In questo momento gli Indiana Pacers sono sotto i riflettori come non mai: 8-0 !

In questo momento gli Indiana Pacers sono sotto i riflettori come non mai: 8-0 !

“Un-de-feat-ed… un-de-feat-ed…” è il coro che si leva dagli spalti della Bankers Life Fieldhouse in un lunedì sera di metà novembre quando ci si accorge che anche l’ultima resistenza dei Grizzlies è stata superata con successo e – diciamolo pure – scioltezza.

Questi Pacers di inizio stagione sembrano, a dir poco, inarrestabili. Una partenza 8-0 era da almeno tre anni che non si vedeva nella lega. In generale è la settima volta dal 2000 che una squadra fa l’en-plein nelle prime 8 uscite stagionali. Solo in 18 ci sono riuscite da quando si è alzata la prima palla a due della storia.

Ok, le uniche vittorie di prestigio Indiana le ha ottenute in casa con Chicago e Memphis e sul campo dei rinnovati Nets. Però lo sprint è ugualmente rilevante, soprattutto se si considera il fatto che le ultime 5 sono state disputate in 7 giorni e come ha detto George sul finale della partita a Brooklyn: “Un anno fa non avremmo mai vinto una partita come questa.”

Eh sì, perchè solo 12 mesi or sono, i Pacers impiegarono 9 road games per ottenere 3 W. Così come raggiunsero l’ottava vittoria solo dopo averne giocate 16. Direi che il cambio di passo c’è ed è quantomeno perentorio. D’altronde l’obiettivo dei giallo-blu è chiaro.

“Che ha fatto Miami?” chiede qualcuno nello spogliatoio non appena si è conclusa l’ultima fatica. “Wow, ha vinto Boston!?! Col tiro di Green allo scadere?” si sente risuonare in mezzo al rumore di alette di pollo masticate e ghiaccio triturato. “Cosa sono ora? 4-2? 4-3??”

Nell’Indiana sono più che mai convinti: la differenza nella scorsa edizione dei playoff l’ha fatta esclusivamente il vantaggio del fattore campo in favore dei rivali degli Heat (8-1 invece il bilancio alla Fieldhouse) e quest’anno l’obiettivo della truppa è fissato sul seed no.1, costi quel che costi. Da qui l’atteggiamento feroce visto in campionato fin da subito.

Parlando dello strabiliante fil-OTTO dei ragazzi di coach Vogel in questo primo scorcio di stagione regolare non si può prescindere dal compiere ovvie considerazioni sulla loro insormontabile difesa. Ovvie perché i fatti sono sotto gli occhi di tutti, non perché sia scontato ripetersi – finanche superarsi – ogni anno su tali standard difensivi, tutt’altro.

Osservando i dati statistici messi su da Hibbert e compagni viene da stropicciarsi gli occhi. E da controllare di nuovo, perché ciò che stanno facendo è qualcosa di surreale. Primi in tutta la NBA per stoppate totali di squadra con 8.8 a sera, e fin qui ci siamo. Recitano anche il tutt’altro che disdicevole ruolo di capintesta della lega per punti concessi agli avversari (84.5).

Cosa?? Chi occupa la seconda piazza – gli Spurs – ne concede 90.1, al terzo posto si va sui 10 e spiccioli in più rispetto ai primi della classe quanto a punti concessi. I più scettici o semplicemente coloro che si professano più sofisticati – poichè discutere l’effettiva consistenza della difesa dei Pacers appare oggi come disconoscere la bontà dei principi della dinamica di Sir Isaac Newton – potrebbero mettere in dubbio il significato di tale esito numerico.

Il ritmo a cui gioca Indiana è infatti fra i più bassi della lega con circa 94 possessi a gara. Come se questo fosse un handicap a prescindere!?! Se ne facciamo un discorso di defensive rating – l’ammontare dei punti concessi agli avversari su 100 possessi, ecco.. già meglio – siamo su un astronomico punteggio di 89.5 punti che, ovviamente, li proietta in cima alla speciale graduatoria.

Ancora più sorprendenti appaiono i dati circa le percentuali di tiro concesse ai dirimpettai di turno. Il 39.3% dal campo (primi, manco a dirlo) ha dell’inverosimile. Se si scende in profondità, è possibile notare come Indiana conceda meno del 50% agli avversari nei tiri effettuati entro i 5 piedi (siamo sul 47.3%). Oh, ho detto 5 piedi!! Provate a misurare la distanza sul pavimento della vostra cameretta. Trattasi di 1 metro e mezzo, l’equivalente in larghezza della vostra scrivania probabilmente.

Ma gli attestati di stima che arrivano da alcuni dei massimi esperti in materia suonano persino più dolci. Tom Thibodeau dopo la recente sconfitta ha decretato: “Siamo stati battuti in ogni ambito del gioco.”

Gli fa eco successivamente Conley, esponente di spicco della difesa unanimemente riconosciuta come la più arcigna della scorsa stagione: “La migliore difesa in assoluto della lega” e poi aggiunge “sembrano in missione.”

Ovviamente la presenza di un centro difensivo come Roy Hibbert nel reparto lunghi non è estranea a tutto questo. L’originario del Queens, naturalizzato giamaicano, figura al terzo posto fra coloro che abbiano almeno una stoppata data a fronte di minimo 29 minuti giocati a sera per percentuale al ferro concessa al proprio avversario diretto (33.8%). Se a questa statistica bislacca si aggiunge che è pure il migliore fra gli starter per defensive rating – quando lui è in campo l’altra squadra segna soltanto 83.4 punti ogni 100 possessi – e che sta distribuendo 4.38 stoppate a partita (siamo vicini al miglior Mutombo), si evince che quando il 55 è nei pressi del proprio canestro è leggermente più complicato metterla dentro. Si capisce anche che quest’anno non è ammesso che non migliori sensibilmente il decimo posto conquistato nell’ultima votazione per il difensore dell’anno NBA.

Lasciando perdere per un attimo i numeri – che rappresentano uno strumento descrittivo fra i più efficaci ma vanno pur sempre accompagnati con doverose quanto circostanziate considerazioni – i Pacers rappresentano uno dei connubi meglio riusciti degli ultimi anni in fatto di centimetri, dinamicità e tecnica difensiva sotto canestro da una parte ed atletismo e agilità negli spostamenti difensivi sul perimetro dall’altra.

Sull’attitudine nella metà campo dietro di giocatori come Hibbert e Mahinmi (il francese se non altro per il corpo che è in grado di opporre agli attacchi avversari) c’è poco da dire. Anche West negli ultimi tempi si è prodigato molto per la buona riuscita della strategia di protezione dell’area dei suoi. Adesso persino il nuovo arrivato Scola riesce, anche se solo per brevi tratti, a nascondere le proprie lacune individuali all’interno del flusso armonico e indistinto della retroguardia giallo-blu.

Gli esterni, dal canto loro, se la cavano egregiamente ma anche qui non si può parlare propriamente di sorpresa. Le abilità fisiche ed atletiche di Stephenson e George sono abbondantemente sopra la media. George Hill, da bravo e disciplinato soldato formatosi all’accademia di coach Pop, tende ad applicarsi.

Quando sul parquet poi ci sono C.J. Watson e Orlando Johnson il livello di aggressività della squadra non accenna a diminuire. Partendo da tali e tanti presupposti non è poi così difficile capire perché l’area dei Pacers sia sempre così affollata e le linee di passaggio siano spesso diligentemente occupate dalle lunghe braccia di Lance & co.

Ma il vero fiore all’occhiello della prima linea difensiva eretta da Indiana è senza dubbio Paul George. In ogni singola sera in cui scende in campo ed in cui, fra le altre cose, è chiamato anche a gestire gran parte dei palloni dei suoi in attacco, prende in consegna il migliore fra gli esterni avversari.

Evidentemente non gli pesa affatto, poiché al termine della pratica dichiara: “Vorrei essere distinto dagli altri top-scorer della lega, mi piacerebbe invece essere considerato un giocatore d’elite su entrambi i lati del campo.” A un ragazzo così, cosa ti senti di chiedere ancora?

In realtà, viste la rapida ascesa verso lo status di superstar della lega e l’ancor giovane età anagrafica (23), abbiamo probabilmente soltanto iniziato a scartare il primo strato del suo inenarrabile talento. Tanto ci basta, per ora. George, dopo aver conquistato lo scorso anno il titolo di Most Improved Player e pochi giorni fa quello di miglior giocatore della settimana nella Eastern Conference, non intende fermarsi.

La serafica consapevolezza dei propri mezzi e la maturità che esprime col suo gioco lo collocano di diritto fra i primi 5 della pista. Già oggi. Gioca con la tranquillità dei forti, ma di quelli forti sul serio. Sa che è solo una questione di tempo, dopodiché l’avversario non potrà esimersi dal prestare il fianco ai suoi inevitabili fendenti. Come con la legge di Murphy, se te lo ritrovi di fronte sai già che, se c’è qualcosa che può andare storto, certamente lo farà. E’ la legge di George. Almeno in questo inizio campionato.

“Nella stagione scorsa mi sarei sicuramente fasciato la testa prima di essere realmente ferito. Avrei lasciato che la partita scivolasse verso la sua conclusione. Oggi non mi preoccupo più. Gioco ogni possesso come se fosse indipendente dagli altri. Non mi faccio influenzare. Prima o poi la palla entrerà” dice imperturbabile dopo il brutto primo tempo coi Grizzlies seguito da un assalto alla baionetta nella ripresa. Paul è oggi quasi infallibile nei corner three (4/6 da sinistra e 4/5 da destra).

Dai 3/4 metri è praticamente una sentenza: 57.1% con canestri per la maggior parte non assistiti. Fino ai 5 metri, 5 e mezzo è a suo agio come un topo nel formaggio. Il suo habitat naturale è quella zona che corre idealmente sopra le linee che delimitano l’area e da lì si estende per un metro buono, anche due negli angoli, verso l’esterno. Da oltre l’arco ha il 40.4% con 52 conclusioni tentate. Tutto questo però era lì da vedere già a partire dagli scorsi playoff, forse anche qualcosina prima.

Quello che George sembra aver aggiunto al suo gioco attuale è la tendenza ad attaccare il ferro con maggiore frequenza ed efficacia. Va fino in fondo con un aggressività che solo fino a qualche mese fa gli era del tutto sconosciuta. Da meno di 5 piedi di distanza dal canestro tira con 20-35. I 35 tiri da vicino sono anche il massimo fra quelli che prende in ognuna delle diverse zone del campo.

Paul, che non aveva un singolo gioco chiamato per sé nell’intero playbook dei Pacers fino a metà della scorsa stagione, rappresenta la principale ragione dell’abbandono da parte di coach Vogel di quello che qualcuno aveva ribattezzato “Octopus Offense”, proprio per la natura tentacolare delle possibilità offensive – quasi equamente suddivise – dei suoi giocatori.

Oggi gli schemi di Indiana pur continuando a prevedere molteplici soluzioni privilegiano quelle per il numero 24, che in uscita dai blocchi, quasi sempre 2 e all’altezza delle tacche laterali dell’area dei 3 secondi, sfrutta lo spazio che si crea per prendersi il tiro che più predilige. Esito particolare questo della chiamata denominata Psycho – sicuramente in onore del vecchio compagno Tyler Hansbrough – e che prevede anche uno sviluppo sul lato opposto, dove è appostato il Pinch Post (tanto caro al signor Phil Jackson), il quale, dopo aver bloccato l’altro esterno può benissimo giocare a due con la point guard.

Il playbook di Indiana, come quello di quasi tutte le squadre NBA, presenta svariati sviluppi a partire dai medesimi set di partenza. Alternativamente è prevista per George un’uscita tagliando il campo da una parte all’altra – alla Ray Allen a Boston per intenderci – sfruttando il doppio blocco basso in successione per crearsi un’opportunità di tiro o di uno contro uno.

Come emerge da queste righe (si legga pinch post ad esempio), l’attacco dei Pacers è impregnato di principi della Triple-Post Offense di Tex Winter, retaggio di un passato in cui Brian Shaw sedeva in panchina come assistente e che, disegnando geometricamente sul parquet dei veri e propri triangoli, distribuisce le occasioni di tiro fra i tre giocatori coinvolti.

Se poi il vertice alto del triangolo (Scola? West?) sa anche tirare dalla media o passare la palla, tanto meglio. Un’altra partenza che si può osservare spesso dalle parti della Fieldhouse è quella prevista dal cosiddetto UCLA High-Post Offense e che presenta fra le sue caratteristiche la disposizione classica iniziale 1-4. Il fatto di avere due lunghi che agiscono all’altezza del post alto può rivelarsi decisivo per i tagli dei piccoli o per la possibilità per gli esterni di giocarsi l’eventuale mismatch in post basso, spalle a canestro (Paul George contro quasi chiunque?).

Ovviamente anche qui bisogna che il 4 e il 5 sappiano concludere dalla distanza e passare la palla con buona precisione. In generale Vogel sfrutta molto la presenza di così tanta qualità fra i lunghi del roster. Se uno dei due blocca la guardia e, successivamente, si butta verso il canestro, l’altro sale e si fa vedere per un eventuale appoggio dentro, qualora la sua visuale di passaggio sia migliore e il compagno abbia raggiunto una posizione profonda.

C’è una certa continuità nei giochi: non è infrequente infatti vedere il piccolo che sfrutta un blocco di un lungo e continua il suo movimento fino a sfruttarne un altro, in una zona diversa del campo, oppure – esito meno scontato – a portarne uno a sua volta, magari allo stesso lungo che solo qualche secondo prima faceva le veci del bloccante.

Tale continuità è interrotta dagli isolamenti, per la verità molto ridotti, in post basso di George o Hibbert. L’attacco di Indiana, che ovviamente non si esaurisce in questi 5-6 movimenti, è complesso e minuziosamente strutturato e i numeri offensivi non brillantissimi non ne rendono il giusto merito. Così come, alla luce dei bigmen di cui può disporre, appare singolare che i Pacers si classifichino solo 24esimi per punti in area su 100 possessi (37.4). Ma Hibbert non si è ancora confermato offensivamente sui livelli degli scorsi playoff e Scola e West amano evoluire in tutt’altre zone del campo.

Resta da capire come sia possibile che uno come Lance Stephenson – autore di una tripla doppia contro Memphis, che lo ha fatto ritornare con la mente ai tempi dell’Abraham Lincoln High – riesca ad offrire il suo meglio all’interno di un sistema come questo. Un aiutino in tale direzione ce lo fornisce il coach, che dichiara del suo giocatore: “In lui, oltre all’atletismo innato e all’istinto, c’è anche un altissimo Basketball IQ.”

Se andiamo a vedere accuratamente, Born Ready distribuisce 8.9 opportunità di assist (statistica che oltre agli assist classici comprende quelli che si sarebbero potuti realizzare se il destinatario del passaggio non avesse sbagliato la conclusione o comunque perso l’occasione di segnare) e le sue assistenze sono responsabili di 13 dei punti che mette a referto l’intera squadra. Meglio di Harden, Lillard, Chalmers, Dragic, Kemba Walker, Rose e Westbrook, per dirne solo alcuni.

La scelta n.40 del draft del 2010 appare in controllo come forse non mai, anche se quella strana sensazione – che si ha ogni volta che scende in campo – che possa tirare fuori l’esplosivo da un momento all’altro facendo saltare l’intero palazzetto non ci ha mai abbandonato. Ah.. dimenticavo, tira da 3 col 51.4% su 35 tentativi. E quando si tratta del classico tiro catch & shoot siamo sul 58.1%. Come dire.. giocatore di sistema, se ce n’è uno.

Una volta magnificate le qualità del gruppo Pacers, restano le note dolenti. La compulsiva tendenza a perdere palloni, antipatico tarlo nella testa altrimenti serena di Vogel nel recente passato, non è affatto sparita. Sono 16.9 a partita le turnovers e il rapporto assist/palle perse è ancora di 1.30 (l’anno scorso ultimi con 1.34). Ma si sa, siamo all’inizio dell’avventura, alcuni ingranaggi non sono ancora perfettamente oliati e c’è tutto il tempo per migliorare.

L’altro difetto atavico della squadra era costituito dalla ridotta produzione in termini di punti offerta dalla panchina. Ebbene, stando alle cifre (penultima con 73.2 punti x 100 possessi), siamo alle solite. Ma ciò che le statistiche non dicono è che sia ha la netta percezione che con giocatori che escono dal pino del calibro di Scola e Watson qualcosa sia ineluttabilmente cambiato.

Nell’attesa di capire se il rientro di Danny Granger – previsto un suo ritorno agli allenamenti in queste ore – sia un bene o un male per la squadra, le rotazioni sono completate dal positivo Orlando Johnson, dall’ottimo primo anno Solomon Hill e dall’affidabile Sloan. Per Copeland finora non c’è stato spazio: è considerato solo il quinto lungo del roster. Probabilmente sullo scarso bottino prodotto dalla seconda unità in questa prima parte della stagione ha pesato l’infortunio di George Hill che ha catapultato in quintetto per 3 partite la polizza assicurativa C.J. Peraltro, con la novità in regia, non è cambiato molto nelle fortune dei suoi.

Adesso sono tutti avvertiti. Gli Indiana Pacers fanno terribilmente sul serio per quella corsa di giugno per il trofeucolo intitolato a Larry O’Brien. George e compagni sono giunti a maturazione e, dopo la svolta degli scorsi playoff, non si sono più guardati indietro. Dovranno però incominciare a farlo, visto che dall’alto del loro record di 8-0 vedono tutte le altre franchigie costrette ad un immediato e forse imprevisto inseguimento.

Il prossimo mese servirà a misurare il polso alla squadra che sabato 16 novembre volerà a Chicago e domenica 1 dicembre sarà allo Staples al cospetto dei Clippers, il miglior attacco della lega.

Seguiranno tre giorni di fuoco – 7, 8, 10 dicembre – con le sfide a San Antonio, Oklahoma City e Miami, con solo l’ultima di queste tre fra le mura amiche della Bankers Life Fieldhouse. Non sappiamo dire oggi cosa succederà. Quello di cui non c’è assolutamente da dubitare è che la data del 10 dicembre sia cerchiata di rosso anche sul calendario appeso nella cucina di casa George.

 

 

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