Duri, spigolosi e pronti a vendere cara la pelle. I Memphis Grizzlies si presentano ai nastri di partenza della stagione 2013-2014 con il ruolo che negli ultimi anni sembra essere diventato la loro seconda pelle: saranno ancora una volta gli underdogs della Western Conference, con la consapevolezza di aver dimostrato di poter andare lontano.
Conference: Western
Division: Southwest
Arrivi: Kosta Koufos (c, Denver), Mike Miller (f, Miami), Josh Akognon (g, Dallas), Jamaal Franklin (g, scelta #41 al Draft), Nick Calathes (pg, Lokomotiv Kuban).
Partenze: Darrell Arthur (f, Denver), Keyon Dooling (pg), Austin Daye (f, Toronto), Tony Wroten (pg, Philadelphia).
ROSTER
Guardie: Mike Conley, Nick Calathes, Josh Akognon, Tony Allen, Jerryd Bayless, Jamaal Franklin
Ali: Tayshaun Prince, Quincy Pondexter, Mike Miller, Zach Randolph, Ed Davis, Jon Leuer, Willie Reed
Centri: Marc Gasol, Kosta Koufos
Quintetto base
PG: Mike Conley
SG: Tony Allen
SF: Tayshaun Prince
PF: Zach Randolph
C: Marc Gasol
Head Coach: Dave Joerger
La franchigia del Tennessee è reduce dalla stagione più vincente della sua giovane storia, iniziata a Vancouver nel 1995: 56 vittorie che sono valse il quinto posto nel selvaggio Ovest, e una finale di conference conquistata contro ogni pronostico e persa al cospetto degli Spurs con un 4-0 fin troppo severo per quanto visto sul parquet.
La cavalcata in postseason ha messo in mostra un gruppo di “cagnacci” che ha eliminato nettamente (4-2) i Clippers al primo turno, per poi sfruttare la favorevole congiunzione astrale dell’infortunio di Westbrook e battere 4-1 i Thunder di Kevin Durant in una serie combattutissima a dispetto del risultato finale.
Il tutto dopo essersi privati di quello che, sulla carta, doveva essere il volto della franchigia: Rudy Gay, talento indiscutibile che però è suo malgrado diventato l’emblema della nuova NBA basata sulla sabermetrica, il nuovo approccio che impone di valutare le prestazioni di un giocatore esclusivamente in base alle fredde statistiche (col famoso PER, acronimo di Player Efficiency Rating, a dettare legge).
Il risultato sembra aver dato ragione a John Jollinger, guru delle statistiche di Espn (e inventore del suddetto PER sull’altare del quale è stato sacrificato il buon Rudy) nonché membro della dirigenza dei Grizzlies dallo scorso inverno, che come prima mossa ha provveduto a impacchettare e indirizzare senza troppi convenevoli verso altri lidi il prodotto di UConn.
Non si può certo dire però che Memphis si sia seduta sugli allori, muovendosi in modo accorto e intelligente sul mercato per rinforzare ulteriormente una squadra che, risultati alla mano, ha finito la stagione tra le prime quattro della lega.
Kosta Koufos, centro solido e dall’ottimo bagaglio tecnico, è arrivato da Denver per rinforzare una batteria di lunghi di prim’ordine, con la coppia Randolph–Gasol ormai nell’élite del ruolo. A rimpiazzare Darrell Arthur, ceduto ai Nuggets in cambio del centro greco, è arrivato un vecchio beniamino come Mike Miller, fresco di due anelli vinti a South Beach (con flash da protagonista in entrambe le Finals) e tornato all’ovile per regalare gli ultimi sprazzi di talento in un romantico finale di carriera.
Le chiavi della squadra sono state affidate a Mike Conley, playmaker mai abbastanza sottovalutato che con dei playoff di altissimo livello si è preso la ribalta e il ruolo di uomo franchigia.
Oltre agli innesti sono da registrare due rinnovi, e se quello del buon mestierante Leuer rischia di passare quasi inosservato, l’altro è un fattore potenzialmente decisivo per continuare a seguire la strada tracciata fino a qui: parliamo di Tony Allen, difensore da primo quintetto Nba per due anni consecutivi ma soprattutto l’anima di una franchigia che ha fatto del “grit & grind” il suo marchio di fabbrica.
Tra punti fermi e certezze ormai consolidate spicca però un enorme punto di domanda: la squadra sarà in grado di mantenere la rotta nonostante il divorzio con coach Lionel Hollins?
Al tecnico, rimasto alla guida dei Grizzlies per quattro stagioni e mezzo coincise con le vette più alte mai toccate dalla franchigia (tre apparizioni consecutive ai playoff condite da una semifinale e una finale di conference), non è stato rinnovato il contratto in scadenza e al suo posto è stato scelto Dave Joerger, trentanovenne alla prima esperienza da capo-allenatore tra i pro.
La decisione della dirigenza, in apparenza un salto nel vuoto, è invece quanto di più coerente ci sia con la filosofia della franchigia: Joerger infatti è ai Grizzlies dal 2007, e nel 2011 è stato promosso come primo assistente di coach Hollins.
Con la sua qualifica di specialista difensivo, il giovane neo-allenatore ha plasmato lo stile della squadra portandola a diventare la seconda della lega per efficienza difensiva (e prima per punti concessi, solo 89,3 a partita) nell’ultima stagione. Un’eredita pesante quella di Hollins, ma il nuovo coach sembra pronto a raccoglierla per portare la franchigia verso nuovi orizzonti.
Aggiungiamo al mix una buona flessibilità salariale, con monte ingaggi sotto al cap (al netto dei non garantiti di Reed e Akognon) e “eccezioni” in quantità (4,6 milioni di mid-level e l’intera bi-annual, spendibili insieme a svariate trade exceptions per poter completare la squadra in corso d’opera), ed ecco che l’arco dei Grizzlies pare essere fornito di frecce buone per colpire più di un bersaglio. Ma forse non saranno sufficienti per fare il centro decisivo, anche se per giocarsi l’anello manca da superare (teoricamente) solo l’ultimo gradino.
In ogni caso, a Memphis non lasceranno niente di intentato: sempre a modo loro, col cuore e col grugno cattivo di chi non cede un centimetro e gioca ogni partita come se fosse l’ultima.
Studente in giurisprudenza, amo ogni genere di sport e il suo lato più romantico. Seguace di Federico Buffa, l’Avvocato per eccellenza, perché se non vi piacciono le finali NBA non voglio nemmeno conoscervi.
“Ricordati di osare sempre”.
Direi che il PER (che non è assolutamente il fattore che detta legge nella “nuova Nba sabermetrica”, visto che la usa poco anche Hollinger negli ultimi tempi) è l’ultima delle cose considerate per la cessione di Gay…
Più che altro, sarà stato considerato il cash. O la consapevolezza che la squadra è andata a gonfie vele anche senza di lui, soprattutto grazie a quei due sotto le plance…
L’anno buono, se lo era, era lo scorso…arriveranno 6-7 a Ovest e fuori al primo turni…sempre pronto ad essere smentito ma OKC, Spurs, Houston, Warriors, Clippers mi sembrano superiori
Filippo, perdonami, ma la critica ad Hollinger e alla “sabermetrica” è più integralista di quanto integralisti si voglia sembrino quei concetti.
“Impone” ed “esclusivamente” sono termini oggettivi.
Cioè non basati sul gusto personale, ma su una presunta realtà.
Presunta perché non è affatto tale, perché non c’è alcuna legge o regola che imponga alcunché è soprattutto perché (e cito Zach Lowe, cioè una persona a conoscenza delle dinamiche gestionali NBA come pochissime altre):
Tip: Ignore any “analyst” or “columnist” who still thinks there is a black-and-white divide between analytics and scouting/watching games.
Tip #2: Most “analytics” and “geeks” I know watch more ball than anyone, can tell you playbook terminology of all 30 teams.
The hard divide between “math geeks” and “eye test scouting” exists mostly in the minds of narrow-minded columnists. Folks do both.
(https://twitter.com/ZachLowe_NBA/status/333962300685946880
https://twitter.com/ZachLowe_NBA/status/333962496362815489
https://twitter.com/ZachLowe_NBA/status/333964644488200193)
Un esempio?
John Hollinger.
Che se valutasse esclusivamente tramite le statistiche non si prenderebbe neanche la briga di venire a Treviso per seguire l’EuroCamp più povero di sempre, ma starebbe sul divano di casa.
E poi… Il PER? Dettare legge?
Non si usa manco più per il fantabasket, figuriamoci a livello di dirigenze NBA.
Franchigia che gioca insieme già da qualche anno. Possono contare su una coppia di lunghi tra i primi della lega con l’aggiunta di Kosta Koufos.
A mio avviso ci sono due interrogativi:
il primo è il nuovo coach. Il secondo è che non hanno un atleta che mette punti nei momenti topici, quello che alza il livello in determinati momenti.
Il resto franchigia quadrata che farà la sua strada.