C’era una volta una squadra che batteva i Lakers 4 a 0, annichiliva i giovani Thunder di Durant e Westbrook 4 a 1 e poi andava a trionfare contro ogni pronostico in finale contro i Miami Heat di James, Wade e Bosh.
Fast forward, avanti di due anni: ed eccoci qua, dove a un pugno di partite dalla fine della regular season quella squadra ha quasi definitivamente abbandonato ogni residua ambizione di qualificarsi ai playoff.
Stiamo parlando dei Dallas Mavericks, che nell’arco di due sole stagioni sono passati dal soffiare il Larry O’Brien trophy sotto il naso dei super favoriti Heat dei nuovi Big-3 alla polvere delle posizioni da lotteria per il prossimo draft.
Ma cosa è successo alla franchigia texana, e quali sono i motivi di questo crollo?
Ricostruiamo la vicenda e torniamo all’origine del problema, ovvero all’estate 2011: Mark Cuban, che dopo una lunga serie di biglietti verdi investiti nel suo giocattolo preferito è finalmente riuscito a vincere il tanto agognato titolo, decide di cambiare alcuni tasselli della squadra.
Arrivano a Dallas giocatori come Vince Carter, Lamar Odom e Delonte West, e se ne vanno Caron Butler (che non aveva partecipato ai playoff vincenti a causa di un brutto infortunio a un ginocchio), Peja Stojakovic (ritiro per il campione serbo), Corey Brewer e due grandi protagonisti delle esaltanti Finals vinte ai danni degli Heat: JJ Barea, folletto imprendibile per la difesa avversaria, e Tyson Chandler, àncora difensiva e leader silenzioso della squadra campione.
Inizia da qui la flessione dei Mavs, che proprio senza la regia difensiva di Chandler (che nel frattempo riesce, quasi da solo, a dotare i Knicks di una retroguardia presentabile) perdono molto del loro potenziale e vengono estromessi al primo turno dei playoff con un secco 4 a 0 col quale i Thunder si prendono la rivincita della sconfitta patita la stagione precedente.
Fallito completamente l’inserimento di Odom, trasformatosi in un ex giocatore ormai più attento al reality della moglie Chloe che alle vicende cestistiche (ma in ripresa quest’anno con la maglia dei Clippers), così come quello di West che con i suoi problemi di bipolarismo ha finora trovato un ambiente accogliente solo a Boston, Cuban matura allora l’idea che è giunto il momento di un rinnovamento sostanziale: e siccome quando il vulcanico miliardario si muove tende a farlo con un certo qual clamore, ecco che il roster dei Mavericks viene quasi totalmente smantellato.
Non vengono rinnovati i contratti ai senatori Terry e Kidd, nel dichiarato intento di riportare a casa il play dei Nets Deron Williams, cresciuto proprio a Dallas. Williams però sceglie di rinnovare con i Nets, che nel frattempo sono diventati molto più “cool” trasferendosi a Brooklyn; Cuban resta con un palmo di naso, glissando sullo smacco patito e negando, come la volpe di fronte all’uva irraggiungibile, che il play ex Jazz fosse un obiettivo della franchigia.
Restano così due soli reduci dalla trionfale stagione del titolo: insieme a coach Rick Carlisle sono rimasti Dirk Nowitzki, uomo franchigia e giocatore straordinario, forse il miglior europeo di sempre, ma che ha appena compiuto 34 anni, e Shawn Marion, anch’egli trentaquattrenne.
Lo staff dirigenziale, guidato dal GM Donnie Nelson, cerca allora di ringiovanire la rosa, costruendo attorno ai due un mix di giovani di talento ma che finora hanno reso sotto le attese (OJ Mayo e Darren Collison su tutti) e di uomini di esperienza come Elton Brand e Chris Kaman (entrambi però assai inclini agli infortuni).
Il piano però subisce subito immediatamente una battuta d’arresto a causa dell’infortunio a un ginocchio patito da Nowitzki: inizialmente pare essere un guaio di poco conto, che invece si tramuta in una corsa a ostacoli per il tedesco di Wurzburg, costretto a saltare le prime 26 gare della stagione.
La squadra è nuova e fragile, e risente dell’assenza del suo leader tecnico e spirituale: al rientro di WunderDirk, nel derby texano contro i San Antonio Spurs, i Mavericks hanno un record di 12 vittorie e 16 sconfitte.
La situazione attuale vede Dallas 3 partite sotto la soglia del 50% di vittorie (32-35), e sempre 3 sono le gare di distacco dall’ottavo posto dei Lakers, l’ultimo utile per accedere alla postseason. La rincorsa sembra ormai disperata, perché a sole 15 partite dal termine della stagione regolare i playoff sembrano ormai irraggiungibili.
Tutto da buttare quindi? Non ancora e non completamente: le residue speranze dei texani sono riposte nell’infortunio alla caviglia di Bryant, costretto a saltare le ultime 3 gare dei gialloviola, e dal ritorno a pieno regime del loro uomo franchigia: Dirk Nowitzki, infatti, dopo un periodo difficile in cui ha pagato la cattiva condizione al rientro dall’infortunio al ginocchio sta tornando il giocatore che tutti conosciamo, provando a trascinare i compagni alla disperata rincorsa a un posto al sole nella Western Conference.
Ma anche il futuro dei Mavericks sembra non essere poi così tetro: il contratto del tedesco scade il prossimo anno, ma Nowitzki ha già dichiarato la sua intenzione di rinnovarlo per altri 2 anni. Lo stesso Cuban ha commentato proprio ieri la volontà dell’uomo da Wurzburg, dichiarandosi convinto che il numero 41 possa ancora essere un giocatore d’élite almeno per i prossimi 3 anni.
I vari Mayo, Collison e il rookie Crowder stanno mettendo a referto cifre di tutto rispetto, anche se la permanenza dei primi due non è sicura: l’ex Grizzlies ha l’opzione per rinnovare il contratto per un altro anno ma non è detto che la eserciti, mentre l’ex Indiana diventerà restricted free agent in estate.
La sensazione resta comunque quella di un passaggio di transizione che sarebbe potuto essere gestito molto meglio nell’immediato, anche se con un Nowitzki a pieno regime fin dall’alba della stagione è possibile che i Mavs sarebbero stati legittimi pretendenti a uno degli ultimi posti utili per la postseason.
La situazione per il prossimo anno, però, è interessante: i giocatori attuali sicuri di essere a roster sono solo 5 (al netto della player option di Mayo e dei restricted free agent Collison e Beaubois), con un grande spazio di manovra a livello salariale. Cuban è molto ricco e molto ambizioso, e cercherà sicuramente un pronto riscatto dopo due annate decisamente sottotono.
Ma la chiave di tutto sta nella testa e nelle gambe di un gigante tedesco: Dirk “Classe” Nowitzki sembra voler recuperare al più presto il tempo perduto a causa dell’infortunio, e lo ha dimostrato anche quando, pur non al meglio, ha messo in campo tutta la sua rabbia e il fuoco che gli arde dentro.
Un giorno la sua maglia numero 41 sarà appesa al soffito dell’American Airlines Center: ma quel giorno sembra essere ancora molto lontano, perché WunderDirk ha tutta l’intenzione di voler guidare i suoi Mavs ancora a lungo.
Anche il piccolo Kevin McCallister, protagonista del film “Mamma, ho perso l’aereo”, esce vincitore dalla sua disavventura: i Mavs, sulle larghe spalle del tedesco di Wurzburg, sperano di fare altrettanto iniziando subito dal prossimo anno.
Studente in giurisprudenza, amo ogni genere di sport e il suo lato più romantico. Seguace di Federico Buffa, l’Avvocato per eccellenza, perché se non vi piacciono le finali NBA non voglio nemmeno conoscervi.
“Ricordati di osare sempre”.