San Antonio è nata nel cuore del Texas, sotto quel Fort Alamo reso leggendario dalla resistenza degli indipendentisti texani all’assedio dell’esercito messicano.
I valorosi uomini dell’Alamo rimasero assediati per nove giorni: i San Antonio Spurs si preparano a seguire le gesta dei pionieri, e dovranno reggere l’urto di tre assalti dei Miami Heat in cinque giorni per portarsi a casa il Larry O’Brien Trophy.
NBA Finals signore e signori, gara 3: può essere decisiva per entrambe, e nessuno può più permettersi passi falsi.
Duncan apre la contesa prendendosi il centro dell’area e segnando i primi due punti del match; Wade risponde con un layup rovesciato dalla linea di fondo, chiaro indice di come la strategia degli Heat preveda ancora una volta molti possessi iniziali per il numero 3 e per Bosh.
San Antonio scatta meglio dai blocchi, con ottime esecuzioni offensive che trovano come terminale un Leonard finalmente efficace al tiro, mentre Miami esegue bene per Bosh che però è impreciso e dopo un canestro iniziale fa 0-4 in pochi possessi; Duncan è molto aggressivo ma non viene aiutato dal ferro, prima di essere imbeccato da un ottimo assist di Parker che lo manda a schiacciare i punti dell’11-4 Spurs.
Miami esce con maggior convinzione dal time-out e si riporta a contatto grazie a Wade pimpante in avvio e al cecchino Mike Miller, che brucia la retina con una tripla al primo pallone toccato. Ginobili e Duncan lanciano flashback dal passato, col mancino argentino che va dentro per la schiacciata a due mani e il caraibico che gioca in post e segna appoggiandosi al vetro; in mezzo alle giocate dei due veterani c’è tempo per vedere il primo canestro di LeBron, che poi serve il taglio di Wade per la schiacciata seguita da un difficile canestro di Cole.
Neal esce bene dalla panchina come in gara 2 e spara la tripla dalla punta, ben servito da Ginobili; Andersen risponde andando a schiacciare un’altra assistenza di James, prima che Splitter chiuda il quarto rispondendo con la stessa moneta servito ancora dal “genio loco” di Bahia Blanca. Spurs avanti 24-20 dopo il primo quarto, un prologo che promette un’altra partita tutta da vedere.
Brutta notizia per i padroni di casa, che all’alba del secondo periodo richiamano in panchina Leonard dopo il secondo fallo personale; ci pensa Neal a restituire il sorriso ai bianconeri, con una tripla in semi-transizione che sfrutta alla grande il lavoro difensivo del quintetto piccolo degli Spurs. Green è magistrale su James in post ma tre punti in fila di Bosh, che stoppa anche Neal, e una tripla dall’angolo di Cole permettono agli Heat di riagganciarsi a quota 27-26.
San Antonio adesso fa fatica con la coppia Splitter-Bonner sotto le plance, e Popovich corre ai ripari reinserendo Duncan; il numero 21 si rende subito protagonista guadagnando un viaggio in lunetta (importante perché costa il terzo fallo personale a Chalmers, costretto ad accomodarsi sul pino per tutti i restanti minuti del primo tempo) e poi segnando dopo aver ricevuto un prodigioso passaggio schiacciato di Parker.
Wade torna a segnare dalla lunetta dopo il secondo fallo di Ginobili, ma la coppia Neal-Leonard scava il primo break sostanziale della partita, chiudendo un parziale di 13-4 e portando gli Spurs per la prima volta in doppia cifra di vantaggio (40-30).
La difesa dei padroni di casa ha fatto la sua scelta: spazio a James e Wade, sfidati apertamente al tiro per non permettere loro di sfruttare la superiorità nel pitturato. San Antonio tocca il +11 con un’altra tripla di un ottimo Neal, ma proprio quando gli Spurs sembrano riuscire a far loro l’inerzia del match gli Heat riemergono dal torpore: James, Bosh, ma soprattutto un diabolico Mike “Killer” Miller, che gioca solo di catch and shoot scrivendo sentenze ineluttabili dall’arco, riportano in un amen gli ospiti sotto di un punto (43-42, parziale di 10-0 per Miami).
Parker segna un libero, un reverse di Wade pareggia i conti con meno di un minuto da giocare. L’attacco degli Spurs fa molta fatica, ma gli uomini di coach Popovich trovano due invenzioni nel finale che cambiano la storia della partita: Parker segna una tripla quantomeno complicata dall’angolo, Green difende divinamente e si prende il lusso di stoppare James e sul contropiede ancora Neal si alza da tre e manda a bersaglio il canestro del 50-44 proprio sulla sirena dell’intervallo.
Tutto bene per coach Pop e i suoi: intensità, difesa, ottime esecuzioni offensive. Neal suona la carica con 14 punti e 4-6 da tre (7-15 di squadra dall’arco), Duncan è in doppia cifra a quota 10 e Leonard e Green si alternano magistralmente in difesa su James, tenuto a soli 4 punti (2-8) al tiro).
Con queste premesse, però, i sei punti di margine gridano vendetta e accendono un campanello d’allarme, perché i padroni di casa avrebbero dovuto essere almeno in doppia cifra di vantaggio. LeBron prova a dare il suo apporto con rimbalzi e assist (rispettivamente 6 e 4), mentre Wade e Bosh fanno registrare un buon primo tempo (12 punti, 5 assist e 3 rubate per “Flash”, 10 punti, 5 rimbalzi e 2 stoppate per il lungo mancino). Miami è ancora in gara grazie al tocco magico di Mike Miller, che con le sue tre triple tiene a galla gli Heat.
La Piovra, alias Kahwi Leonard, apre la seconda frazione di gara con una rubata che manda Splitter in contropiede per due tiri liberi; Haslem difende alla grande su Duncan, e dall’altro lato del campo Bosh va a segno col piazzato della casa.
Duncan risponde con la stessa moneta, prima che Danny Green assesti la prima, poderosa spallata alla partita: tripla a bersaglio quasi a sorpresa, chiudendo il palleggio e mandando per aria una parabola “durantesca” per la nonchalance dell’esecuzione, e due liberi a segno dopo un’azione pazzesca, con stoppata e salvataggio di Duncan e contro-salvataggio ad opera delle prolunghe di Leonard.
Coach Spoelstra corre ai ripari affidandosi alla mano bollente di Miller per aprire il campo, e il cecchino col numero 13 ripaga la fiducia mandando a segno due triple in fila (5-5 stasera, 8 consecutive nelle ultime due gare); Green e Neal non si fanno impietosire e Popovich cavalca selvaggiamente la vena dei due tiratori, col primo che segna ancora dall’arco mentre il secondo va a bersaglio col floater dopo una finta che manda al bar il diretto marcatore.
Nel possesso successivo i tentacoli di Leonard strappano un altro pallone agli avversari, e in contropiede Ginobili conclude con una schiacciata vintage che porta gli Spurs sul 66-52. Gli Heat non segnano più, James sembra il Rondo dei giorni peggiori per lo spazio chilometrico col quale viene sfidato al tiro e Leonard continua ad abusarne in difesa, concedendosi anche una tripla dalla punta sul ribaltamento di fronte.
Spoelstra si gioca il tutto per tutto rientrando dal time-out con un quintetto piccolissimo, che però viene travolto da un runner di Neal e da due punti in transizione firmati ancora da Leonard: 73-52 Spurs, sensazione che tutti o quasi i buoi (di stretta attualità vista la location della partita) siano ormai scappati dalla stalla.
Un sussulto d’orgoglio di LeBron, che segna 9 punti in fila rompendo un digiuno che durava da quasi un quarto intero, spaventa gli Spurs e accorcia sul -13, prima che Manu Ginobili vada a sparigliare il mazzo con una magia delle sue, servendo a centro area Splitter che schiaccia proprio allo scadere. 78-63 San Antonio e speranze di rimonta ospite ormai ridotte al lumicino.
Gli Spurs straripano all’alba del quarto periodo, con Green e Neal che sembrano due giovani in festa mentre prendono a picconate il muro di Berlino: l’ex Benetton segna due triple in fila, la prima dal Colorado e la seconda passando sul blocco e tirando dalla punta, Green appoggia il tap-in dopo il rimbalzo offensivo.
I padroni di casa non si fermano e anzi imperversano e infieriscono sui malcapitati e increduli avversari: Leonard si porta a casa il ferro in contropiede dopo la rubata di Joseph, Green trasforma la pioggia in grandine con tre triple pazzesche che siglano il record di squadra di ogni epoca in una partita di finale (saranno 16 totali alla sirena finale).
Gli Heat assistono attoniti e inermi con Spoelstra che decide di non risparmiare nulla ai suoi, tenendo in campo le tre star nel massacro per far capire loro l’effetto che fa. Finisce 113-77 per San Antonio, che vince col terzo maggior scarto di sempre nella storia delle Finals.
Ci sarebbe da non credere ai propri occhi leggendo il tabellino finale senza aver visto la partita: due uomini soli al comando per gli Spurs, con Green (27 punti) e Neal (24) che insieme combinano per un irreale 13-19 da tre punti. I bianconeri tirano ancora una volta meglio da fuori che da dentro l’arco (50% dalla lunga distanza, 49% totale) e completano il trionfo con la doppia-doppia di Duncan (12 punti e 14 rimbalzi) e soprattutto con la prestazione di Leonard, piovra diabolica a rimbalzo (12) e in difesa (4 rubate e James annullato) e capace di dare anche un ottimo apporto offensivo (14 punti con 6-10 al tiro).
Per gli Heat, invece, il box score è un bollettino di guerra: James (15 punti e 7-21 al tiro, con 11 rimbalzi e 5 assist) è irriconoscibile per tutta la gara e si fa notare solo per il parziale di 9 punti i fila in chiusura di terzo periodo, oltre per la sensazione di disagio mostrata su ambo i lati del campo e acuita dall’assillante difesa di Leonard, Wade naufraga ancora una volta nella ripresa (4 punti e 2-8 al tiro nella seconda frazione) così come Bosh (12 punti, zero nella ripresa, e 10 rimbalzi) sempre più corpo estraneo alla squadra.
Se Miami è rimasta in partita per due quarti e mezzo lo deve a un super Mike Miller, infallibile da tre (5-5) e autore di 15 punti dalla panchina; non pervenuto Chalmers, MVP in gara 2 ma inesistente quest’oggi.
San Antonio si prende di forza il terzo atto della serie, annichilendo gli avversari dall’alto di una prestazione maiuscola in ogni aspetto della partita. Se perfino Tim Duncan si profonde in esultanze da gol, dopo un canestro di Neal nel massacro del quarto periodo, significa che quella degli Spurs è stata davvero una partita coi fiocchi.
L’unica ombra per i padroni di casa è legata alle condizioni fisiche di Tony Parker, col play franco-belga che è stato costretto a tornare negli spogliatoi per curare un fastidio alla coscia destro; Parker è comunque rientrato in campo, per poi essere risparmiato per quasi tutto il quarto periodo.
Miami invece tocca uno dei punti più bassi dei tre anni dell’era Big3: certo, perdere di uno o di trentasei punti alla fine della fiera fa poca differenza, ma oltre allo scarto è stata imbarazzante la prestazione fornita dai singoli giocatori in campo. Colpisce soprattutto la scarsa sintonia fra le tre superstar, mai così lontane tra loro come in questa serie finale.
Anche gara 3 va agli archivi, lasciandosi alle spalle emozioni, giocate d’autore e tanti spunti di riflessione; doveva essere assalto a Fort Alamo, ma la prima mossa l’hanno fatta i ribelli texani del generale Popovich.
Miami ricarica le munizioni e fa la conta dei feriti: appuntamento a giovedi, per un quarto atto che ci darà qualche indizio in più su chi ha il piano migliore per la conquista dell’anello.
Studente in giurisprudenza, amo ogni genere di sport e il suo lato più romantico. Seguace di Federico Buffa, l’Avvocato per eccellenza, perché se non vi piacciono le finali NBA non voglio nemmeno conoscervi.
“Ricordati di osare sempre”.
L’infortunio a Parker è la scialuppa di salvataggio per gli Heat. Coach Pop è grande. Difesa magistrale.
Ispirato come sempre,ottima analisi,speriamo che l’infortunio a Parker nn condizioni la serie!!!