Non hanno mai provato nemmeno a fare finta di infastidire i campioni in carica. Miami vince anche gara 4 e opera lo sweep contro dei mollissimi Milwaukee Bucks.
Qualche piccolo segnale come al solito nel primo tempo, con un buon Mike Dunleavy (17 pts, 3-6 da tre) e un Monta Ellis che tuttavia non cancella con una discreta gara 4 la delusione di una serie che poteva essere almeno leggermente più lunga.
21 punti, 5 reb, 8 assist, qualche bel colpo che però dice veramente pochissimo. Altra storia invece per Brandon Jennings, una gara 1 decente poi tre partite da fantasma.
Miami troppo forte ok, questo lo sapevamo tutti, ma Milwaukee è stata una grande delusione. Poco ritmo, poche soluzioni offensive e tutte imperniate sul tiro da fuori o sulla penetrazione in area, energia difensiva a dir poco rivedibile.
Ieri gli Heat hanno giocato senza Dwyane Wade, tenuto in maniera precauzionale al riposo per dei fastidi al ginocchio, ma già pronto per il secondo turno, Chicago Bulls o Brooklyn Nets che siano.
LeBron ha avuto sprazzi di quel gioco totale da one man show che aveva a Cleveland, quando non doveva dividere i possessi offensivi con nessuno.
Un’immagine che sinceramente è anche un po’ nostalgica, meno che a lui ovviamente. Finisce questa serie facilissima con 30 punti, 8 rimbalzi e 7 assist, in pura scioltezza.
Da segnalare ancora, per la quarta partita consecutiva un Ray Allen tirato a lucido, 16 punti con 4-7 da dietro l’arco, un valore aggiunto in questi playoff per dei campioni così ancora più forti.
Altro valore aggiunto in questa serie è stato Chris Andersen, ieri limitato a soli 2 punti in 17 minuti ma una voce in capitolo sempre più acuta.
Buona prova di Hudonis Haslem, veterano in maglia Heat che ormai potrebbe chiedere il brevetto per quel piazzato sullo scarico in parallelo alla linea di fondo. Automatico e sicuro. 13 punti e 5 rimbalzi per rimarcare il suo ruolo non solo storico in questa franchigia.
Tutto fa prevedere che questi Miami Heat vadano fino in fondo, dipende non troppo da chi incontreranno sulla strada in questi playoff.
Gli infortuni degli altri facilitano la questione. Kobe non vale, i suoi Lakers erano comunque troppo deboli come gruppo, ma D Rose fuori alla lunga può contare molto se i Bulls passassero il turno, vinto comunque anche senza di lui.
Un conto è però l’intensità dei Nets, un altro quella di Miami. Poi c’è Russell Westbrook in chiave Finals, un bel viatico per il back to back.
Non guardiamo troppo oltre però, sarebbe un esercizio futile e ingenuo. Valutare questi Heat per adesso è facile e intuitivo.
Sono freschi, difendono, giocano di squadra, Ray Allen e Chris Andersen dalla panchina danno quello che la maggior parte degli avversari si sognano, triple e saggezza l’uno, intensità e rimbalzi l’altro.
Se il tutto è cucito addosso al più forte giocatore contemporaneo, in odore (sicurissimo) di altro titolo di MVP capiamo quindi che serve davvero tanto per fermarli. E qui il discorso infortuni ritorna.
Ieri non ci sono stati problemi, a suggello di una delle serie più scontate degli ultimi tempi. Non è stato proprio il massimo assistere ad uno squilibrio del genere.
David Stern, ieri in tribuna proprio al Bradley Center, potrebbe anche pensare di cambiare qualcosa, pure se in scadenza della sua missione di capo della NBA.
Vedere ai playoff una squadra sotto il 50% di vittorie (38-44 in stagione regolare), ovviamente contro la più forte, non è stato proprio un grande spettacolo.
Tant’è, altro tema da rimandare. Per adesso lasciamo Miami a riposare, in attesa di un colpo di coda dei Brooklyn Nets, che si meriterebbero dei playoff profondi nella loro prima stagione nel borough di New York o del proseguo della saga D Rose “gioco-non gioco”.
A LeBron non fa paura niente.
“E qualcosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure…”