Due dei più micidiali e inarrestabili attaccanti degli ultimi trent’anni, entrambi figli ed in seguito re di New York, alla spasmodica ricerca di riportare l’anello nella Grande Mela.
Oggi Carmelo Anthony è quello che Bernard King era negli anni’80, ovviamente i tifosi Knicks sperano che il finale possa essere diverso, ma intanto mettiamo a confronto i dominatori della squadra più discussa e controversa della NBA. Si tratta di due ali piccole (anche se Melo oggi è divenuto più che altro un’ala grande atipica), quindi giocatori dello stesso ruolo, ma già dal punto di vista fisico si possono notare le prime differenze.
King era un’ala di 201 cm per 95 kg circa, mentre Anthony è un 203/204cm per circa 105 kg, certamente appartengono a generazioni cestistiche molto diverse e il basket negli ultimi trent’anni si è evoluto anche fisicamente (l’atletismo dei giocatori è aumentato in modo vertiginoso), però è innegabile che King era un’ala piccola decisamente meno massiccia e potente di Anthony, d’altra parte era più rapido e scattante di quanto non sia oggi l’altro.
Ora passiamo al confronto più ampio e più intrigante, quello tecnico, seppure virtuale dato che è sempre complicatissimo confrontare campioni di epoche diverse (come del resto accade in ogni disciplina sportiva).
Forza
Come detto, Melo è un’ala fisicamente dominante, decisamente alta e imponente, più potente di lui tra le ali piccole nella NBA moderna c’è soltanto Lebron James, ed è tutto dire. Bryant ha detto di lui: “He’s strong like a bull”, spostarlo, quando prende posizione (specialmente in post), per il suo marcatore diventa praticamente impossibile, resiste benissimo ai trattamenti spesso poco ortodossi che gli vengono riservati ed è anche merito del fisico se riesce a crearsi le situazioni ideali per concludere a canestro.
King abbiamo visto essere un po’ meno alto e decisamente più leggero, tuttavia era in grado di farsi valere nel gioco spalle a canestro e anch’egli resisteva molto bene alle “maniere forti” che i difensori avversari gli riservavano ogni sera; chiaramente la forza non era la sua caratteristica principale e per questo soffriva (pur facendoli penare eccome a sua volta) più di Melo i difensori più arcigni e ai quali magari rendeva chili e centimetri.
Velocità e rapidità
Qui il confronto viene ribaltato: King, grazie al fisico più snello e leggero, era un’animale da contropiede, una fiera selvaggia che si divorava il parquet in pochi secondi seminando il panico nelle difese, imprendibile per qualunque pari ruolo. Alla velocità pura univa un primo passo a livelli jordaniani ed una ottima mobilità di piedi, armi letali negli uno contro uno in cui molte volte si esibiva; purtroppo queste caratteristiche saranno mutate da un grave infortunio al ginocchio che, anche per un progresso medico lontano dai livelli attuali, gli comprometterà la carriera –almeno per come sarebbe potuta essere senza quel maledetto infortunio- e gli farà cambiare giocoforza stile di gioco per la seconda parte della sua storia nella NBA.
Melo, data la struttura fisica, è un’ala meno rapida e veloce di King, non è un contropiedista devastante come il suddetto ed il suo gioco è meno frenetico, ma d’altronde ciascuno utilizza le proprie armi migliori. Ad ogni modo Anthony non è affatto lento, anzi, solamente nel confronto con un velocista eccezionale come il suo predecessore a New York risulta fatalmente inferiore, ma soprattutto adesso che si è trasformato in un 4 fuori dal normale è nettamente più rapido e veloce di tutti i pari ruolo, e se c’è da correre in contropiede per andare a canestro non si tira certo indietro.
Una caratteristica che lo accomuna a King è invece il primo passo assolutamente devastante: più leggiadro ed esplosivo quello di King, più potente e straniante – data la stazza – quello di Carmelo; entrambe frecce letali all’infinita faretra a disposizione dei due principi attaccanti.
Passaggio e visione di gioco
Essendo due tra gli scorer puri più straordinari che la lega abbia conosciuto hanno nel DNA una buona dose di egoismo, e un po’ come per i grandi centravanti del calcio non si tratta necessariamente di un difetto.
Anthony è stato messo svariate volte in discussione per il fatto che passi poco la palla (anche se in carriera ha una media non pessima di oltre tre assist a incontro) e fermi il gioco, e disponendo di mani dolcissime e di un’ottima visione di gioco quando passa la palla, forse effettivamente qualche volta potrebbe cercare di più i compagni, ma Carmelo non è Lebron e viceversa.
Nemmeno King era un passatore a cinque stelle, più o meno siamo agli stessi livelli di Melo, anche se a fine carriera –complice l’infortunio citato– era assai migliorato sotto questo aspetto. Considerando i rari flash regalati da entrambi in versione “play” forse è proprio Melo a lasciare qualche rimpianto, perché con quelle mani avrebbe potuto e potrebbe creare giochi deliziosi anche per i compagni oltre che per sé stesso.
Tecnica, ball handling e uno contro uno
Qui siamo davvero nel gotha del gioco, entrambi fanno parte della ristretta cerchia del non plus ultra dei giocatori NBA con qualcosa in più, i fuoriclasse.
King abbinava una capacità di palleggio e trattamento (con ambo le mani) strabiliante per un 2.01 ad una grande fantasia di movimenti fronte e spalle a canestro, un repertorio spettacolare di perni, crossover, finte e contro finte davvero straordinario. Inoltre era abilissimo nella ricezione della palla e pure nella sua protezione, un incubo per qualunque difensore. Il rimpianto più grande, non si finirà mai di ripeterlo, sta in quell’infausto infortunio nella sua stagione migliore a New York, quella del titolo di capocannoniere con 32,9 punti di media.
Anthony è un Bernard King evoluto, lo abbiamo detto in apertura. Tecnicamente e rapportato alla sua stazza tra gli attaccanti nella lega non ha rivali (Durant è allo stesso livello, ma Melo è più fluido ed elegante palla in mano e in movimento). Un 2.03 per più di un quintale con mani così educate che palleggia come una guardia, dispone di finte e movimenti da playground e si muove come un ballerino è rarissimo a vedersi. Nell’uno contro uno probabilmente è il migliore al mondo, attacca con efficacia qualsiasi difensore ed è assolutamente imprevedibile.
Difesa
Nota dolente per entrambi i re di New York. Bernard King non era esattamente conosciuto come un grande difensore negli anni ’80, come nella NBA attuale non considerato tale Anthony. E’ una questione di mentalità e di applicazione, non di incapacità o inattitudine: per fisico e conoscenza del gioco sarebbero stati (avendo ancora solo 29 anni Melo è liberissimo di smentirmi, ma nutro poche speranze) ottimi difensori, ma non si sono mai applicati perché il loro unico obiettivo era o è fare canestro.
D’altra parte forse applicandosi diligentemente nella propria metà campo non sarebbero stati Bernard King e Carmelo Anthony nella metà campo offensiva, non avrebbero avuto l’istinto killer e totalizzante verso il cesto. Le eccezioni di attaccanti fenomenali capaci di essere difensori altrettanto fenomenali ci sono state (Jordan e Bryant su tutti), ma sono stati, appunto, casi eccezionali.
Leadership
King era la stella indiscussa di New York nei suoi anni d’oro (e pure nei successivi anni post infortunio a Washington), certamente era un leader tecnico ed emotivo, però non aveva il carisma e l’insana fame di vincere di un Jordan o di un Bird. Si caricava inevitabilmente la squadra sulle spalle nei momenti di difficoltà e la trascinava col suo talento, ma era un condottiero silenzioso.
Carmelo è un caso molto simile: superstar acclamata e guida tecnica dei compagni in campo, scoglio a cui aggrapparsi con fiducia nei momenti più bui, ma senza la leadership dei grandi capitani (l’annata migliore a Denver l’aveva vissuta con Billups al suo fianco, tecnicamente di gran lunga inferiore a lui, ma un vero leader caratteriale).
Tuttavia l’ultimo anno fantastico a New York sembra averlo un po’ cambiato: ha iniziato ad essere anche leader psicologico, a confortare i compagni in crisi (lo ha fatto ai playoff con Jr Smith e con lo stesso Chandler che lo aveva criticato davanti alla stampa) e a maturare; forse a 29 anni non è troppo tardi e si è reso conto che è inevitabile per cercare di portare a casa l’anello che tanto anela.
Tiro
Categoria di cui entrambi risultano interpreti eccellenti, pur se in modi lievemente differenti.
King disponeva di armi letali come arresto e tiro old school perfetti stilisticamente, tiro in movimento e in mezzo a selve di difensori, jumper in allontanamento, spalle a canestro, da fermo, da tutte le posizioni; una macchina da canestri impressionante e dal gioco molto bello anche dal punto di vista estetico per i puristi. L’unica vera pecca l’aveva nel tiro da tre (17% in carriera), lacuna molto strana per un giocatore dalla balistica tanto pulita e dalle soluzione così varie.
Anthony dispone di una delle meccaniche di tiro più belle della NBA: preparazione compatta, movimento fluido e rilascio istantaneo, perfetto e da altezze proibitive per la maggior parte dei difensori. Il suo mid-range game non ha rivali, e le sue soluzioni sono ancora più varie di quelle di King: sostanzialmente un repertorio illimitato per varietà, qualità e distanza (da tre è molto più efficace di King e anzi nelle ultime stagioni è migliorato tanto da divenire un cecchino, capace di bombardare il canestro con continuità allucinante).
Esteticamente siamo di fronte ad un altro spettacolo balistico, persino migliore di quello del suo antesignano newyorchese perché oggi la lega è popolata da uomini volanti, giocatori esplosivi come dinamite che arrivano quasi a spaccare il canestro, mentre il gioco da puristi, i jumper dalla media distanza e i tiri elaborati come opere d’arte sono diventati specie in via di estinzione; quindi un giocatore elegante, tecnico e per certi versi old school come Melo è una perla rara.
Globale
Due talenti offensivi tra i più puri che la storia del basket ricordi, spettacolo per gli occhi di ogni tifoso e in grado di far sognare con giocate da togliere il fiato: Bernard King e Carmelo Anthony sembrano davvero lo stesso giocatore, anzi l’evoluzione dello stesso giocatore, a trent’anni di distanza l’uno dall’altro.
Carmelo è più potente, più completo e addirittura più talentuoso di Bernard: rientra in una classe che sta scomparendo inesorabilmente, quella degli attaccanti puri e dal repertorio infinito. Negli anni ’80 King era in ottima compagnia, eppure spiccava comunque per uno stile di gioco inconfondibile e un rarissimo (anche per quegli anni gloriosi) istinto per il canestro.
Oggi Anthony è assieme a Durant e a Bryant l’ultimo dei fuoriclasse puri del gioco d’attacco, ma, anch’egli, a suo modo, è unico come lo era stato Bernard King: un giocatore che divide le folle, non difende e si prende valanghe di tiri, fa vincere partite impossibile ed una settimana dopo attira le critiche più feroci (a New York poi tutto è amplificato), eppure viene osannato dai tifosi e temuto da tutti gli avversari, e forse un giorno riuscirà a vincere l’anello che gli manca, a modo suo, bombardando il canestro avversario con movenze impossibili per gli altri; come avrebbe potuto e voluto fare anche il vecchio Bernard King.
King non era Jordan o Larry Bird, Anthony non è né James né Tim Duncan, però quando vedi i due re di New York iniziare a fare canestro a modo loro, beh… speri che giocatori così non finiscano mai di calcare i parquet della lega più incredibile del mondo.
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