed in quest’ultimo mese, nei panni del leader ha dimostrato di non dipendere esclusivamente dagli abbondanti rifornimenti di Paul.

Il compagno di plance di Griffin è stato uno degli altri protagonisti dello stupefacente mese senza Paul, proprio quel DeAndre Jordan che fino all’anno passato a detta di tutti non era altro che uno scimmione strapagato, motivo di profondo compianto per il declino irrefrenabile della posizione di centro della NBA moderna.

Jordan in pochi mesi non è certo diventato Ewing o Alonzo Mourning, ma la “cura Doc Rivers” ha fatto ricredere in molti sul valore di questo Bronzo di Riace dall’atletismo strabordante, in grado sinora di detenere la testa della classifica dei migliori rimbalzisti della NBA e di essere anche il quarto migliore per quanto riguarda le stoppate.

Si pensava che l’assenza del play titolare, fautore principale dei voli sopra il ferro di DeAndre, fosse un colpo durissimo per le sue prestazioni, essendo egli decisamente più grezzo del pur non raffinato Griffin; in realtà le cifre e l’impatto di Jordan non sono affatto diminuiti! Anzi, sono sono incredibilmente cresciuti, a dimostrazione dello step anche mentale operato dal ragazzo, una graditissima sorpresa per i velieri.

Il backcourt non è stato da meno, infatti per supplire all’assenza del capitano è stato chiamato in causa Darren Collison (già ottima riserva di CP3 a New Orleans) e – per quanto non sia minimamente paragonabile a Paul – non lo ha fatto rimpiangere (14, 4 punti e 6,1 assist a gennaio), e si è candidato ad essere la miglior “bench-point guard” (perdonate il neologismo) dell’intera NBA.

Un aiuto non indifferente lo ha offerto anche Jamal Crawford, uno degli idoli di tutte le arene degli States per il suo inimitabile stile di gioco, e soprattutto un sesto uomo di extra-lusso, autentica garanzia di valanghe di punti in fiammate brevissime e perciò capace di spaccare le partite cambiandone l’inerzia.

Anche Jamal ha avuto tutti i suoi picchi statistici in assenza di Paul (addirittura le % dal campo risultano migliorate, nessuno se lo sarebbe atteso senza un facilitatore di gioco come CP3) e si è assunto maggiori responsabilità, creando una buona alchimia anche con il piccolo Darren in cabina di regia.

E’ stato più che discreto anche il cammino del pistolero JJ Redick (anche se costantemente ostacolato da problemini fisici), mentre è rimasto assai deludente quello di Dudley (non un elemento imprescindibile), il quale infatti pare aver perso il ruolo di starter in favore del redivivo Matt Barnes, giocatore senza dubbio più solido e affidabile, utile anche nella metà campo difensiva.

Sembra inutile parlare di tutti quei giocatori marginali dell’infinito roster dei Clippers che non hanno evidentemente potuto dare chissà quale contributo, i vari Bullock, Green, Jamison, Mullens o gli ultimi arrivati Turkoglu e Vujacic, poiché rivestono la parte delle comparse nell’affresco di Doc Rivers e verranno chiamati in causa in futuro solamente nel malaugurato caso – i tifosi facciano gli scongiuri – di qualche infortunio.

Dunque questa ventina scarsa di partite senza il giocatore più decisivo e talentuoso della squadra ha dimostrato che i Clippers non soffrono di Paul-dipendenza e possono contare su un gruppo di giocatori affiatato e affidabile, enormemente cresciuto per merito di coach Rivers (un valore aggiunto innegabile rispetto a Del Negro) e guidato da una stella esplosa in maniera fragorosa e definitiva come Blake Griffin.

C’è grande curiosità ora per il rientro di CP3, perché se è vero che il team ha mantenuto una ottima velocità di crociera anche privo del suo straordinario apporto, è incontrovertibile che egli rappresenti l’ago della bilancia tra l’essere una buona squadra e l’essere una seria pretendente al titolo 2014.

 

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