Alex Len sarà l'ennesimo lungo bianco che farà fare brutta figura ai giocatori europei in NBA?

Alex Len sarà l’ennesimo lungo bianco che farà fare brutta figura ai giocatori europei in NBA?

In principio i giocatori Europei in NBA godevano di scarsa (se non scarsissima) considerazione e chiunque arrivasse dal vecchio continente doveva dimostrare di saper stare in campo anche al di là dell’Oceano.

Basti pensare che Drazen Petrovic, forse il miglior giocatore Europeo che sia mai esistito, nonostante fosse all’epoca il numero 1 indiscusso nel nostro continente e un attaccante di un’efficacia che molti in NBA si sognavano, fu scelto al terzo giro (sì all’epoca c’erano ben più dei 2 giri che ci sono attualmente) e per un anno non vide praticamente il campo, esplodendo poi solo successivamente in maglia Nets, prima della triste conclusione della sua carriera e della sua esistenza.

Il Mozart dei canestri fu però il classico apripista, dato che dopo di lui molti scout NBA iniziarono a guardare con maggior interesse ai nostri campionati. Negli anni successivi infatti in molti sorvolarono l’oceano in cerca di fortune e in alcuni casi (Toni Kukoc, Vlade Divac scelti rispettivamente alla 29 e alla 26) dimostrandosi giocatori molto importanti anche nella principale lega professionistica al mondo.

A segnare però una svolta epocale in questo senso è stato il draft del 1998, quello in cui i Milwaukee Bucks scelsero alla numero 9 un giovane tedesco di 7 piedi che aveva fatto semplicemente la serie B in Germania: Dirk Nowitzki. I Bucks cedettero subito la scelta ai Mavs in cambio di Tractor Taylor, ma da quel momento molte cose cambiarono.

Con l’esplosione del tedesco di Wurzburg, infatti, molte squadre iniziarono a guardare con sempre più interesse al mercato oltreoceano e alcune di esse, i San Antonio Spurs su tutti, fecero del loro scouting europeo uno dei principali motivi dei loro successi.

Purtroppo, come spesso accade per le idee di successo, non sempre i proseliti riescono nell’intento di replicare con efficacia le versioni originali, così si arriva ai paradossi delle scelte di Darko Milicic alla seconda chiamata assoluta del 2003, uno dei draft migliori di sempre, alla scelta di Nikoloz Tskitishvili alla 5° chiamata assoluta del 2002, a Rafael Araujo 8° scelta 2004, Fran Vazquez alla 11 nel 2005 (e mai andato a giocare in NBA) e, ahinoi, alla prima scelta assoluta del 2006 Andrea Bargnani, che ha deluso moltissimo le aspettative su di lui.

Proprio la delusione cocente avuta dalle prestazioni del Mago hanno forse portato negli ultimi anni ad un’inversione di tendenza e a parte il Draft 2011, che ha visto 4 giocatori non di estrazione americana protagonisti nelle prime 10 scelte, solo 2 sono stati i giocatori scelti in top ten: Danilo Gallinari sesta scelta nel 2008 e Ricky Rubio quinta nel 2009, entrambi considerati Safe Pick. Il primo per l’esperienza e la maturità dimostrata in Europa nonostante la giovane età e il secondo per la potenzialità e le possibilità di crescita che aveva.

L’ultimo draft ha visto Alex Len, ucraino, scelto da Phoenix alla quinta chiamata assoluta (e molti tifosi Suns hanno storto il naso), poi come di consueto gli europei sono scivolati al secondo giro o nel tardo primo giro.

La scuola di Drazen però non si è fermata al draft e gli scout hanno iniziato a lavorare alacremente anche su giocatori più pronti e che possono aiutare da subito in NBA. Ecco allora che un giocatore come Pablo Prigioni, una vita in Spagna, si è permesso il lusso di varcare l’oceano e di fare il Rookie a 35 anni. Oppure un giocatore come Gigi Datome si è visto offrire un contratto da parte di Detroit per le prossime due stagioni.

Da questo punto di vista le squadre NBA hanno forse più margine di manovra (buyout a parte, ma questo è un altro discorso), perché non avendo l’assillo della scelta possono far seguire un giocatore per più tempo e concordare un contratto e un ruolo direttamente con loro, evitando di restare bruciati in caso di Europeo non pronto o non desideroso di essere protagonista negli USA.

Sì, perché a parte quelli palesemente non pronti o non in grado di stare in campo a quei livelli come il già citato Skita o Milicic, anche se per altri motivi, ci sarebbero anche quelli che in USA ci sono andati ma non hanno mai realmente accettato un ruolo di secondo piano.

Sono i casi di Rudy Fernandez, che in NBA avrebbe anche fatto bene ma che alla prima occasione è ritornato in Spagna per poter essere protagonista, oppure del suo connazionale Sergio Rodriguez, mai realmente a proprio agio a fare il cambio dalla panchina. O ancora Vassilis Spanoulis o Sarunas Jasikevicius, stelle di prima grandezza qui da noi ma incapaci di accettare un ruolo minore dall’altra parte dell’Oceano.

Sono molte quindi le variabili in gioco e le incognite con cui hanno a che fare le dirigenze e spesso gli staff tecnici non aiutano i giocatori Europei ad ambientarsi nel campionato professionistico americano. Non è un caso infatti che negli ultimi anni solo Ricky Rubio e Danilo Gallinari abbiano meritato la chiamata così alta. Entrambi i giocatori hanno infatti confermato tutte le aspettative su di loro e nonostante i fari puntati sulle loro prestazioni (e un grave incidente per il catalano) nessuno abbia messo in dubbio la chiamata al draft.

Più facile invece esplodere per giocatori come Serge Ibaka , Nicolas Batum o Omer Asik, scelti rispettivamente alla 24, alla 25 e alla 36 nello stesso draft di Danilo, che hanno avuto la possibilità di crescere in realtà che hanno saputo aspettarli e senza una lente di ingrandimento puntata su di loro.

L’atteggiamento è tutto però e a prescindere dal fatto che il draft o i contratti di giocatori Europei undrafted segue l’onda emotiva delle mode del momento, per i giocatori del nostro continente è fondamentale sapere che andare in NBA significa ripartire da zero e doversi riaffermare. Esattamente come fece Drazen Petrovic 24 anni fa. E se lo ha fatto il più grande di tutti…

4 thoughts on “Europei in NBA: una moda in declino?

  1. Manca un grande come Sabonis in un articolo che forse avrebbe meritato più argomentazione e più righe perchè è un discorso molto interessante, ma ammetto che giocatori da citare ce ne sarebbero un’infinità.
    PS: Araujo è brasiliano :D

  2. Comunque Alex Len non è che sta a fare tutta sta brutta figura visto che ha preso il posto di titolare a Plumlee…prima di giudicare i giocatori europei bisogna farli far giocare almeno 15 minuti a partita non un paio di secondi e dopo possono far vedere che valgono. Stesso sbaglio che la merda dell’allenatore dei Pistons che non fa giocare a Datome con tutto il rispetto ma glI altri suoi compagni fanno proprio cagare visto che stanno 5 V 23P.

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