Da quando Spoelstra ha spostato Bosh stabilmente nel ruolo di centro, Miami ha letteralmente spiccato il volo...

Da quando Spoelstra ha spostato Bosh stabilmente nel ruolo di centro, Miami ha letteralmente spiccato il volo…

Premessa: Chris Bosh non è un centro. Almeno nella concezione canonica del termine che ha caratterizzato per decenni i giocatori d’area, intimidatori in difesa e padroni del post-basso, raggio di tiro non oltre i tre metri e percentuali altissime.

Nell’era delle “point-forward” da 120 kg alla LeBron e delle guardie di 210 cm alla Durant, però, la duttilità è la caratteristica che può fare la differenza tra un giocatore di talento e un campione.

Lo sviluppo del sistema di gioco definito “small-ball” è cresciuto esponenzialmente con l’evoluzione antropometrica dei giocatori di pallacanestro. Le doti di palleggio e di tiro da distanze sempre maggiori non sono più prerogativa dei giocatori più piccoli.

Se fino a pochi anni fa era inconcepibile che un “lungo” o meglio un giocatore d’area potesse tirare da oltre l’arco dei tre punti, oggi è una delle soluzioni tattiche più utilizzate.

Allargare il campo posizionando i giocatori in attacco ben fuori dall’area ha il vantaggio di liberare corsie di penetrazione sia per chi ha la palla e gioca in uno contro uno, sia per chi può tagliare a canestro.

Il sistema funziona però solo se si ha il personale adatto. I Thunder per esempio con il quintetto base non lo possono applicare perché la presenza di Perkins e Ibaka protegge sì il canestro in difesa ma allo stesso tempo ingolfa la zona centrale dell’attacco.

I primi segnali di cambiamento erano arrivati nei play-off del 2011. Bosh in marcatura su Garnett. In un evoluzione parallela a quella di Duncan e Rasheed Wallace, le tre migliori ali grandi della loro generazione, Garnett sia per motivi anagrafici che di roster, vedi partenza di Perkins e nessun sostituto valido, è stato schierato nelle ultime stagioni da centro.

Miami in quel caso ha passato il turno, Bosh non ha sfigurato in difesa su Garnett ma la stagione non si è chiusa come sperato. Dall’altra parte la Dallas di Nowitzki, il prototipo del lungo atipico, ha colpito gli Heat mettendone a nudo i punti deboli.

La rivincita è arrivata un anno dopo, non direttamente con Dallas, ma la chiave di svolta è stato l’infortunio di Bosh durante la serie con Indiana. Miami ha rischiato seriamente l’eliminazione ma scampato il pericolo e recuperato l’ex Raptors coach Spoelstra ha optato per uno schieramento con Bosh come unico lungo.

Le sue condizioni fisiche non erano ottimali ma la presenza di Perkins tra i  Thunder non avrebbe impegnato difensivamente Bosh se non a rimbalzo dove almeno per altezza non avrebbe sofferto.

Per provare a scardinare la difesa dei Thunder, zeppa di atleti con braccia lunghe e capaci di recuperi velocissimi, Spoelstra ha pensato ad uno schieramento con un solo lungo e quattro esterni in grado di far muovere dall’area i lunghi avversari.

La Miami della stagione 2012/13 campione in carica è nata durante quella serie di finale ma chi più di tutti ha cambiato il modo di giocare è stato proprio Chris Bosh.

Se a Toronto gli isolamenti in post-basso erano la sua soluzione preferita, oggi seguendo la filosofia della “small-ball” anche Bosh ha adattato il suo gioco utilizzando sempre meno il gioco spalle a canestro e sempre più il tiro dalla medio-lunga distanza.

Dei “Tre Amigos” di Miami Bosh è sicuramente quello meno ingombrante, forse il più fragile e quello con meno personalità ma si è calato perfettamente nella parte di terza opzione offensiva e dimostrando un’attitudine difensiva celata fino a poco tempo fa. In difesa ha un ruolo tanto importante quanto oscuro e aiutato da specialisti come Haslem e   Battier tiene botta anche contro avversari più grossi.

Miami è una squadra bidimensionale che ha in James e Wade due formidabili attaccanti e una serie di tiratori perimetrali ormai specializzati a riceverne gli scarichi. In questo contesto Bosh è forse l’unico giocatore che può dare una dimensione e soluzioni interne che non siano penetrazioni e lay-up ed è sicuramente un lusso avere un attaccante di tale potenziale quando in panchina si siedono James e Wade.

Se in fase difensiva può soffrire la minor stazza rispetto a pariruolo generalmente più grossi, in attacco sfrutta al meglio le sue doti di tiratore dalla media specialmente quando incontra avversari poco contenti di allontanarsi dal pitturato.

Col tempo ha anche sviluppato un tiro da tre punti affidabile di cui però non abusa ma che sfrutta per sorprendere gli avversari in occasioni estemporanea come possono essere i tiri a fil di sirena.

La pallacanestro si è evoluta ed è cambiata negli ultimi anni come  mai in passato, ormai è sempre più difficile attaccare etichette o relegare un giocatore ad un ruolo. Chris Bosh è l’esempio calzante di come adattarsi ai cambiamenti rapidamente da sempre dei vantaggi rispetto a chi si ferma a pensare alla pallacanestro come ad gioco immutabile.

6 thoughts on “La metamorfosi di Chris Bosh

  1. Un paio di cose: Miami non gioca la small ball, perchè tra Wade, James, Battier il più basso è Wade (195 cm) e il più leggero è Battier oltre i 100 kg.

    Miami gioca “position-less”, ovvero allargano il campo ma ogni giocatore può rivestire più ruoli. Talvolta proprio Bosh funge da bloccante nei p&R o si mette in angolo (zona “non consentita” a nessun 4/5 della lega) per un piazzato.

    Per il resto concordo con tutto!

    • ehm guarda che “small ball” non si riferisce all’altezza/peso dei giocatori eh…..

      • quindi? il concetto non cambia, small ball sono quintetti piccoli, di esterni e con la presenza al massimo di un lungo convenziale.

        Quella di Miami è un evoluzione perchè del quintetto e dei primi 8 giocatori di rotazione non c’è un giocatore convenzionale, non c’è un play vero, non c’è un centro vero, ci sono 4 giocatori che possono giocare almeno 3 ruoli.

        Le priorità della small-ball sono:
        – Correre. Miami lo faceva anche quando giocava con due lunghi.
        – Avere pochi kg in difesa. Miami è una delle squadre più fisiche della NBA, forse la più fisica.
        – Aprire il campo con il pick & roll tra portatore di palla e lungo. Miami apre il campo con il post basso di James e le iso su un lato di Wade.

        Ripeto, quando si parla di Heat non ci si può riferire a small-ball, ma a “position-less”, che è più indicata a riassumere in una parola come giocano gli Heat.

  2. Che poi, questione “semantica” a parte, il fatto è tutto qui: Miami gioca con 4 esterni e un lungo atipico (possiamo chiamarlo “small ball” o in altri modi, è lo stesso), ma se uno dei 4 esterni pesa 125 chili, marca le ali forti e fa a spintoni coi centri avversari, allora non vale!
    Nelle ultime Finals, Oklahoma ci ha anche provato ad adeguarsi al gioco a 4 esterni, ma a quel punto i rimbalzi chi li prendeva? E’ un quesito senza risposte, per ora…

    • Almeno sulla carta oklahoma poteva giocarsela con ibaka da 5, durant da 4 e così via, sacrificando del tutto (o quasi) l’onnisorridente perkins…
      vedremo se in futuro una qualsiasi squadra riuscirà a trovare la criptonite per questi heat (ad oggi non c’è nessuno in grado di poter vincere una serie intera di playoff)…

  3. Credo che l’aspetto più anomalo ed irreplicabile a rendere gli Heat unici sia il connubio fra assenza di un centro canonico e la veocità di gioco piuttosto pacata (non facciamoci ingannare dagli highlight, sono 22esimi per possessi giocati), il che significa che riescono ad affondare gli avversari (primi ex equo per Offensive Rating) giocando serenamente a metà campo contro la difesa schierata… come mai? Troppo efficaci per le difese altrui; sono infatti primi per: punti per possesso su isolamento, punti per possesso su piazzato, punti per possesso del “rollante”, punti per possesso su taglio, punti per possesso in transizione e, molto significativo, anche primi per punti per possesso su post up (per cui non saprebbero quasi che farsene tatticamente di un centro “old school” in attacco…).
    Come evidenzia Ciombe, la versatilità (e l’eccelsa qualità di suddetta versatilità) rende fuorviante parlare di ruoli (e fa tutta la differenza in campo…).

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