Molto spesso, quando tra gli appassionati di NBA si discute sulle vicende che riguardano i New York Knicks, a prescindere dal fatto di tenere o meno alle sorti della squadra della Grande Mela (Nets who? ) , si abusa di concetti del tipo “ mancanza di organizzazione societaria ” per spiegare, o almeno tentare di spiegare, come mai una franchigia con un potenziale economico praticamente illimitato non riesca a rimanere stabilmente nell’elite della palla a spicchi made in USA.
In questo senso, è emblematica la trade che ha portato l’attuale stella della squadra, Carmelo Anthony, a giocare al Madison Square Garden, osteggiata sia dall’allora allenatore Mike D’Antoni che dall’ ex GM Donnie Walsh. Insomma, non proprio un esempio di cooperazione tecnico-societaria, se permettete l’eufemismo.
D’altro canto, è pure vero che la componente fortuna, chiaramente non imputabile agli errori o presunti tali commessi della dirigenza newyorchese negli ultimi anni, non sia certo stata un’ alleata delle ultime versioni dei blu-arancio: molti appassionati sicuramente ricorderanno le condizioni in cui i Knicks furono costretti ad affrontare il primo turno di play-off della stagione 2010-2011, prima apparizione in post-season dopo sette anni, contro i già temibili Boston Celtics, i quali tremarono non poco nelle prime due partite della serie, ma che poi servirono uno sweep, risultato ad ogni modo non certo impronosticabile alla vigilia, anche grazie agli infortuni di Billups e Stoudemire.
L’attuale stagione può essere presa come esempio lampante di come le mancanze societarie da un lato, e la cattiva sorte dall’altro, abbiano attentato, e continuino a farlo, alle coronarie dei fan di Melo e soci.
Infatti, le mosse estive della dirigenza, chiaramente obbligate da un cap non propriamente vuoto, hanno permesso di colmare alcune delle lacune a roster, mettendo su un supporting cast di buon livello tecnico, ma abbastanza in là con gli anni: i vari Kidd, Prigioni, Thomas, Camby e Rasheed non sono esattamente l’ esempio di giocatori nel proprio prime, ma sono elementi che, se preservati fisicamente, potrebbero ancora dare un ragionevole contributo.
Purtroppo, se escludiamo l’ex Dallas e il rookie meno giovane della storia della Lega, l’ apporto alla causa di questo gruppo di giocatori non è certamente stato quello sperato, almeno in termini di numero di apparizioni sul parquet.
Un’ennesima scommessa che, se non può essere definita persa, almeno non si può considerare vinta; di certo, però, questa volta bisogna riconoscere alla dirigenza le attenuanti generiche, dal momento che, a conti fatti, non si poteva fare molto di meglio.
Considerando poi che anche giocatori più giovani, o comunque meno condizionati dal dato anagrafico, abbiano più o meno a turno sofferto di problemi fisici (Shumpert ha saltato metà stagione, Stoudemire ha perso le prime trenta partite e non tornerà prima dei play-off, le condizioni di Melo preoccupano quanto quelle di Zidane al Mondiale 2002 e Chandler, nel momento in cui scriviamo, non sembra passarsela meglio), ci si rende conto che il potenziale di questa squadra, che nei primi mesi di regular season era riuscita ogni oltre pronostico a tenere dietro persino la corazzata dei tre amigos di South Beach, giocando per giunta un basket di buonissimo livello, sia stato pesantemente ridimensionato dalle notizie che a mano a mano giungevano dall’infermeria, più che dal campo.
In questo senso, anche l’acquisizione di Kenyon Martin, nell’ottica di rimpolpare un settore lunghi praticamente decimato, non sembra poter essere una mossa decisiva nel medio termine, soprattutto in virtù delle dubbie condizioni fisiche dell’ ex Nuggets, reduce da un lungo periodo di inattività.
Non ci è dato sapere se e quanto tutto ciò possa minare il rendimento e il morale dei ragazzi di Coach Woodson (prestazioni come quelle contro Golden State e Denver non promettono nulla di positivo, in questo senso), sia in vista dell’ultima parte di quella che rimane, fin ora, la miglior regular season dell’ultimo decennio, sia, soprattutto, in prospettiva di una post-season in cui finalmente i Knicks potranno, e per certi versi dovranno, erigersi a protagonisti dopo le mezze comparsate degli ultimi due anni.
E’ chiaro tuttavia che bisogna anche valutare in quali condizioni si arriverà ai play-off, e di conseguenza in quale posizione: attualmente ci si gioca il secondo seed della Eastern Conference con i Pacers, tuttavia l’assenza di Stat e dei suoi minuti di qualità dal pino, il ginocchio ballerino di Anthony e le non perfette condizioni fisiche di Chandler non solo spostano l’inerzia nella corsa al secondo posto tutta dalla parte di Hibbert e soci, ma addirittura non mettono al riparo la compagine blu-arancio da un possibile ritorno di Nets e Celtics nella volata per la leadership finale nell’Atlantic Division.
Bisogna poi monitorare la situazione in casa Hawks, così come il finale di stagione dei Bulls, i primi accreditati a quella che sarebbe una clamorosa remuntada nel caso in cui Derrick Rose decidesse di forzare i tempi e tornare in campo prima dei play-off.
Il calendario da qui alla fine, superato il tour di cinque partite ad Ovest a medio-alto coefficiente di difficoltà, propone sia partite piuttosto abbordabili (doppio impegno con Toronto e Charlotte, Washington e Orlando al Madison) , sia sfide sulla carta insidiose (due volte con Boston e Atlanta, Memphis in casa e trasferta a Chicago) , sia scontri teoricamente proibitivi (trasferte a Miami e OKC, per giunta nella stessa settimana) .
Dulcis in fundo, alla terz’ultima il faccia a faccia, potenzialmente decisivo, con Indiana davanti al pubblico amico.
Insomma, la situazione in quel di New York è piuttosto fluida,ed azzardare qualsiasi pronostico al momento è chiaramente un inutile esercizio di retorica. Se tutto filasse liscio, l’obiettivo delle 50 vittorie (che manca dal 2000, anno dell’ultima apparizione dei Knicks in una Finale di Conference, guarda caso proprio contro i Pacers) e, presumibilmente, il ritorno al trionfo divisionale (l’ultimo nel 1994, praticamente un’era cestistica fa, con il record di 57-25) non dovrebbero sfuggire.
Nel peggiore dei casi, invece, non tanto la partecipazione ai play-off, praticamente acquisita, quanto il vantaggio del fattore campo, almeno nel primo turno, potrebbe essere seriamente messo in discussione.
D’altronde, e lo sanno bene i tifosi Knicks, seguire le vicende di questa squadra significa acquisire la certezza quasi scientifica che nulla possa essere scontato, accettando quindi di vivere costantemente sulle montagne russe, per giunta senza mai avere la minima idea di cosa possa attendere alla successiva curva, se una salita o una discesa.
Per la legge dei grandi numeri, dalle parti del Madison ci si augura che, almeno stavolta, la strada possa essere in discesa. Una discesa che porti almeno a giocarsi le Finali di Conference.
Laureato in Ingegneria con la passione dello sport,più quello guardato che quello giocato,anche se non potrebbe mai rinunciare alla partita di calcetto settimanale.
Tifoso del Napoli e dei New York Knicks,pensa che non vedrà mai nessuna delle sue due squadre del cuore vincere qualcosa di importante.
A chi interessasse,single.