Il tempio è stato violato, il trono è in pericolo: è tempo di gara 2, ed è già il primo momento della verità di queste Finals per i Miami Heat campioni in carica.
Dwyane Wade carica i compagni prima del match, esortandoli a combattere contro le avversità come dalle parti di South Beach sono abituati a fare da “The Decision” a questa parte; gli Spurs invece, come Achille nell’Iliade, aspettano sulla collina pronti a scendere di nuovo in battaglia.
Si alza la palla a due e inizia la contesa, con una perturbazione di triple ospite che si abbatte con forza sulla difesa dei bianchi di casa: Danny Green ha la mano infuocata e imbuca tre tiri dall’arco consecutivi, mentre il piano di Miami in avvio sembra essere quello visto nelle ultime due uscite, con LeBron con la cinepresa in mano a cercare di coinvolgere Wade e Bosh nel ritmo della gara.
L’inizio è frizzante, proprio come quello del primo atto della serie, e un jumper in solitudine mandato a bersaglio da Duncan manda le squadre al primo time-out con gli ospiti avanti 11-6: Miami prova a difendere accettando qualsiasi cambio, ma fino ad ora è punita sugli scarichi da un chirurgico Green.
Il match vive di un sostanziale equilibrio con i fari delle due squadre, James da una parte e Parker dall’altra, che per ora si limitano a dirigere il traffico e a cercare qualche sporadica soluzione personale; due liberi a segno di Chalmers danno il primo vantaggio agli Heat sul 16-15, Bosh aggiunge due punti toccando a rimbalzo un errore di James dal post.
Il numero 6 degli Heat sta trovando pane per i suoi denti, limitato dalle braccia infinite di Kahwi Leonard che prima lo batte in attacco con un taglio centrale e poi lo imbriglia in post dall’altro lato del campo.
Neal fa volare una tripla presa con la confidenza e la spavalderia che lo contraddistinguono, James stavolta decide di fronteggiare il diretto marcatore e va a segno col jumper del 22 pari; è il canestro che di fatto chiude i primi dodici minuti di gioco, in una partita dai temi molto diversi rispetto a gara 1 ma nella quale entrambe le squadre si sfidano a viso aperto facendo match pari.
Nella mini intervista tra i due quarti coach Popovich si mostra contrariato per i troppi palloni persi dai suoi, e nei primi possessi il quintetto piccolo degli Heat prova a far sentire la sua energia agli ospiti: Miller riceve uno scarico di James ed è perfetto dall’arco, Cole si lancia a tutta velocità e chiude al ferro un contropiede centrale.
Andersen sprizza elettricità e vola ad appoggiare un tap-in, ma con pazienza gli Spurs si riorganizzano e tornano sotto in un amen grazie a un bel canestro di Splitter (che batte un competentissimo aiuto di Miller a centro area) e ad una tripla da dieci metri sparata senza ritegno dal solito Neal.
L’inerzia continua e non cambiare, con entrambe le squadre che rispondono puntuali ai tentativi di allungo avversari: Parker inizia a scaldare il motore e Miami appare un po’ in difficoltà, ma si tiene a galla grazie al superbo lavoro di Andersen su entrambi i lati del campo.
San Antonio propone addirittura una zona, tutt’altro che mascherata come in gara 1, battuta però da un jumper di James; Parker però si è acceso, e va a segno sfruttando a piacimento le sue letture della difesa di casa, bevendosi anche James e battendolo in palleggio, arresto e tiro.
Ray Allen si mette in partita con cinque punti in fila, e per gli Heat dopo un letargo di quasi un quarto si rivede anche Wade, che segna in due possessi consecutivi con due semi-ganci in fotocopia al centro dell’area.
Ginobili commette il terzo fallo personale, ma ci pensa ancora Green a riportare il sorriso a coach Popovich (che ovviamente non si profonde in espressioni di giubilo ma approva dal suo alto magistero) con l’ennesima tripla dall’angolo innescata da uno scarico misterioso di Tony Parker.
Miami però sembra averne di più in chiusura di primo tempo, e con una tripla di Chalmers e un taglio di Wade (servito dal laser di LeBron) va al riposo con un vantaggio di cinque lunghezze sul punteggio di 50-45.
Altra partita di rara intensità da entrambe le parti per una prima frazione ben giocata e che promette ulteriore spettacolo nella ripresa: gli Heat si fanno preferire per la gestione offensiva, con un ottimo 51,2% al tiro e 10 assist di squadra, guidati da Wade e Chalmers a quota 10 punti; San Antonio paga le troppe palle perse (già 8, il doppio di quelle registrate nell’intera gara 1) ma resta a contatto grazie alla grande vena dall’arco, soprattutto di un Danny Green da 12 punti e 4-4 da tre.
Per gli Spurs doppia cifra anche per Parker (10 punti) mentre Duncan relizza 6 punti e 6 rimbalzi ma conferma i problemi al tiro evidenziati nel primo atto della finale; James gioca un primo tempo assai silenzioso, chiuso con 4 punti e 4 assist, mentre sono da rimarcare i 7 punti di Andersen e i 6 punti e 5 rimbalzi (una rarità per le sue medie degli ultimi tempi) di Bosh.
Al rientro dagli spogliatoi si assiste a ben altro spettacolo rispetto ai primi 24 minuti di gioco: la posta in palio è altissima, specie per padroni di casa che non possono più permettersi passi falsi sul proprio terreno, e la tensione blocca la gambe ma soprattutto la testa dei giocatori in campo.
Il risultato sono tre minuti iniziali a dir poco convulsi, con attacchi e gestioni scriteriate per entrambe le squadre e una nota, di contorno ma non troppo, che salta prepotentemente all’occhio: parliamo di LeBron James, che inizia la ripresa come se gli alieni di Space Jam si fossero impossessati del suo talento.
Tra palle perse, facili conclusioni fallite e buchi difensivi, il numero 6 degli Heat sembra sparire dal campo, offrendo agli ospiti un’opportunità unica per mettere le mani sulla serie.
Gli Spurs martellano ancora dall’arco col solito Green e con Leonard che segna la sua prima tripla delle Finals su grande assistenza di Parker; ancora Kahwi va segno tagliando a canestro su buon passaggio di Splitter, ma dopo il secondo fallo di James gli Heat piazzano un mini break di 5-0 grazie ad un jumper di Haslem, un libero di Chalmers e un canestro difficile di Bosh che si butta all’indietro e trova la retina appoggiandosi al vetro.
Ginobili lascia andare via un confetto dalla sua mano sinistra, servendo Duncan per la schiacciata nel pitturato, mentre nei due possessi successivi Green stoppa un irriconoscibile James e poi lo scherza in uno contro uno, andando a segnare dalla linea di fondo il layup del sorpasso (62-61). È il momento cruciale del match, forse dell’intera stagione: LeBron chiede aiuto ai compagni, che come per magia alzano in maniera clamorosa il loro rendimento e aiutano il Re a rientrare in gara.
Chalmers converte un gioco da tre punti, James ruba palla e scatena la transizione armando Allen per il tiro da tre; il numero 6 in maglia bianca adesso lascia che la partita arrivi a lui, e va a bersaglio con un insolito pick&roll con Chalmers che non lo vede nei panni del portatore di palla bensì in quelli del bloccante.
Parker prova a rimettere in carreggiata i suoi con un floater dopo il rimbalzo in attacco catturato dalla piovra Leonard, ma l’ombra del Prescelto è tornata ad aleggiare prepotentemente sul match e minaccia di prenderselo di prepotenza: LeBron arma la mano di Miller, che non trema e brucia la retina da tre, prima di tornare ancora a bloccare per Chalmers che concretizza il floater e il gioco da tre punti.
Il terzo quarto si chiude così: gli Heat sono avanti di 10, una situazione impensabile fino a tre minuti prima, dopo aver superato uno dei momenti più critici dell’intera stagione. Il 14-3 degli ultimi tre giri di orologio porta in calce una firma con tre iniziali: LBJ è uscito dal tunnel e si è preso la partita, e ha tutta l’intenzione di volerla chiudere il più in fretta possibile.
La marea bianca monta ancora all’alba del quarto periodo: la diga degli Spurs cede, ed è un disastro come quello del Vajont. James è ovunque: segna dal palleggio, mette in ritmo Miller per un‘altra tripla, vola a segnare in transizione.
Gli Heat chiudono un parziale di 23-3 a cavallo tra gli ultimi tre minuti del terzo periodo e i primi tre del quarto: sei minuti di delirio, sei minuti di basket totale dell’unico giocatore al mondo in grado di cambiare in modo così clamoroso le sorti di una partita di pallacanestro.
Miami scappa sul punteggio di 84-65 e non si volta più indietro, con James che tanto per gradire mette i due punti esclamativi prima oscurando la vallata a Splitter con una stoppata clamorosa (servendo peraltro Allen per la tripla sul ribaltamento di fronte) e poi mangiandosi il ferro con una schiacciata in contropiede.
Mancano otto minuti al termine, ma è già un no-contest per gli Heat: gli ultimi minuti sono buoni per vedere quintetti da puro garbage time, con la prima apparizione della carriera in una finale NBA per un grandissimo che per vicende alterne ha raccolto quanto poteva, che risponde al nome di Tracy McGrady.
Finisce in gloria per gli Heat e in massacro per gli Spurs, con un 103-84 in favore dei padroni di casa che sa molto di messaggio al mondo intero. James chiude con 17 punti, 8 rimbalzi e 7 assist (oltre a 3 rubate e 3 stoppate) cancellando una prima mezz’ora da dimenticare con lo show a cavallo tra gli ultimi due quarti che porta i suoi alla vittoria; Miami pareggia la serie grazie a eroi inaspettati come Chalmers (19 punti con 6-12 al tiro e una prova straordinariamente disciplinata) e Andersen (9 punti e 4 rimbalzi ma uomo fondamentale per l’energia fornita in ogni zona del campo) e all’ottimo contributo di un Ray Allen da manuale (13 punti per lui).
Controversa la prova degli altri due “big”: Bosh dà un buon apporto con una doppia-doppia da 12 punti e 10 rimbalzi (con l’aggiunta di 4 assist e 3 rubate), mentre Wade continua ad arrancare e chiude a quota 10 punti (5-13 al tiro) e 6 rimbalzi. San Antonio paga una brutta serata al tiro, eccezion fatta per le conclusioni di oltre l’arco (10-20 da tre ma 22-58 da dentro l’arco), e le troppe palle perse (17).
Non bastano i 17 punti di un infallibile Green (6-6 dal campo e 5-5 da tre) né i 14 rimbalzi catturati da Leonard: solo Parker (13 punti ma 5-14 al tiro) e Neal (10 punti) si spingono oltre la doppia cifra, mentre Duncan si ferma a 9 punti (pessimo 3-13 al tiro) e 11 rimbalzi.; troppo pochi tre punti a testa del francese e del caraibico nella ripresa per giocarsela fino in fondo con questo LeBron.
Gli Heat si prendono il secondo atto di queste Finals proprio quando sembravano sul punto di capitolare: merito di James, che nel momento più complicato della stagione torna a ruggire mettendosi la squadra in spalla e facendo ogni giocata utile per portarla al successo; ma anche demerito degli Spurs, che con l’avversario alle corde non hanno saputo assestare il colpo del k.o. dando modo a LeBron di sovvertire le sorti del match.
Ma per coach Spoelstra non è tutto oro ciò che luccica, perché per gara 3 sarà importante valutare la gestione dei possessi per Wade e Bosh: non può essere un caso che lo strappo decisivo, con LeBron sul ponte di comando, sia arrivato con gli altri due top player seduti in panchina.
Appuntamento a martedi per il terzo capitolo di una sfida che promette di passare agli annali del basket NBA: si va sotto l’Alamo, in un Texas che è terra di resistenza e di battaglie senza quartiere.
Prepariamoci, perché stanotte il Re col numero 6 ha lanciato il suo messaggio: lo scettro è ancora in pugno, la corona è tornata a splendere. Ci aspettano ancora tante emozioni, perché la soluzione del giallo è ben di là da venire.
Studente in giurisprudenza, amo ogni genere di sport e il suo lato più romantico. Seguace di Federico Buffa, l’Avvocato per eccellenza, perché se non vi piacciono le finali NBA non voglio nemmeno conoscervi.
“Ricordati di osare sempre”.
One thought on “Sei minuti di delirio LeBron, Miami pareggia i conti”