I protagonisti che non ti aspetti. Nel momento più importante della stagione, quando in campo c’è solo l’elite della palla a spicchi, questi 5 ragazzi hanno cambiato la narrazione della propria carriera.
Cinque storie scritte da coloro i quali alla vigilia erano, secondo il parere dei più, pronti a recitare il ruolo di subalterni, quasi come il maggiordomo Michael Caine nella trilogia di Batman. Ed invece, si sono ritrovati a vestire i panni dell’attore protagonista, con il campo che ne ha consacrato il talento, la pazzia e la forza.
Harrison Barnes
Il primo peones che incontriamo in questo nostro percorso, è il 21enne nato ad Ames, Iowa. Ruolo SF, 95 kg distribuiti lungo 203 centimetri di straordinario e perfino inusitato atletismo.Troppo leggero per giocare come Power forward, troppo acerbo ed inesperto per meritarsi più di 25 minuti a sera durante la regular season.
D’altronde, coach Mark Jackson, si sa, è uno che non guarda in faccia a nessuno. Ed il fatto di farsi trovare in prima fila durante uno dei suoi sermoni della Domenica, rituale che Barnes ha espletato anche a stagione finita, aiuta ma non può essere fattore determinante.
La settima scelta del Draft 2012, nonostante tutto, in 81 partite fa in tempo a collezionare 9,2 punti e 4,1 rimbalzi di media, meritando un posto nel 1st quintetto NBA Rookie 2013. Il bello della stagione dei Warriors, però, è di là da venire.
Al primo turno c’è da vedersela con i Denver Nuggets di coach Karl. Durante l’ultimo quarto del primo atto della serie, David Lee si infortuna ai flessori dell’anca. A quel punto Mark Jackson fa quello che nei mesi precedenti aveva fatto con il contagocce: da fiducia all’ex ragazzo di North Carolina. Saranno 38 e spiccioli i minuti di media nei play-off, molti dei quali adoperati anche per coprire lo spot di Power Forward.
E se le gare della stagione regolare avevano messo in mostra le sue lacune e le sue debolezze, le 12 gare disputate durante la post-season hanno dipinto un Harrison Barnes completamente diverso. In metà delle sue apparizioni contro Nuggets e Spurs registra più di 19 punti ad allacciata di scarpe.
Nelle restanti si dimostra giocatore completo, sicuro ed affidabile anche quando la palla scotta: 18,7 i punti di media registrati lontano dalla rumorosissima Oracle Arena. Lo score finale racconta di 16,1 punti, 6,4 rimbalzi ed il 44.4% dal campo. Non male per un rookie alla prima stagione tra i grandi.
I margini di miglioramento sono enormi, soprattutto nelle letture offensive e nella non sempre presente aggressività nell’attaccare il canestro. Questo compito toccherà al reverendo Jackson, mercato permettendo. Barnes, tanto per portarsi avanti con il lavoro, al True Love Worship Center International(chiesa dove Jackson e signora esercitano il ruolo di pastore) si farà vedere spesso.
Topic Moment: La doppia doppia da 26 punti e 10 rimbalzi rifilata in gara 4 agli Spurs, che valse ai Warriors il 2 pari nella serie. Tutti canestri allo scadere dei 24 secondi e con quintali di pressione sulle spalle e nei polpastrelli.
Marc Gasol
Se nasci nella famiglia di una delle più grandi icone sportive spagnole, se per approdare in Nba vieni mandato da Los Angeles a Memphis, mentre il tuo fratellone (l’icona di cui sopra, per l’appunto) compie il tragitto inverso, il rischio che tu conviva con la sindrome da numero 2 è più che fondato. Malgrado ti chiami Marc Gasol e porti a spasso 216 cm di raffinata attitudine cestistica. Può capitare.
Può anche capitare, però, che nei panni del numero due ti ci senta stretto. Esattamente quello che è accaduto durante questa stagione al centro dei Grizzlies. Una stagione regolare da incorniciare per il più piccolo di casa Gasol.
Ha trascinato con le sue prestazioni Memphis al miglior record di sempre (56-26), ricevendo l’ambitissimo riconoscimento di NBA Defensive Player of the Year. Anche se a dir la verità, il vero cambio di marcia è avvenuto dopo la trade che ha portato Rudy Gay a Toronto.
Finalmente responsabilizzato a dovere, il buon Marc ha registrato 14,5 punti, 8 rimbalzi e 4 assist a sera nella parte restante della regular season. Il cammino splendido dei Grizzlies nella post season, interrotto solo da coach Pop ed i suoi highlander, ha definitivamente insignito Marc del ruolo di uomo franchigia. 8,5 rimbalzi, 3,2 assist e 17,2 punti ad allacciata di scarpe nelle 15 apparizioni ai play-off, meritano ben pochi commenti.
Sia i Clippers che i Thunder hanno conosciuto la dura legge di Gasol e Z-Bo. Attenti a quei due, verrebbe da dire. La miglior coppia di lunghi ( e di larghi) di tutta la lega.
Topic Moment: Gara 4 della serie conto OKC. 23 punti ed 11 rimbalzi, impreziosisti dalla stoppata decisiva su Ibaka negli ultimi minuti del quarto periodo e dal jumper che manda i titoli di coda nell’overtime.
Jeff Green
Chi segue la Nba e la pallacanestro d’oltre oceano sa perfettamente che la storia di Jeffrey Lynn Green, detto Jeff, sembra uscita da un film.
Sono passati appena due anni dall’ operazione che gli salvò la vita, e resasi necessaria dopo la scoperta di un aneurisma alla aorta. Per un’ora e mezza, durante il complesso intervento, il suo cuore rimase fermo. E’ stato costretto a saltare l’intera stagione successiva. Quisquilia se comparata al fatto di aver lottato e combattuto per la sua vita. Questo sarebbe il pensiero di noi persone normali. Non quello di Jeff.
La voglia di tornare a calcare il parquet ha consentito all’ex ragazzo di Georgetown di superare un duro e faticoso percorso riabilitativo. Lo scorso Agosto i Celtics hanno dimostrato di avere fiducia nelle sue qualità, facendogli firmare un quadriennale da 36 milioni di dollari.
Che Green avesse un talento fisico e tecnico perfetti per praticare il giochino inventato da mister Naismith, era cosa lapalissiana. Quello che gli è servito è stato solo un po’ di tempo. Un po’ di tempo per prendere le misure con quel senso di spossatezza e di affaticamento, lasciatogli in eredità dall’intervento.
Dopo la pausa dell’All Star Game, ha fatto registrare 17, 3 punti e 5 rimbalzi di media. Nella serie contro i Knicks di Carmelo Anthony, è andata ancora meglio. Sei partite a 43 minuti di media e con 20,3 punti 5,3 rimbalzi ed il 45,5% da tre punti.
Il futuro è tutto per lui, soprattutto ora che il roster di Boston assomiglia alla pianta dell’area 51 nel Nevada. Tutta da decifrare.
I margini di miglioramento sono enormi. Prima fra tutte l’attitudine ad andare a rimbalzo, nettamente perfezionabile. Nel contratto siglato lo scorso anno, Danny Ainge ha perfino inserito un incentivo economico proporzionato al numero di rimbalzi catturati. L’ennesima piccola sfida nella vita di un ragazzo che una delle sfide più grandi l’ha già vinta. Quella con la vita.
Topic Moment: Gara 1 della serie contro New York. “Playoffs are where players are made” ha dichiarato in una recente intervista. 26 punti nella sua prima apparizione al Madison Square Garden. Gran bel posto per dar seguito alle parole con i fatti.
Roy Hibbert
“Ah, ma questo qui fosse nato nell’era degli Olajuwon, degli Ewing e dei Robinson sarebbe stato buono giusto per far da porta asciugamano, seduto in panca”. Musica e parole di coloro che, nei confronti di Roy Hibbert, hanno sempre nutrito qualche piccola remora, tanto per dirla con un eufemismo. Ed anche a 2 metri e 18 centimetri le critiche e lo scetticismo giungono con una certa velocità.
Da quando Hibbert è entrato nella Nba, Draft 2008, ha costantemente dovuto fare i conti con chi lo ho bollato come sopravvalutato prima e strapagato poi. Effettivamente, un’ultima regular season quanto mai anonima, quarto miglior marcatore di squadra ad appena 11,9 punti a partita, derivati da un poco lusinghiero 44,8% al tiro, aveva fatto ripartire la solita litania.
D’altronde 13 milioni di dollari all’anno ed una player option da 45 milioni complessivi, per qualcuno che ha come unica statistica ragguardevole quella della calorie giornaliere (5000!!), offrono una sponda sicura a scettici e denigratori. Gli dei del basket, però, si sa, sono magnanimi e pronti ad offrire un occasione di riscatto sia che ti chiami Lebron James sia che ti chiami Roy Hibbert. E magari a tutti e due nella stessa serie e sullo stesso parquet.
Coach Vogel, per primo, intuisce la possibilità che sia davvero arrivato il momento di quel ragazzone e gli concede 39, 5 minuti a gara, contro gli appena 28 della stagione regolare. Diciannove partite di post season, ad una media di 17 punti e 9,9 rimbalzi sono state la risposta di Roy.
La consacrazione finale avviene quando disputa una serie da assoluto padrone del pitturato, contro gli Heat. Una serie alla Ewing o alla Robinson, si potrebbe asserire sussurrando. Anche se le 1,2 stoppate a partita non rendono giustizia al suo enorme lavoro di intimidatore dell’area piccola, la sua presenza ed a tratti onnipotenza difensiva ha trascinato la serie sino a gara 7, facendo vedere i proverbiali sorci verdi a coach Spoelstra e tutto il suo staff.
Le cifre offensive, innanzitutto molto più appariscenti, 51% dal campo e 22.1 punti di media, testimoniano come il suo apporto nell’altra metà campo sia stato, forse come mai fino ad allora, solido ed affidabile. Insomma, se cercate uno dei migliori interpreti nel ruolo di centro, magari non proprio rassomigliante ad Hakeem the Dream e nemmeno ad Ewing e Robinson, dovete “citofonare” Indiana.
Nel caso, ricordatevi di non chiedergli di rilasciare interviste post partita. Il “no homo” di gara 6, riferito alla difesa messa in campo contro LBJ, suggerisce che mettergli in mano un microfono non è esattamente un’intuizione esaltante. Meglio vederlo all’opera con una palla a spicchi.
Topic Moment: l’ultimo possesso di gara 1 della Finali di Conference. Si, esatto proprio quando coach Vogel ha deciso di panchinaro e i Pacers hanno subito il canestro di Lebron sulla sirena. Voi obbietterete che questo momento abbia ben poco di epico. Semplice. Per la prima volta nella sua carriera, tutti hanno concordato sul fatto che Hibbert sarebbe dovuto essere sul parquet. La parabola di colui considerato uno dei tanti e divenuto indispensabile. Almeno per un possesso, per una partita, per una serie.
Kawhi Leonard
Primo indizio: chiamato da Indiana con la scelta numero 15, proveniente da San Diego State, e subito spedito a San Antonio nell’affare che ha portate George Hill ai Pacers.
Secondo indizio: Ragazzo tranquillo, pacato al quale si fa perfino fatica a strappare una parola. Un tipo che preferisce il Low-key (basso profilo), dicono parenti ed amici. Un tipo che ha già conosciuto la durezza della vita: poco prima che entrasse al College, suo padre è stato assassinato accidentalmente mentre era in compagnia del figlio in un car wash.
Terzo indizio: Alto 201 centimetri, in possesso di mani enormi e di un’apertura “alare” paragonabile a quella di Andrew Bynum. Una innata attitudine all’apprendimento ed una ferrea volontà nel lavorare in palestra.
Quarto ed ultimo indizio: coach Pop lo ha forgiato in questi due anni e lo ritiene pronto per assumere il ruolo di giocatore franchigia (il giorno dopo il ritiro di Big Fundamental, of course).
Se si volesse fare un identikit di Kawhi Leonard sarebbero queste le nozioni fondamentali che si dovrebbero enunciare. Tutte caratteristiche che lo rendono il prototipo di giocatore perfetto per l’universo Spurs. Con il bollo e la certificazione del più importante palcoscenico al quale un giocatore di basket professionista possa ambire. Le Finals.
“He’s like a little baby learning how to walk” aveva asserito Pop alla vigilia della sfida contro Miami. Dopo sette partite giocate su livelli di eccellenza assoluta, il giudizio è diventato: “I just talked to Kawhi and told him he was absolutely amazing”.
Un ventunenne che registra 14,5 punti, 11, 1 rimbalzi e 2 rubate a contesa, mentre dall’altra parte del parquet deve seguire le tracce di James o di Wade, non trova similitudini e precedenti nella storia della lega. Infatti, se l’ MVP delle Finals è stato relegato al 38,9% dal campo nei primi tre match della serie, gran parte del merito è da attribuire al numero 2 degli Spurs.
Tutte ragioni per le quali, da un lato il paragone illustre con Scottie Pippen non può che lusingare colui che è stato soprannominato “Lebron Stopper”, ma dall’altro non può lasciarlo appagato. La parabola di Kawhi è appena agli inizi. In fondo, il suo nome si pronuncia proprio come l’isola hawaiana Kauai. E San Antonio con gli isolani ha una tradizione di tutto rispetto…
Topic Moment: Gara 7 delle Finals: il momento più triste della stagione degli speroni, ma che ha certificato la nascita di una stella. 19 punti e 16 rimbalzi, l’ultimo ad arrendersi a Lebron ed al destino che ti ha palesemente voltato le spalle dopo la tripla di Allen in gara 6. Come l’araba Fenice. Dalle ceneri dell’ultima (probabile) esibizione dei big Three alle Finals, è comparso colui che traccerà la via del futuro.
P.S Mi piacerebbe dedicare questo articolo a Zach Sobiech. Un ragazzo la cui storia mi è stata rivelata mentre spulciavo il profilo twitter di Jeff Green, in cerca di spunti per questo articolo. A lui ed a tutti coloro non conoscono il verbo arrendersi.
Se sapessi scrivere qualcosa di intelligente, brillante, spiritoso e persino interessante su di me, in poche righe, pensate che sarei ancora qui? Come minimo sarei il GM dei New York Knicks.
Marc Gasol rivelazione?? come fa ad essere una rivelazione? Giocatore su cui fare affidamento e non da quest’anno….soprattutto non da questi PO, visto che era già stato nominato miglior difensore (come tra l’altro ricordi giustamente).
Leonard rivelazione per metà, non è da quest’anno che è un pezzo fondamentale per gli Spurs ma sicuramente ai PO è andato oltre quello che ci si poteva aspettare e gli si potesse chiedere.
l’unica vera rivelazione è il rendimento di Kawhi ai playoff, soprattutto il suo controllo dei nervi…Harrison Barnes ha fatto una intera stagione da starter, Gasol e Hibbert si erano già messi in luce lo scorso anno, Jeff Green ha solo ritrovato la condizione fisica (finalmente!) dopo un lungo infortunio, ed un contesto adatto per mostrare le potenzialità che si erano viste a Seattle/OKC
Jimmy butler dov’è?
Un altro su cui io non avrei scommesso un cent (ma non solo io) ai PO è Nate Robinson….mamma mia che partite che ha giocato, e non solo per i canestri mostruosi/improbabili che ha messo ma per l’energia e anche il cervello che ha messo in campo. Soprattutto l’ultimo davvero una cosa inaspettata da lui.
Roy Hibbert era già stato la chiave contro Miami l’anno scorso, non lo vedo come una gran rivelazione…
gasol non lo vedo come una sorpresa… forse più di lui danny green è stato protagonista inaspettato di questi playoff.
PS segnalo la canzone di zach sobiech. https://www.youtube.com/watch?v=3HtCXgo4fvU
La rivelazione piu che un Gasol(a cui Houston offri un max contract 2 anni fa e lo pareggiarono in 10 minuti) e` stato Asik, primo anno da titolare con quell’impatto?
Ho voluto seguire un semplice filo conduttore nello scrivere questo articolo. Quali sono quei giocatori, distintisi nei PO, che negli anni a venire saranno fondamentali per i risultati dei loro team. Perciò,non ho certo definito Gasol come una sorpresa, ho semplicemente sostenuto che questi ultimi PO l’abbiano consacrato definitivamente come uomo franchigia: PO 2012 15,1 punti di media, 6,7 rimbalzi PO 2013 17, 2 punti di media 8,5 rimbalzi ad oltre 40 di media. i numeri non sono tutto, però dicono che Marc, a questi livelli ed in questo contesto, non ci era ancora arrivato prima d’ora.
Sul caso Hibbert, credo che non ci sia nemmeno bisogno di sciorinare cifre, questi sono stati inequivocabilmente i PO che lo hanno “patentato” come giocatore vero. Barnes ha sì fatto lo starter in stagione, ma a 25,4 minuti di media. Inoltre, un rookie che ha quell’impatto nella sua sua prima post season, non può non essere meritevole di attenzione particolare. Krypto Nate invece,…bhè, lui era il primo della lista, ma ben presto ho capito che avrebbe meritato una articolo tutto per sè.
io avrei tolto gasol (Certezza) per Paul George. cmq bell’articolo.
manca il giocatore rivelazione in assoluto anche se già si intravedeva che era un campione: STEPH CURRY!!!!!!!
Qua la rivelazione è stata l’integrità delle caviglie. Caviglie di un giocatore che come talento è sicuramente fra i top 30 e per spettacolarità è unico nel suo genere.
l’articolo è bello ma anche per me Gasol era già una certezza, semmai ha confermato lo status, poco non è comunque.
Concordo anche per George e Curry, sono passati da ragazzi di belle speranze ad autentiche super star proprio lì dove contava di più, anche se è vero che la sorpresa in assoluto più shockante è stato il rendimento di Leonard, è risaputo che RC e Pop sono i migliori a scovare delle gemme nella parte meno nobile del draft ma questo a differenza dei 2 sopracitati è entrato in nba in sordina e oggi a 21 anni dopo 2 sole stagioni ha giocato delle finali eccezionali, aldilà delle più rosee aspettative di chiunque, front office nero argento incluso