In una NBA dominata dai Miami Heat dei Big Three il centro può sembrare un orpello inutile o una reliquia del passato, come già era avvenuto nella seconda metà degli anni novanta; allora i Bulls di Jordan, Pippen e Rodman dominavano in lungo e in largo con Luc Longley sotto canestro e circolava l’opinione secondo cui nell’NBA moderna si vinceva con gli esterni.
Quella convinzione è stata spazzata via dalle torri gemelle di San Antonio e da Shaquille O’Neal, ma oggi si ripropone lo stesso dibattito, complici i “tres amigos” di South Beach.
Ruolo poco glamour, apprezzato dagli intenditori più che da chi butta un occhio distratto alle immagini di SportsCenter, il centro vive oggi in una condizione che somiglia sinistramente a quella dei Panda.
Quindici anni fa si aggiravano per l’NBA Alonzo Mourining, Shaquille O’Neal, David Robinson e Patrick Ewing. C’erano anche Dikembe Mutombo, Rick Smits, Vlade Divac, Zydrunas Ilgauskas e Arvydas Sabonis, che in NBA c’è arrivato nella seconda parte della carriera.
Chi non aveva uno di questi magnifici nove doveva munirsi di qualcuno capace di marcarli e pazienza se non erano dei giocatori raffinati: Shawn Bradley, Hot Rod Williams (che a Phoenix giocava in un quintettone con Cliff Robinson da ala piccola e McDyess da ala forte), Eric Montross, Rick Mahorn, Theo Ratliff, Andrew DeClercq, Cherokee Parks e Stanley Roberts a Minneapolis, Dean Garrett e Priest Lauderale ai Nuggets; Ervin Johnson, Olden Polynice; per i Clippers giocava Lorenzen Wright e gli dava il cambio Stojko Vrankovic, mentre in quel di Orlando Rony Seikaly sparava ultime cartucce e i New Jersey Nets schieravano Jayson Williams; a Toronto c’erano Marcus Camby e l’immenso (in tutti i sensi) Oliver Miller, immenso quasi quanto Bryant Reeves, centro di Vancouver, mentre sulla baia di San Francisco giocava Eric Dampier (Erika nella versione riveduta e corretta da Shaquille O’Neal).
Questa sfilza di nomi vale a far capire che la situazione era tale per cui o si disponeva di un centro di livello oppure occorreva comunque procurarsi un pivot difensivamente efficace, perché una sera sì e l’altra pure, ci si trovava davanti Patrick Ewing o Alonzo Mourning, e, come disse Kareem Abdul-Jabbar guidando l’aereo più pazzo del mondo, “dì a tuo padre di marcare lui cristoni alti due metri per quarantotto minuti!”.
Il centro è e resta la posizione dominante per eccellenza, perché un buon sette piedi (l’altezza standard del ruolo secondo le misure americane) nega i canestri in area, stoppa, cattura rimbalzi e in attacco, giocando vicino al ferro, segna con percentuali più elevate dei compagni, magari anche caricando di falli il diretto avversario. Allora come mai ce ne sono sempre meno?
Clifford Ray, che è stato chiamato a Sacramento ad occuparsi dello sviluppo di Cousins, ritiene che il problema sia sito nell’abitudine alla fuga anticipata dal college, prima che i giocatori siano veramente pronti e maturi per il gioco pro.
Lungi dal voler fare moralismi sull’importanza dell’istruzione per studenti-giocatori, vogliamo invece sottolineare l’impatto cestistico di questo modo di ragionare.
Fare l’one and done priva molti lunghi della possibilità di sviluppare il loro potenziale spalle a canestro. I ragazzi crescono guardando gli esterni o i giocatori come Nowitzki e Durant, giocatori perimetrali, e non certo Tim Duncan e per di più arrivano al college senza aver mai dovuto mettere le spalle a canestro perché al liceo non hanno dovuto affrontare avversari dotati dei i centimetri necessari per metterli in difficoltà.
Accorciando la permanenza in NCAA quindi imparano poco del mestiere, arrivando in NBA capaci di stoppare e schiacciare ma senza essere giocatori di post, nè offensivi nè difensivi.
Poche squadre fanno come i Lakers, che scelsero Andrew Bynum e lo affidarono alle cure di Kareem Abdul-Jabbar per tutti gli anni necessari e trasformarlo in un centro di alto livello, probabilmente l’unico, per stazza, mani e movimenti, che circoli oggi in NBA.
Bynum ha lavorato duro e i risultati si sono visti. Jabbar però ha raccontato di altri lunghi (lui non ha fatto nomi ma è forte la candidatura di Michael Olowokandi, che allenò ai Clippers) che non volevano essere criticati perché questo li faceva soffrire e li metteva in imbarazzo davanti ai compagni.
Non è difficile immaginare che molti altri coach incaricati di sviluppare i big men in giro per la lega si siano sentiti dare risposte simili da ragazzotti che ormai hanno firmato un contratto NBA, sono ricchi, e pazienza se ogni volta che mettono palla per terra è un’avventura: probabilmente questi passeranno la carriera a promettere molto e a mantenere poco.
Molte squadre sono ricorse al pick and roll per migliorare l’efficency di questi lunghi, ed in effetti il sistema offre dei vantaggi; questo ha convinto alcuni incauti osservatori che il pick and roll sia il sistema migliore per utilizzare i lunghi nell’NBA moderna, scambiando così l’effetto con la conseguenza.
In realtà un lungo di post oggi come ieri è un giocatore più pericoloso e difficile da marcare di un centro che tira solo sugli scarichi del suo playmaker; è la stessa differenza che passa tra un tiratore puro e un giocatore capace di costruirsi il tiro dal palleggio, a cui basta ricevere palla per essere pericoloso. Un centro di post basso cambia la geografia delle strategie difensive, costringe ai raddoppi e non è un giocatore monodimensionale,.
Il risultato delle tendenze che vanno per la maggiore è la carenza di grandi giocatori di post; mancando i centri, non c’è nemmeno l’esigenza di far crescere e tenere in campo qualcuno capace di marcarli.
Non bastasse la collettiva impreparazione tecnica al ruolo, ci si sono messi gli infortuni che hanno recentemente colpito tanti numeri cinque: Greg Oden è virtualmente un giocatore finito prima ancora d’aver iniziato (vedremo se Miami riuscirà a recuperarlo), Andrew Bogut è sempre rotto, Andrew Bynum pure, mentre Yao Ming si è dovuto arrendere ai continui infortuni.
Meno centri, più infortuni, ed ecco che la specie si ritrova a rischio; chissà se costringere i giocatori a metter sù così tanti chili per “rinforzarsi” non si sia rivelato un boomerang planato sulle giunture stressate dal troppo peso (anche se qualche infortunio è fisiologico, si pensi a Bill Walton).
Al netto degli infortuni, è stata cancellata una tradizione e sarà difficile invertire la tendenza. Un giocatore di grande talento potrà apparire all’orizzonte, ma manca una scuola capace di produrre lunghi con continuità; difficilmente quindi rivedremo una lega popolata dai centri degli anni novanta se non verrà prolungata la “ferma” in NCAA o se non salterà fuori un pivot così forte da costringere gli avversari a correre ai ripari, creando mercato per gente magari non molto veloce e scattante ma più tecnica e dotata di centimetri, innescando un circolo virtuoso che deve partire dai licei e soprattutto, dai college.
Seguo la NBA dal lontano 1997, quando rimasi stregato dalla narrazione di Tranquillo & Buffa, e poi dall’ASB di Limardi e Gotta.
Una volta mi chiesero: “Ma come fai a saperne così tante?” Un amico rispose per me: “Se le inventa”.
“ma manca una scuola capace di produrre lunghi con continuità; difficilmente quindi rivedremo una lega popolata dai centri degli anni novanta”…
Infatti manca una scuola e non gli atleti. Per assurdo oggi tra i vecchi e i nuovi ci sono piu’ atleti interessanti nel ruolo di centro che ala grande.
Articolo interessante.
come si è detto nell’articolo, gli unici periodi che i centri sono un pò scomparsi, sono quando sono COMPARSI i due più grandi giocatori di sempre: MJ e LBJ secondo me il secondo è anche molto più completo del primo su tutto il campo (nessuno toglie niente alla classe di MJ che comunque secondo me è un il secondo di sempre dopo il PRESCELTO). poi mettendoli a disposizione una squadra di buon livello (ma non eccellente vedete i miami che senza il numero 6 faticherebbero ad entrare nei playoff, anche perchè wade non può giocare al massimo 82 partite e bosh da solo non basterebbe) i giochi son fatti. per gli infortuni c’è da dire che ormai tutti i giocatori tra i 1,95 e 2,10 sono fisicamente impressionanti ed a trovandosi un uno contro uno con un 2,20 che pesa dieci chili di muscoli in meno sarebbe troppo facile dominarlo.
Comunque credo che quando smetterà il PRESCELTO i centri torneranno prepotentemente almeno fino a quando non ne nascerà un’altro di quell’elevatura.
l’ultima cosa. I miami quest’anno affrontato nelle 2 finali le squadre con centri migliori, che quasi li facevano lo scherzo, (più per colpa loro che per bravura degli avversari), e quest’anno si sono rinforzati proprio in quella zona con una ex prima scelta proprio per non soffrire nelle partite in cui i giocatori chiave tirano un po il fiato.
NON 1, NON 2, …..
Veramente Marco,quando c’era MJ era solo la sua squadra a non avere bisogno di un centro dominante,ma nelle altre squadre c’erano dei signori centri,mentre ora manca quasi totalmente la figura del centro dominante.
infatti, mica ho detto che le altre squadre nn l’avevano. ho detto che dominavano in altro modo e sovrastando tutti i centri delle altre squadre.
“come si è detto nell’articolo, gli unici periodi che i centri sono un pò scomparsi” [cit. marco]
Mi sà che il tuo amore per bufalo-james ti abbia offuscato le capacità cognitive per un attimo.
non bufalo ma james IL PRESCELTO si.
Bhè, Lebron Lebron James è un grandissimo, ma paragonarlo a Jordan è sbagliato! A parte il passaggio ed i rimbalzi negli altri fondamentali Jordan era molto più capace di Lebron!
Articolo ben fatto,mi sono chiesto tantissime volte perché in pochi anni sono quasi spariti i centri e questo articolo spiega chiaramente,ma la colpa del one and done,della penuria di big meno è colpa della NBA.
Cioè sarebbe a dire che il prescelto, e non uso appositamente le virgolette, é più “completo” di michael jordan? Scusa Marco, hai mai tirato un libero in vita tua?