Mettete un weekend di inizio Luglio, uno dei pochi fine settimana dove il sole si degna di far appieno il suo lavoro (pure troppo). Caso vuole che il tutto combini perfettamente con uno degli eventi più importanti della Romagna: “La Notte Rosa”.
L’addizione sembra perfetta, e nel 90% dei casi lo sarebbe. L’uso del condizionale è d’obbligo, in quanto il rimanente 10% ha deciso di programmarsi il weekend in maniera diametralmente opposta, e di quella programmazione faccio parte anch’io.
Niente sole, mare o feste ma, esclusivamente, l’afosa e affollata Milano in piena “domenica dei saldi”.
Una scelta all’apparenza folle, ma credetemi, il motivo, era più che valido e lasciate alle righe qui sotto un’ardua ma più che ovvia giustificazione.
Terminata l’ennesima esaltante stagione NBA, si è messa in moto, come da tradizione, l’efficiente macchina organizzativa per promuovere il fantastico mondo del basket USA.
Grazie alla collaborazione con alcuni “main sponsor”, la lega cestistica più famosa del mondo, punta a consolidare ed espandere la propria immagine e mercato utilizzando in molti casi alcuni giocatori simbolo.
“All in for D-Rose”: alzi la mano chi di voi non ha mai sentito queste quattro parole almeno una volta, una frase ormai in ridondanza ciclica nella mente di ogni nottambulo e amante di questo splendido sport. La vana speranza di vedere Derrick Martell Rose uscire realmente dal tunnel una volta finito lo spot.
Eppure D-Rose è tornato e ” io c’ho le prove” (parafrasando il buon Ceccherini).
Domenica mattina 7 Luglio, un’assonnata Milano fatica a riprendersi dai bagordi del sabato sera, poche persone si aggirano con fare impegnato nel centralissimo Corso Vittorio Emanuele; però c’è qualcosa di anomalo, un numero sempre più crescente di ragazzi si raduna davanti all’entrata di un rinnovato Footlocker nei pressi di San Babila.
Ammaliato da tanta frenesia e per nulla preoccupato da tale ressa decido di continuare il mio cammino apparentemente senza meta, in testa solo una voglia matta di caffè.
So perfettamente che questa volta il mio posto non è in mezzo alla calca, per una volta il mio posto è dall’altra parte della barricata.
Senza neanche farci troppo caso, mezz’ora dopo un ottimo caffè, mi ritrovo davanti ad un’entrata secondaria con il Pass Media tra le mani. Il tutto è stato reso possibile da adidas italia che ha organizzato questa conferenza per i blogger
Dopo aver fatto un po’ di sano cameratismo con alcuni compagni d’avventura conosciuti lì, sono pronto assieme a loro ed altri 10 blogger, per partecipare ad un’intervista privata con Derrick Rose.
In men che non si dica mi ritrovo a sedere a meno di un metro dalla sua poltrona e, mentre alcuni sistemano le proprie attrezzature per registrare/filmare/immortalare l’evento, il mio pensiero più ricorrente è: “Sta succedendo davvero?”
Neanche il tempo di darmi una risposta che una musica (la stessa dello spot) attira la mia attenzione, una figura si materializza: è il playmaker from Chicago, per me è ufficialmente uscito da quel maledetto tunnel.
Introdotti come veri giornalisti, uno ad uno i ragazzi “sparano” la propria domanda; c’è chi lo fa in maniera smaliziata e chi non riesce a nascondere un certo imbarazzo.
D: Se tu fossi un giocatore di NFL che tipo di giocatore saresti e in che squadra vorresti giocare?
R: Wide receiver (ricevitore) o safety (linea secondaria difensiva) vorrei giocare per i Chicago Bears
D: Visto che sei nato e cresciuto a Chicago, cosa significa per te giocare per i Bulls e diventare MVP alla guida dei” Tori”?
R: È un’emozione grandissima giocare per la stessa squadra di Michel Jordan. E’ un onore essere il giocatore di punta del team. Indescrivibile la sensazione di aver riportato la squadra in alto dopo 5-6 anni di insuccessi e brutte stagioni. Non riesco a crederci.
D: Puoi fare un paragone tra il Derrick Rose pre/post infortunio? Com’è cambiata la tua vita e come sei cambiato come persona?
R: Ho avuto l’opportunità, nel momento più brutto per un giocatore di basket, di osservare il basket da un altro punto di vista: altri modi di giocare, situazioni, altri allenatori e schemi differenti. Sono convinto che tutto questo mi renderà un giocatore migliore al mio rientro.
Mannaggia a te Gastone (ragazzo che ha posto l’ultima domanda), ecco chi mi ha rubato il quesito. Per un attimo distolgo l’attenzione dall’intervista, complice un saluto di Rose verso i fans (sempre più numerosi) assiepati in ogni dove.
Scattano tantissimi flash ed io per un momento vorrei alzarmi e salutare con fare trionfante per vedere l’effetto che si prova, verosimilmente l’unica cosa che riesco a fare è cercare il profilo migliore (impresa ardua) da proporre all’occhio dei tanti fotografi amatoriali.
L’intervista intanto scivola via agilmente…
D: Tu, come altri famosi giocatori (Isiah Thomas, ndr) arrivi da uno dei quartieri più pericolosi di Chicago. Il basket per te ha rappresentato una via di salvezza?
R: Ovviamente il basket è stata un’ancora di salvezza per stare alla larga dai problemi del mio quartiere. Mi sento fortunato ad aver avuto l’opportunità di sviluppare il mio talento per il basket, devo tutto alla mia famiglia: in particolare ai miei fratelli che mi hanno aiutato a trovare la strada giusta.
In tempi non sospetti a confermare queste parole, ci ha pensato il direttore di Rivista Ufficiale NBA, Mauro Bevacqua: incredibile la sua avventura nell’andare, ma soprattutto nel tentativo di tornare, dalla House of Hope Arena sulla 144esima strada di Chicago (periferia e paura pura).
Se non vi basta ad aggiungere benzina sul fuoco ci pensa, in un’altra intervista sempre per Rivista Ufficiale NBA, Chris Douglas-Roberts. Compagno di squadra al college di Memphis, ottimo amico di Rose e con un trascorso nel campionato italiano: “Siamo arrivati al punto che sentivamo il rumore degli spari e non ci facevamo quasi più caso, continuavamo a giocare”.
D: Durante il tuo stop forzato c’è stato, a livello musicale, un artista, una canzone o parte di un testo che ti ha aiutato a motivarti per recuperare più velocemente?
R: Non ascolto un artista nello specifico, ultimamente ammetto di esser legato all’album “Born Sinner” (2013) di J.Cole. Ci sono diverse canzoni in cui parla del fatto che è giovane e vuole diventare qualcuno in cui mi rivedo me stesso.
D: All’interno del processo di sviluppo di una calzatura, qual è il tuo ruolo? Preferisci scarpe dal taglio alto o dal taglio basso?
R: In passato ho giocato qualche stagione con le scarpe basse, ma mi sono reso conto di correre troppe volte il rischio di farmi male alle caviglie; con adidas ho scelto di creare una scarpa che mi renda sicuro e libero nei movimenti. Il mio gioco si basa su velocità ed esplosività, perciò indosso sempre scarpe alte per essere libero di pensare a giocare e non ad evitare di farmi male.
D: Nella stagione 1995/96 Micheal Jordan ha approfittato di un infortunio per affinare il suo tiro dai 6 metri; tu hai lavorato o stai lavorando per migliorare in alcune parti del tuo gioco?
R: Ho lavorato su tutto, ho lavorato duro ogni giorno, sul tiro da tutte le posizioni, perché i grandi giocatori devono saper fare ogni cosa e devono saper tirare in maniera eccelsa da ogni zona del campo.
D: Qual è il tuo genere musicale preferito e quale l’artista che ascolti con maggiore frequenza?
R: Il genere che amo è l’hip hop che è da sempre legato al mondo del basket, gli artisti spesso sono amanti e giocatori di basket. L’hip hop mi permette di rilassarmi ma anche di riflettere su quello che gli artisti dicono nei versi, spesso parlando di cose che ho vissuto e che vivo quotidianamente
Ok la scarpa alta ce l’ho, lo sbattimento di allenarmi duramente pure, mi piace l’hip hop. Non capisco cosa mi manchi per esser un fenomeno della palla a spicchi…
D: Esser stato prima scelta NBA che tipo di pressione e responsabilità ha portato?
R: Ovviamente un po’ di pressione c’è stata, ma non è un problema per me. Mi piace essere sotto pressione, amo quando tutti contano su di te, quando hai addosso gli occhi di tutti: la pressione è ciò che mi permette di prepararmi al meglio alle partite importanti e dare il meglio di me.
D: Tu hai giocato con Belinelli e contro Bargnani e Gallinari, cosa nei pensi?
R: Tecnicamente sono tutti e 3 giocatori molto validi: hanno un ottimo range di tiro e sono abili passatori. Per quanto riguarda Marco (Belinelli): è un’ottima combo play/guardia, ruba palloni e sa controllare il gioco; quest’anno ha aiutato Chicago a fare bene ed ora che è passato a San Antonio gli auguro tutta la fortuna che si merita. Come dico sempre, questa è l’NBA, è business, quindi ognuno prenda la chance che ha e la sfrutti al suo massimo.
Al contrario di Derrick, io la pressione non la reggo, il mio turno non è ancora arrivato e la risposta su i 3 italiani è “Politically Correct”: Stern in persona deve aver distribuito cartoncini con risposte multiple da rilasciare alla stampa estera…
Ma fermi tutti è il mio momento. “Per Playit USA, Michele De Rosa”
D: Il logo creato in collaborazione con Adidas parla della tua vita vero? Ce lo puoi raccontare?
R: Il logo rappresenta una rosa, i tre petali rappresentano i miei tre fratelli. Al centro il numero uno che rappresenta mia madre, il cui contorno forma un D, come l’iniziale del mio nome. Ho amato subito questo logo proposto da adidas.
OK OK OK. Chiedo scusa a tutti per la domanda (chiesta al diretto interessato per la millesima volta) purtroppo come spiegato qualche riga più in su, all’ultimo la mia domanda risultava simile ad un’altra perciò me ne hanno affidata una “d’ufficio”.
Purtroppo questa celere intervista termina, ma io da ingordo vorrei non finisse mai.
Lascio la stanza e Rose al suo valzer di interviste e appuntamenti, finalmente ritorno alla realtà; probabilmente come predetto da Andy Warhol ho avuto anch’io miei 15 minuti di celebrità.
Rimane l’immensa soddisfazione di aver incontrato ed intervistato uno dei più grandi talenti che la NBA offre attualmente.
L’impressione è di aver conosciuto un uomo molto responsabile, nonostante la fama lo preceda, non ha cambiato molto il suo stile di vita è il classico esempio di : “family first” . Il suo status di superstar, a molti darebbe alla testa, tuttavia a primo impatto si è rivelato molto introverso ma disponibile.
Prima di salutare però, occorre fare un doveroso flash back…
Nonostante la stella dei Chicago Bulls abbia saltato l’intera stagione, in barba a qualsiasi tipo di superstizione, adidas non ha cambiato strategia di mercato, anzi ha rilanciato alla grande proponendo al pubblico europeo e non solo, un Tour promozionale incentrato sulla figura del suo uomo di punta.
La 2 giorni meneghina ha preso il via sabato con un evento pubblico, l’inaugurazione di un playground intitolato a suo nome e griffato dal suo logo al quale hanno partecipato circa 700 persone.
La point guard è sembrata a suo agio nei panni dello spettatore, ormai si deve essere abituato (ok questa era gratuita) assistendo ad una serie di 3vs3 organizzati appositamente per l’occasione.
Con un traduttore d’eccezione come Andrea De Nicolao (pari ruolo di Varese) con la famiglia sempre e costantemente al suo fianco ma soprattutto con il suo unico agente, tale B.J. Armstrong che a fine manifestazione, dopo esser rimasto in disparte, ha dato spettacolo alla consolle, improvvisando un meraviglioso DJ set.
Ora vi chiedo: secondo voi ne è valsa la pena scegliere per una volta Milano alla riviera Romagnola?
Twitter: @tobos84
direi proprio di sì.
e poi quest’anno chicago farà vedere i sorci verdi, cioè rossi a miami! e tu potrai dire di averlo visto e di averlo capito subito (che avrebbe fatto vedere i sorci rossi a miami)
Premetto: sono un fan NBA della domenica, so poco o nulla di basket e di giornalismo sportivo, leggo durante la stagione i vostri aggiornamenti e poi guardo qualche partita di playoff e le finali.
Di Derrick Rose so quel tanto che ho sentito durante le telecronache.
Ciò detto, quindi senza la minima presunzione di voler insegnare agli intervistatori un mestiere che non conosco, dopo letto l’articolo mi sono chiesto: ma non è stata un’occasione persa?
Intendo dire: avendo l’opportunità di parlare con DR, non veniva proprio fuori qualche domanda un po’ più pungente, stimolante, interessante per i lettori?
Che musica ti piace, il basket ti ha salvato, cosa significa essere prima scelta e poi il giudizio sui giocatori italiani…a me, che ignoro la materia, sembrano domande banali che infatti generano risposte telefonate e preconfezionate.
Ho però l’impressione che non sia una vera mancanza da parte dei blogger presenti, ma che l’incontro sia stato costruito e “pilotato” dall’NBA proprio con questo genere di risultato in mente, cioè domande e risposte votate a quel politically correct che hai identificato nella risposta sui 3 italiani (tanto che ti hanno fornito la domanda di riserva).
In fondo credo che all’NBA interessasse fare una passerella più che una vera intervista…
Michele, tu che sei dell’ambiente cosa ne pensi?
Ciao Mikimush.
La tua osservazione è giusta e plausibile, allo stesso tempo nella chiosa finale ti sei risposto correttamente.
Per l’intervista a Rose, noi blogger abbiamo dovuto fornire in anticipo le nostre domande in modo tale che potessero esser valutate.
Prima ancora di proporre la domanda ci è stato posto il veto su alcuni argomenti (soprattutto l’infortunio).
Da quel che so, questo comportamento è una consuetudine: il giocatore o vip che sia, ha un addetto o ufficio stampa con il quale il giornalista di turno concorda, il più delle volte, le domande da porre.
Coloro che si possono permettere domande “scomode” solitamente sono dei “mammasantissima” e in quanto tali godono di uno status superiore, un esempio lampante per quanto riguarda la NBA è Bill Simmons.
Ho deciso dunque di sviluppare il mio pezzo sulle sensazioni provate da me quel giorno, affinchè anche il lettore potesse immedesimarsi il più possibile nella mia persona.
Per me era già un onore esser li e devo ringraziare playitusa e adidas per l’occasione che mi hanno concesso. Vivere un’esperienza del genere non capita tutti i giorni.
Spero di esser stato esauriente e ahimè ti ringrazio ma io purtroppo non sono dell’ambiente, anzi, sono un corpo estraneo.
Un saluto
Michele
Tobos84