L’NBA è una lega dominata dalle Star. Nonostante questo, alcuni dei giocatori più importanti vanno cercati fra i cosiddetti “comprimari”, coloro che rendono il lavoro delle stelle decisamente meno arduo, magari specializzandosi in determinati settori del campo.
Un esempio eclatante di questo tipo di players, lo si è potuto ammirare anche durante le ultime Finals. Miami Heat e San Antonio Spurs erano, e lo sono tuttora, piene di elementi in grado di decidere le partite con le loro prestazioni, senza minimamente essere dei giocatori d’elite.
Basti pensare a Danny Green, cecchino da oltre l’arco, o al “rossomalpelo” Matt Bonner, altro buonissimo tiratore dalla lunga militanza in nero-argento, di cui coach Gregg Popovich non si è mai voluto privare.
Un altro ottimo role player si è sicuramente dimostrato, e si sta dimostrando, Kawhi Leonard, difensore di eccelsa qualità, tanto da essere considerato l’erede designato di Bruce Bowen. A giugno ha fatto vedere i sorci verdi a LeBron in alcuni momenti della serie, ma ha pagato la sua inesperienza in partite di così elevata caratura, dovendo quindi arrendersi al “Re”, anche se la pressione di marcare un così portentoso giocatore non sembra mai averla accusata.
Dotato anche di un discreto long-range jump shot, l’ex San Diego State è presto entrato nelle grazie di tutti gli addetti ai lavori e dei fans. Magari non sarà mai un all-star, ma è stato sicuramente uno steal of the draft con la chiamata numero 15 dagli Indiana Pacers, che poi lo hanno troppo presto scaricato in Texas per arrivare a George Hill.
Appunto da Indianapolis escono altri due nomi del nostro elenco. Uno è arrivato da poco ed è stato anche lui uno Spurs – almeno sulla carta. Stiamo ovviamente parlando dell’argentino Luis Scola, non più giovanissimo, ma sempre determinante.
Non solo è un grande mestierante, ma sotto i tabelloni, quando decide di esserlo, è veramente devastante e infatti a Houston era un terminale offensivo di prima qualità. Ora che parte dalla panchina, sta comunque contribuendo alla causa vincente dei Pacers come dimostrano i suoi 8.8 punti con 4.4 rimbalzi in poco più di 18 minuti di utilizzo.
L’altro nome altisonante è quello di Lance Stephenson. Esploso durante gli ultimi playoff, l’ex Cincinnati sarebbe dovuto partire dal pino in questa stagione, ma il nuovo infortunio occorso a Danny Granger lo ha lanciato definitivamente in quintetto, rendendolo un giocatore da 12.9 punti di media con percentuali al tiro che vanno via via migliorando. Ma quello che più gli si chiede, è la difesa sull’uomo, date anche le sue capacità di movimento laterale e il suo fisico possente. Il grande carisma, poi, lo sta sicuramente aiutando ad emergere più facilmente.
Un giocatore fondamentale per ottenere una W è anche Nick Collison. Da sempre fedele ai Sonics/Thunder, in cui milita dal 2004, Nick è un nono/decimo uomo con grande etica per il lavoro. Negli ultimi anni il minutaggio è calato, ma non la sua voglia di mettere in campo quell’energia che lo ha sempre contraddistinto, specialmente a rimbalzo, dove ha una media carriera di 5.8 in appena 22.6 minuti di impiego. Le sue cifre, proiettate sui 36 minuti, parlerebbero di quasi una doppia-doppia di media.
Non è mai stato un campione e nemmeno un giocatore che ha visto molto il campo, ma Steve Novak ha sempre messo sul piatto il suo invidiabile carattere esuberante quando veniva chiamato in causa. Non è uno di quelli che preferiscono scaldare la panchina e prendersi lo stipendio a fine mese, but when he sits on the bench – cioè la maggior parte del tempo – è rarissimo vederlo composto.
Quando entra sul parquet si trasforma in un cecchino letale, della serie: l’importante non è solo partecipare. Peccato che la sua unica partecipazione degna di nota sia avvenuta nel 2011-12, quando vestiva la maglia dei Knicks ed era stato capace di segnare 8.8 punti di media in 18.9 minuti con il 47.2% da tre! Ora che si è trasferito a Toronto le cose non sono cambiate, anzi, sembrano essere peggiorate, ma Steve cerca comunque di fare il suo sporco lavoro.
Un altro garbageman degno di nota è sicuramente Chuck Hayes che sembrava destinato a ben altra carriera, ma che si è accontentato di fare il sostituto del sostituto, prima a Houston e ora a Sacramento. Ormai trentenne, è diventato un mentore, oltre che migliore amico di spogliatoio di DeMarcus Cousins. Se poi gli concedi anche qualche minutino, quattro o cinque rimbalzi te li assicura, tanto che ha più carambole che punti in carriera.
Mr. Reggie Evans è l’ennesimo mastino del pitturato. Con una carriera da girovago alle spalle. Ricordo una stagione in particolare, cioè quella 2004-05 – quando esistevano ancora i Sonics – in cui portò giù la bellezza di 9.3 rimbalzi in 23.8 minuti. Se solo avesse giocato una decina di minuti in più in tutte e 11 le stagioni nella lega, staremmo parlando di un rimbalzista paragonabile ai grandi del passato, specialmente Dennis Rodman, giocatore a cui si è sempre palesemente ispirato, mettendo difesa ed energia ad ogni allacciata di scarpe.
Rimanendo sul piano difensivo, non possiamo non citare alcuni specialisti che preferiscono operare più sull’esterno del campo. Thabo Sefolosha è sicuramente uno di questi.
Lo svizzero è entrato solamente una volta nei primi due quintetti difensivi della lega, ma è solo un puro riconoscimento che non spiega assolutamente lo straordinario lavoro che compie ogni sera in cui scende in campo. Inoltre, è anche un ottimo tiratore dalla lunga distanza, cosa che permette ai Thunder di aprire il campo e di avere una soluzione convincente in più ai raddoppi che Durant subisce frequentemente.
Matt Barnes è il cosiddetto journeyman che non ha mai giocato per la medesima squadra per più di due anni in tutta la sua carriera. Per fortuna che ci hanno pensato i Clippers a legarlo per altre tre stagioni, durante la scorsa estate.
Matt non è solo un buon comprimario, ma è un egregio stopper, uno di quelli che se lo metti sull’uomo di punta degli avversari, non lo fa respirare nemmeno con le parole. Sì, perché stiamo parlando anche di un discreto trashtalker che molto spesso ha pure cercato apposta la rissa o lo scontro verbale per innervosire chiunque avesse di fronte.
Jimmy Butler è diventato un arma in più nei Bulls, progredendo ad un efficiente giocatore nell’offensive end, con percentuali niente male. Ma il ruolo in cui si cimenta meglio è di certo quello di difensore. Chiedere a LeBron o Kobe per informazioni, con quest’ultimo che ha anche offerto parole di elogio per l’ex Marquette, dopo una serata inusuale conclusa con 16 punti (7/22 al tiro).
Tony Allen, invece, è nell’NBA per un solo ed unico scopo, difendere ad ogni costo. Poco importa – a lui – se rischia di scatenare tafferugli o di infortunare qualche avversario, l’importante è concedere il meno possibile. Famoso per la sua difesa asfissiante, Tony è cresciuto cestisticamente a Boston, sotto la guida di Tom Thibodeau, per poi sfruttare i suoi insegnamenti a Memphis, dove ha guadagnato per tre volte di fila l’accesso negli All-Defensive Teams.
Un altro giocatore che a Memphis si è costruito la fama di difensore ostico e caparbio è Shane Battier. Già più pulito rispetto al succitato, Shane è dotato di una spaventosa meticolosità che lo rendono un comprimario di assoluto livello. Dinamica di tiro al limite della perfezione e difesa a uomo tenace, lo hanno trasformato nel role player ideale da far scendere in campo nei momenti critici. Per questo gli Heat si fidano ciecamente di lui e gli ultimi due titoli, ai quali ha contribuito, lo dimostrano.
Anche il russo Andrei Kirilenko si è costruito un’ottima fama di specialista difensivo in tutti questi anni, specialmente nel decennio trascorso nello Utah. Il suo soprannome “AK47” è tutto un programma, segno dell’efficacia con cui strappa i palloni agli avversari, specialmente nell’arte per cui è diventato famoso in tutti questi anni, cioè la stoppata da dietro.
Parlando di scorer, invece, vengono in mente soprattutto due nomi. Entrambe guardie tiratrici ed entrambi sesti uomini di lusso, Jamal Crawford e J.R. Smith si rendono sempre protagonisti con le rispettive squadre.
Vincitori del premio di sixth man of the year in due anni consecutivi, stiamo parlando di due veri e propri realizzatori puri. E se il primo lo è sempre stato, per il secondo il discorso è leggermente diverso. Caratterino non facile da gestire, sta comunque intraprendendo una carriera di tutto rispetto, giovandosi delle lodi di coach Mike Woodson in quel di New York, piazza che se lo è tenuto stretto dopo le avances di alcune squadre durante la scorsa off-season.
Altri role players non ancora menzionati, ma di cui vale la pena fare i nomi, sono l’esplosivo tiratore dei Rockets, Chandler Parsons, l’ex Boston College, Jared Dudley, ora ai Clippers, il trascinatore dei Magic, Aaron Afflalo e l’ottimo gregario, fermo momentaneamente per infortunio, Carl Landry.
Di sicuro ne abbiamo dimenticato qualcuno e negli anni a venire ne emergeranno altri, con la speranza che questo ruolo non venga più sottovalutato.
Personal trainer e grande appassionato di sport americani. Talmente tanto che ho deciso di scrivere a riguardo.
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Tyson Chandler. Un paio di paroline le avrei spese, per lui.
Leonard pottrebbe fare l’All Star già quest’anno, e Lance Stephenson..beh dai, è un po’ più che un gregario! =)
Beh, basandoci sulla certezza del presente, sono due ottimi role players a cui si chiede solidità difensiva e tiro da fuori. Non metto in dubbio che potranno andare all’All-Star Game un domani, ma c’è differenza da andare alla partita delle stelle ed essere delle vere star. Poi non c’è niente di male ad essere dei perfetti mestieranti, anzi, come ho detto sul finire dell’articolo, occorre che la si smetta di sottovalutare questo tipo di giocatori solo perché sono meno osannati dai fans e dalla stampa.
Io avrei menzionato un certo Boris Diaw, rinato completamente a San Antonio e vero ago della bilancia nei vari quintetti ad hoc che pop propone!