Di solito in serie come questa gara 3 è per la squadra sfavorita la partita dell’orgoglio. Una vittoria per l’illusione di riaprire i giochi, sfruttando con la prima in casa l’ondata emotiva dei propri tifosi.
No, non è questo il caso. Miami batte facilmente Milwaukee e si porta sul 3-0, pratica chiusa se non addirittura mai aperta.
Gara 4 sarà una formalità o al massimo il gol della bandiera, comunque lo scontato esito finale può far anche riflettere di rimodulare i termini dei playoff NBA.
Non che sia giusta una post-season modello torneo NCAA, a eliminazione diretta, non che ovviamente non sia ulteriormente sacrosanto premiare la migliore in stagione regolare con la squadra peggiore al primo turno.
Però magari qualcosa si può fare e siccome è un discorso adesso fuori contesto non lascio intendere nessuna soluzione, pongo solo il problema.
Gli Heat hanno camminato nel secondo tempo, LeBron James (22 pts, 5 reb, 6 ast) praticamente non è nemmeno sceso in campo come ancora più evidentemente Wade, fermo è vero a 4 punti ma comunque con 9 rimbalzi, 11 assist e 5 recuperi.
Gara 3 verrà ricordata come la partita in cui Ray Allen ha battuto il record di canestri da 3 nella storia dei playoff, superando il grande Reggie Miller, oggi commentatore TV e deriso bonariamente per questo dal decano Marv Albert.
322 in carriera e il tassametro corre, eccome. Non si vedeva un Ray Allen così in forma da tempo, forse dai primi momenti in maglia Celtics.
Fischiato da metà palazzo, lascito ormai lontano della sua permanenza in maglia Bucks dal 1996 al 2003, spara 5-8 da tre per 22 punti, tutti quelli che oggi i Celtics rimpiangono, impantanati contro i Knicks.
Segue a ruota Chris Andersen, terza partita di seguito di grande intensità, 11 punti e 6 rimbalzi in 14 minuti in cui continua letteralmente a volare sulle teste dei malcapitati lunghi avversari.
Sono loro, in attesa del gioco duro e dei duri che cominciano a giocare, leggasi LeBron e Dwayne, i volti di un primo turno troppo facile.
I Bucks cominciamo bene, restano in partita fino all’intervallo, poi a Miami basta mettere anche solamente la terza se non la seconda marcia e scappa via irraggiungibile.
Deludenti sia Monta Ellis (7 pts, 2-9 al tiro) che Brandon Jennings, 16 pts e 8 ast con qualche acuto isolato ma senza continuità, senza la cattiveria necessaria per fare fede alla sua improvvida profezia, adesso definitivamente andata in fondo al mare.
Si era addirittura visto uno sprazzo del JJ Redick migliore, 3-6 dalla panchina, ma evidentemente non rientra nei piani di Jim Boylan, che lo tiene fuori nei momenti decisivi.
Miami cammina sul velluto, non trovando nessuna seria opposizione. LeBron ha gli occhi fissi sull’obiettivo, con lo zoom al mese di giugno, per adesso si risparmia su tutto, anche in campo aperto, dove non concede niente allo spettacolo e si accontenta di una semplicissima slam dunk da riscaldamento pre-partita.
Fischi per lui, fischi per Ray Allen, astensione solo su Wade che è idolo locale, avendo portato Marquette alle Final Four. Ma nemmeno il pubblico, nemmeno Aaron Rodgers in tribuna, che in linea di massima sa come vincere, possono qualcosa per invertire il destino di una serie giù segnata in partenza.
Scommettiamo che gli Heat tengano moltissimo adesso a finire con uno sweep, per evitare un inutile ritorno a Miami e quindi concedersi un po’ di riposo dei vista dei veri impegni di questa primavera appena iniziata.
LeBron si è arrabbiato molto per non aver ricevuto (anche) il titolo di miglior difensore dell’anno, andato invece a Marc Gasol dei Memphis Grizzlies.
“It sucks”, dice lui schifato. Del resto lo aveva vinto anche Michael Jordan, nel 1988, e siccome il termine di paragone è sempre e solo lui lo sfogo sgorga naturale.
Niente male. Sta arrivando il quarto trofeo di MVP in cinque anni. Sciocchezze. Sta arrivando il secondo anello consecutivo ? Conta questo più di tutto il resto.
“E qualcosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure…”