Ne è passato di tempo da quella indimenticabile domenica di metà Giugno. Troppo lontana è la splendida gara 6 giocata all’American Airlines Arena e dopo i gloriosi tempi in cui ad ogni isolamento di Nowitzki seguiva il dolce rumore della retina sono arrivati, in ordine, un’eliminazione al primo turno e un 50%, che ad Ovest (dannato Ovest!) serve quanto una tavola da surf se si abita a Dallas.
Dopo l’ultima stagione le opzioni di Cuban erano due: spostare Dallas ad Est oppure mettere in piedi una squadra più competitiva di quella del 2012. Essendo impossibile realizzare la prima ipotesi, quest’anno sarebbe dovuto partire il rinnovamento di una compagine sempre più arrugginita dall’inesorabile scorrere del tempo…
Conference: Western
Division: Southwest
Arrivi: Jose Calderon, Monta Ellis, Samuel Dalembert, Wayne Ellington, Shane Larkin (Miami Un.), DeJuan Blair, Devin Harris, Ricky Ledo (Providence), Gal Mekel (Wichita State), Fab Melo
Partenze: Darren Collison, Elton Brand, Roddy Beaubois, Chris Kaman, Mike James, O.J. Mayo, Jared Cunningham, Anthony Morrow
Draft: Shane Larkin, Ricky Ledo
Probabile quintetto base
PG: Calderon
SG: Ellis
SF: Marion
PF: Nowitzki
C: Dalembert
ROSTER
Guard: Calderon, Larkin, Devin Harris, Ellis, Ellington, Mekel, McConnel, Ledo
Forward: Marion, Carter, Nowitzki, Crowder, Ebanks, Kennedy
Center: Wright, Blair, Dalembert, James, Melo
Prendere come dato di riferimento l’età media di un roster può però rivelarsi fuorviante. Essere stata la quarta squadra più vecchia della lega può significare qualcosa, ma non rappresenta nulla in maniera assoluta.
Con l’ultima considerazione non si vuole annegare in un relativismo di Tranquilliana memoria (immensa stima per Flavio, si intenda) bensì sottolineare che i numeri andrebbero analizzati sempre cum grano salis. Per avere un riscontro più veritiero ed efficace, ad esempio, si dovrebbe calcolare una media sugli atleti che giocano e non su quelli che solcano il parquet una manciata di volte in tutta la stagione.
In ogni caso, sostenere che con i “vecchietti” non si va da nessuna parte significherebbe ignorare il fatto che la formazione più vecchia della NBA è stata proprio quella che ha portato a casa l’ultimo anello e che (ma questo lo si poteva immaginare) i secondi classificati, in questa graduatoria, si trovano di poco sotto.
Ecco dunque perché i Mavs non dovrebbero “svecchiare” per vincere, quanto più per “guardare avanti”, e con questa ultima espressione, banale quanto inconsistente, si vuol far riferimento al momento in cui Dirk dirà addio al Texas e, ipotesi più probabile, smetterà di giocare.
In questo senso non aver ignorato il Draft dell’estate appena trascorsa è da leggersi come un gran passo avanti. Aver scambiato Cunningham, Noguera e Muscala per Larkin (pescato da Atlanta alla 18) significa essersi aggiudicato uno dei prospetti più pronti al grande salto.
Velocità, tiro da tre e costruzione dal pick’n’roll sono tre abilità che Shane Larkin può mettere in mostra fin da subito in terre texane. L’altra faccia della medaglia, casomai, è rappresentata da un atleta ancora un po’ troppo “leggero” e spesso poco deciso nell’attaccare il ferro.
Esiste in realtà anche una terza strada che i Mavs avrebbero potuto intraprendere e che poco sopra è stata omessa: rifondare (per info telefonare in Massachusetts). Per farlo però c’è bisogno soprattutto di coraggio. A Cuban non manca di certo, ma l’American Airlines Arena è uno dei palazzi più frequentati della lega e correre il rischio di invertire questa tendenza non sembra cosa buona.
Alcuni “grandi nomi” devono allora rimanere. Per quest’anno ci sarà ancora il caro vecchio Carter e l’intramontabile Dirk. Se ne vanno Mayo, Collison, Beauboise e Kaman. Arrivano Jose Calderon, Monta Ellis, Samuel Dalembert, Wayne Ellington, DeJuan Blair, Devin Harris e una boccata d’aria fresca (Ricky Ledo e Gal Mekel).
Sulla carta appare allettante un quintetto con Calderon, Ellis, Marion, Nowitzki e Dalembert: c’è la giusta dose di distribuzione palla, di difesa e di attacco. Inoltre, con i nuovi innesti, la panchina sembra essere più profonda rispetto allo scorso anno quando, per la prima volta dal 2000, i Mavs non riuscirono neppure a raggiungere i PO.
In caratteri come quello di Nowitzki fallire la corsa ai Playoffs è qualcosa che innesca un meccanismo virtuoso. Se a questo si aggiunge poi la voglia di rivalsa di alcuni e la volontà di farsi conoscere dei più giovani verrebbe da dire che l’organico in questione ha tutte le carte in regola per andare oltre la regular season.
Negli Stati Uniti però, non tutti sembrano convinti di questo; emergono dubbi soprattutto riguardo alla chimica e alla tenuta fisica della squadra. Quanto potrà reggere Nowitzki? In che condizione arriverà nella parte finale della stagione? Altre preoccupazioni derivano poi da un reparto di lunghi che appare ancora poco fornito.
La realtà è che, se si considerano le altre franchigie della Western Conference, Dallas parte, come minimo, dietro a sette squadre; otto nell’ipotesi più realistica; nove in quella più pessimistica.
A tutto ciò va aggiunto il fatto di far parte di una complicata Southwest Division, all’interno della quale i Mavs dovranno combattere con Memphis, San Antonio e Houston, oltre che alla meno irresistibile New Orleans.
Dallas e Nowitzki non sono la stessa cosa, ma se si vuole dare una definizione al termine “dipendenza” il rapporto tra la squadra e il giocatore calzerebbe a pennello. Il supporting cast non sembra mancare, la variabile è un’altra ed è alta due metri e tredici, da questa, in gran parte, dipenderà il destino dei Mavs.
Abita ad Assisi e studia Giurisprudenza all’Università di Perugia. E’ un grande appassionato di basket e di musica. Deve molto ai tre italiani che militano nella lega americana perché è soprattutto grazie a loro che si è definitivamente innamorato della NBA.
L’American Airlines Arena è a Miami…
errata corrige: American Airlines Center.
La coppia Calderon-Ellis non mi suona particolarmente bene, in difesa andranno sotto contro chiunque.
Dalembert… speriamo in Fab Melo, via.
Ah.. Bernard James, non Mike