La matematica non è un’opinione. Vero, e questo vale anche e più che mai per una semplice ma indissolubile equazione: David Stern=NBA.
Il 1 febbraio 2014 l’avvocato David Joel Stern, all’età di 71 anni, ha festeggiato i suoi 30 anni da commissioner della NBA, e in questa stessa occasione ha passato il testimone al suo delfino, Adam Silver. Per molti è stato un giorno come tanti altri. Per chi come me, la domenica, preferisce il parquet alle zolle di erba, è la fine di un’era.
Agli inizi degli anni ottanta, le uniche cose di cui la National Basketball Association era piena, erano i problemi. Troppo ‘nera’ per attirare sponsor, sconvolta dai problemi legati alla droga (usata dal 75% dei giocatori secondo uno studio shock del Los Angeles Times) e alla violenza, priva di visibilità, fuori dal prime time e con le Finals trasmesse in differita. Il tutto in un’America dove Football e Baseball la facevano da padrone. Poi arriva il 1 febbraio 1984. Poi arriva David Stern. E niente sarà più come prima.
Hakeem Olajuwon, Michael Jordan, Charles Barley, John Stockton. Tutti accomunati. Si ma da cosa…
Da un punto di vista tecnico se ne potrebbe parlare, e parecchio anche. Ma qui si parla di destino. Tutti e quattro infatti sono entrati in NBA nel draft 1984, passando per la stretta di mano di un tale David Stern, fresco commissioner, al primo draft in carriera. Il destino quel giorno si era messo in moto e aveva dato a Stern la sua occasione. Michael Jordan, come tutti sappiamo, diventerà il più grande giocatore di tutti i tempi, ma per Stern sarà l’uomo con cui rilanciare l’NBA a livello mondiale.
Come affermato anche da se stesso, il pregio di Stern nel dare una sterzata a una situazione così compromessa, è stato quello di rispondere ai problemi in maniera efficace. Tenendo fede al suo cognome ( ‘rigido’ ), Stern non è mai sceso a compromessi nella gestione della lega, facendo di tutto per renderla politically correct.
Pronti via e così scattano norme antidroga, multe e sanzioni salatissime a carico di club e giocatori che andassero al di fuori del regolamento, introduzione del ‘dress code’ per i tesserati e, non ultima, forse la sua creatura più apprezzata: il salary cap.
Ma la gestione Stern non è solo messa in riga. Per lo più è espansione. Un sistema di gioco orientato allo spettacolo (Slam Dunk Contest, 3-Point Shootout, Rising Star), meno fisico, e ripulito da tutti i fattori negativi, consente a Stern di firmare ricchi accordi con le principali emittenti televisive, riaffermare l’NBA sul territorio americano, e attirare grandi sponsor (Coca Cola, Gatorade). Era solo l’inizio.
Il suo obiettivo era quello di puntare anche i capitali stranieri e affermare la lega a livello mondiale. Tutto questo inizia con la partecipazione del Dream Team alle olimpiadi di Barcellona del 1992, per poi passare attraverso trainig camp, esibizioni sparse per il mondo, eventi come Noche Latinas o Italian Day, e soprattutto, l’apertura ai giocatori stranieri.
Sotto la sua gestione hanno visto la luce 7 nuove squadre (Hornets, Timberwolves, Heat, Magic, Grizzlies, Raptors, Bobcats), metre 6 sono state spostate (Clippers, Kings, Grizzlies, Nets, Hornets, Supersonics). Nel 1997 nasce la WNBA (lega femminile), mentre nel 2005 viene istituita l’NBA Cares: un’associazione benefica che destina fondi alla creazione di scuole, case e centri ricreativi in 24 paesi. In questi 30 anni prende forma e si realizza l’NBA così come la conosciamo.
Tirando le somme, la svolta data da Stern si traduce in semplici cifre: il merchandising passa da 35 milioni a 3 miliardi di dollari, per un fatturato complessivo da 5,5 miliardi. Il salario medio dei giocatori passa da 290 mila a 5,7 milioni.
L’NBA viene trasmessa in 215 paesi nel mondo rispetto ai soli 2 del periodo pre-Stern. Beh è vero la matematica non è un’opinione, lo sa bene David Stern. I numeri restano, il resto è storia. Thank you all, David
Vogliamo fargli la statua in piazza già che ci siamo?
Ci si sofferma, giustamente per carità, sulle luci della gestione Stern (ci aggiungerei la questione simulatori degli ultimi anni) ma tralasciando completamente le ombre. L’essersi piegato totalmente alle esigenze televisive, partite con timeout infiniti che durano ore e ore ormai snervanti da guardare in diretta. I 250000 dollari di multa per aver fatto riposare i propri giocatori. Mancanza di trasparenza totale sul doping. I peggiori arbitri al mondo, le multe salate solo se ne si discute, le politiche ridicole sui falli tecnici. Ma soprattutto il non aver mai ascoltato le critiche, non essere mai sceso a compromessi come scritto, che è tutto fuorché un pregio.
Diamo a Cesare quel che è di Cesare ma non facciamolo santo.
Vogliamo fargli la statua in piazza già che ci siamo?
Ci si sofferma, giustamente per carità, sulle luci della gestione Stern (ci aggiungerei la questione simulatori degli ultimi anni) ma tralasciando completamente le ombre. L’essersi piegato totalmente alle esigenze televisive, partite con timeout infiniti che durano ore e ore ormai snervanti da guardare in diretta. I 250000 dollari di multa per aver fatto riposare i propri giocatori. Mancanza di trasparenza totale sul doping. I peggiori arbitri al mondo, le multe salate solo se ne si discute, le politiche ridicole sui falli tecnici. Ma soprattutto il non aver mai ascoltato le critiche, non essere mai sceso a compromessi come scritto, che è tutto fuorché un pregio.
Diamo a Cesare quel che è di Cesare ma non facciamolo santo che diamine
I numeri sono dalla sua parte e non solo quelli. Sicuramente ha avuto i suoi pro ed i suoi contro, ma i pro superano di gran lunga i contro.
Senza Stern prima e poi i vari MJ, Magic e Bird, difficilmente potremmo godere della NBA a livello televisivo in Italia da ormai più di 20 anni.
Articolo che mi sembra correttissimo ed un giusto omaggio ad un grandioso commissioner.
L’NBA in Italia ce l’ha portata anche Stern, e questo gliene va dato atto sicuramente come tutte le cose buone che ha fatto. Ma non ci si può soffermare solo su quelle e l’articolo non parla minimamente dei contro andando tutto da un verso. I numeri sono dalla sua parte ma sono numeri per lo più economici