Le parole di James Harden a fine gara 1 “Credeteci o no questa sconfitta non può che farci bene” incarnano perfettamente lo spirito dei Rockets capaci di dimenticarsi in fretta i trenta punti di scarto subiti. I Thunder come da copione propongono il solito gioco fatto d’intensità e prepotenza atletica ma faticano molto più del previsto e chiudono gara 2 solo nei minuti finali.
I primi cambiamenti li propone coach McHale abbandona l’idea dei due lunghi da opporre al duo Ibaka-Perkins e prova un quintetto “piccolo” con Beverly in sostituzione di Smith. L’inserimento del playmaker di riserva fin da inizio gara ha il duplice scopo di allontanare Lin dalla marcatura di Westbrook e di aggiungere un trattatore della palla in più per l’attacco.
McHale decide poi di mandare Parsons sulle tracce di Durant e Harden su Ibaka, in un duello nettamente a favore del Congolese a rimbalzo ma con la speranza di allargare maggiormente il fronte offensivo e liberare spazio in area per i “penetra e scarica” di stampo Rockets.
Brooks non accetta la sfida e opta in difesa per una soluzione più classica: Sepholosha su Harden e Ibaka su Parsons, accoppiamento che però favorisce il lungo atipico di Houston che segna a ripetizione sia da fuori che in entrata.
Harden non forza come in gara 1 e l’attacco di Houston è molto più fluido. I Thunder non cambiano copione rispetto al primo episodio della serie, quelli che hanno cambiato faccia sono i Rockets.
Lin fatica ancora a trovare buone soluzioni ma per questo rinuncia ad attaccare il canestro, facilitato anche dalle scelta di Oklahoma di pre-rotare su Harden tutte le volte che il “Barba” entra in possesso di palla.
Il secondo quarto è caratterizzato dal duello tra Westbrook e Beverly, autore di una doppia doppia d’intensità e coraggio, che durerà per tutto il resto della partita. Il playmaker di Houston ha il merito di mettere pressione a Westbrook in ogni possesso facendo emergere il lato peggiore del carattere del numero “Zero” che s’intestardisce in azioni personali spesso fuori controllo.
Beverly non arretra di un passo nemmeno a fine partita e a riguardo del duello con Westbrook afferma “…è parte del gioco, parte dei play-off. Chi mi conosce conosce il mio carattere e che non indietreggio con nessuno, Russell Westbrook o chiunque altro.”
Houston ha il merito di restare a contatto fino a metà del terzo quarto quando, anche a causa dell’infortunio di Lin che resterà negli spogliatoi e non rientrerà più, le seconde linee dei Rockets non sembrano in grado di reggere con i pari ruolo avversari.
Oklahoma supera la doppia cifra di vantaggio e ha tutta l’inerzia a favore ma Houston con le triple di Delfino, Parsons e un monumentale Asik a rimbalzo rientra fino a condurre di quattro lunghezze. Houston decide di schierarsi a zona in difesa con il fine di togliere la palla dalle mani di Westbrook e Durant. La mossa riesce e gli altri Thunder non si fanno trovare pronti.
Durant però con una tripla da fuoriclasse accorcia le distanze. In difesa Oklahoma ritorna quella dei tempi migliore e Sepholosha, fino a quel momento deficitario in attacco, e Ibaka mettono i due canestri dell’allungo.
Houston si affida ad Harden, autore di un trentello ma ancora deficitario al tiro, ma non riesce ad avere la possibilità di portare la partita almeno ai supplementari.
In questa gara 2 i Thunder hanno mostrato il loro meglio e il loro peggio, facendoci vedere svariati motivi per cui possono ambire a vincere il titolo ma altrettanti per cui non sono ancora maturi per farlo.
Coach McHale è soddisfatto per l’approccio, meno per la gestione del finale: “La nostra è una squadra giovane ma siamo lontanissimi dall’essere una squadra perfetta”.
Houston ha vinto nettamente a rimbalzo nonostante un roster evidentemente inferiore per altezza media. Gara 3 ci dirà se quella di Houston è stata solo una reazione d’orgoglio o se sono realmente in grado tenere testa ai Thunder sabato sera in Texas.