Il mondo della pallacanestro a stelle e strisce e gran parte delle persone che ci lavorano si nutre soprattutto di statistiche, quello che gli addetti ai lavori chiamano “analytics”: uno scrupoloso e minuzioso lavoro di studio, comparazione e “traduzione” delle montagne di numeri legati a tutto quello che succede in campo.
In modo un po’ differente da quanto non accada nel basket europeo e nostrano, le statistiche hanno un peso specifico notevole nella valutazione di un giocatore: per come l’ho sempre vista io, romanticamente, servono a delineare qualche differenza tra giocatori talmente forti che “a occhio nudo” sembrerebbero equivalersi per classe, talento, determinazione, spettacolo
La corsa per il tanto ambito titolo di Most Valuable Player della Lega non può quindi prescindere dai numeri, individuali e di squadra, dei migliori giocatori della NBA.
Vabbè, direte voi, facile allora: LeBron James e i Miami Heat sono stati impressionanti, impossibile che The Chosen One non vinca il quarto di fila.
E’ una risposta banale, ma allo stesso tempo quella migliore, probabilmente.
Eppure c’è il rischio, in questo modo, di tralasciare un necessario discorso più ampio che prenda in considerazione più giocatori e più squadre, andando anche a chiedersi cosa significhi davvero e quanto conti essere eletto “migliore tra i migliori”.
Permettetemi di partire parlando brevemente di un paio di giocatori che non verranno considerati nella corsa all’MVP (e con tutta probabilità nemmeno nei primi due quintetti dell’anno), ma che mi hanno divertito come pochi altri in questi mesi, dote preziosa considerando che una stagione da 82 partite di RS rischia di non offrire sempre spettacoli all’altezza della fama che merita l’NBA.
Uno su tutti, Steph Curry: finalmente una stagione in cui gli infortuni lo hanno (abbastanza) risparmiato! Lui ha risposto con una serie di prestazioni balistiche da storia dello sport, comprese serate da 50 punti, o partite con 8, 9, 10 triple a bersaglio una dietro l’altra, da centrocampo, dopo un crossover dei suoi, in ritmo, fuori ritmo, in transizione: una furia che ha contribuito in maniera essenziale (aggiungendo ai suoi 22 punti di media, 7 assist e un paio di rubate) alla crescita dei Golden State Warriors, prossimamente su questi canali per i Playoff NBA. Considerando l’entusiasmo, il potenziale offensivo e il pubblico caldissimo, auguri a chiunque li incontrerà al primo turno (Denver, altra squadra che tra le mura amiche non scherza: sarà una serie a ritmi forsennati!).
L’altro, e qui forse ci sarebbe qualcosa in più da obiettare, è John Wall, fermo ai box per buona parte della stagione (quanto bastava ai Wizards per inabissarsi agli ultimissimi posti) ma assolutamente immarcabile in questo finale, in cui ha trascinato i suoi derelitti compagni a un record di 24W-23L in 47 partite giocate che, a naso, sanno di miracolo anche sulla costa Est. 18.4 punti (in un crescendo vertiginoso), 7 assist, qualche insospettabile tiro da fuori, solite (sporadiche ma stupende) stoppate ad altezze vertiginose. Tanta roba.
La sto prendendo un po’ larga, è vero, ma d’altra parte sono tantissimi i giocatori che meriterebbero di essere citati nella corsa alla più alta onorificenza che non abbia a che fare con le Finals: da Kobe Bryant (#getwellsoonVino), nonostante gli alti e soprattutto i bassi dei lacustri, passando per Chris Paul (leader della quarta forza a Ovest), i commoventi Parker&Duncan, Westbrook, e innumerevoli altri.
Giocatori fenomenali, in grado di vincere da soli o quasi una partita, e pedine fondamentali di squadre vincenti (Kobe è un caso limite, me ne rendo conto). Eppure tutti, TUTTI e ripeto ancora una volta tutti, da mettere un gradino sotto ai tre veri dominatori di questa stagione. E credo che sappiate di chi sto per parlare.
Carmelo Anthony, Kevin Durant e LeBron James.
Fa riflettere il fatto che la NBA di oggi sia dominata da 3 giocatori molto simili (almeno dal punto di vista fisico e del ruolo): sono tutti ali piccole che si adattano a giocare anche da 4, con il ball handling di un play, il tiro di una shooting guard, i movimenti in post di un centro… Insomma, giocatori molto completi e che bene o male potrebbero giocare in tutte e 5 le posizioni. E, soprattutto, giocatori che quest’anno hanno brillato forse come non mai.
Carmelo Anthony – NY Knicks (28.7 PPG, 6.9 RPG, 2.6 APG, 44.9 FG%, 24.83 PER)
Partiamo dal meno scontato: Carmelo Anthony per anni è stato considerato uno bravo a mettere la palla nel cesto ma su cui una squadra ambiziosa avrebbe difficilmente puntato. Un po’ troppo egoista, altalenante al tiro, troppo spesso rinunciatario a prescindere in difesa: a New York, il palcoscenico e la città ideale per uno come lui, ha ritrovato sé stesso.
Perché dovrebbe vincere
Non ho dubbi su chi sia il miglior realizzatore della Lega, e non sto parlando per forza della media punti: Melo ha fatto un salto di qualità mentale notevolissimo, dal mio punto di vista non inferiore a quello che ha portato in pochi mesi LeBron dalle stalle alle stelle nella primavera 2012.
Quando trova il ritmo con palleggio-arresto-tiro è la fine del mondo, e la sua abilità nel concludere in traffico e prendendo il contatto è forse addirittura sottovalutata.
Insomma, un attaccante universale che ha trascinato i suoi Knicks al secondo posto a Est. Vero che la concorrenza irresistibile non era, ma insomma…
Le lacune difensive rimangono, certo, ma decisamente meno evidenti anche grazie alla forza di un team che nella propria metà campo, quando vuole, fa paura veramente; e in generale gioca con una voglia e uno spirito agonistico per larghi tratti della stagione senza pari.
Perché non vincerà
Difficile che lo vinca lui, forse impossibile, ma più che per demeriti propri, mi sento di dire, per merito degli avversari. E a fare la differenza con gli altri due è la scarsa propensione a mettere in ritmo i compagni. Lui è un finalizzatore coi fiocchi, KD e LBJ sono decisamente più duttili da questo punto di vista. E hanno vinto di più, con le rispettive squadre.
Kevin Durant – OKC Thunder (28.1 ppg, 7.9 rpg, 4.6 apg, 51.0 FG%, 41.6 3FG%, 28.30 PER)
Sembra impossibile, lo so, prenderò gli insulti di tutti ma la sparo grossa comunque: mi aspettavo di più.
Oddio, non che abbia fatto proprio disastri, ma pensavo che avrebbe reagito rabbiosamente dopo le Finals 2012 perse in quel modo e dopo la partenza di James Harden che potenzialmente gli avrebbe addirittura aumentato le già tante responsabilità offensive.
Perché dovrebbe vincere
I Thunder hanno di nuovo il seed 1 a Ovest, nonostante la rinuncia a un giocatore fondamentale come Harden e a una concorrenza davvero notevole. Eppure la sensazione è che il meglio debba ancora arrivare: questo ragazzo ha una mentalità vincente e una maturità senza pari, e non mi sorprenderei se avesse un po’ “tirato i remi in barca” aspettando le partite che contano davvero da fine aprile in poi.
Poi sfiorare il quarto titolo di miglior marcatore consecutivo viaggiando sopra quota ventotto resta notevole, per carità, ma ripeto: credo (e spero) che lo vedremo in modalità DOMINATORE nella post-season. Magari di nuovo alle Finals. Magari di nuovo contro il signor James.
Perché non vincerà
Per ora, l’MVP non sembra un premio che lo attiri particolarmente, ma sono pronto a scommettere che arriverà anche il suo turno, in un futuro prossimo.
LeBron James – Miami Heat (26.8 PPG, 8.0 RPG, 7.3 APG, 56.5 FG%, 31.68 PER)
Sinceramente, credo che non si possa fare altro che alzarsi in piedi ed applaudire. Ci sarebbero mille motivi per odiarlo, insultarlo, mettere in discussione il coraggio delle sue scelte passate: però, oh, non ce n’è, questo è troppo forte.
Fisicamente (non una novità) ma anche tecnicamente.
L’avvocato Buffa, se non sbaglio, lo descrisse un giorno come uno “fisicamente in anticipo di 10 anni su tutti gli altri”. Credo che abbia (ancora una volta) ragione da vendere.
Dal punto di vista squisitamente tecnico, ineccepibile. Tira con il 56% dal campo e distribuisce assist ai suoi tiratori che più che passaggi sono sonetti (anche questa temo sia una citazione dell’Avvocato, non credevo di essere così Buffa-dipendente).
Perché dovrebbe vincere
Davvero, mi mancano le parole, a volte. Miami ne ha vinte 27 in fila, James ha infilato triple doppie a nastro ovunque, messo i tiri importanti, fatto rimontare i suoi da situazioni complicate, permesso a Wade di sistemarsi fisicamente senza che i risultati degli Heat ne risentissero in alcun modo.
Il tutto con una serenità in faccia che gli mancava dall’anno da rookie, o giù di lì.
Temo che stia già facendo montare una mensola nuova in salotto per aggiungere, oltre alla statuetta della stagione regolare (robetta, sarebbe il quarto consecutivo…), anche quella per l’MVP delle Finals.
Perché non vincerà
Aiutatemi a trovare qualcosa, perché io sinceramente faccio fatica…
Twitter: @m_oberosler
Per quanto possano essere migliorati KD e Melo non c’è storia, se quello con il 6 (per dirla alla buffa) tira col 56,5 c’è poco da fare