Conclusa ormai la regular season collegiale, diamo un’occhiata a come si sono comportati alcuni tra i giocatori più sotto osservazione e conseguentemente a come sia cambiata la percezione su di loro in vista del prossimo draft NBA.

ben-mcle788CHI SALE

  • Ben McLemore (SG, 6’5″, Freshman, Kansas): La sua storia racconta di una grande etica lavorativa ed è di sicuro il prospetto che ha maggiormente accresciuto le proprie quotazioni in questa stagione, in ragione di un atletismo sfolgorante, un dominante gioco in transizione e un bellissimo tiro da fuori. E’ ora uno dei principali candidati alla prima scelta assoluta, ma con due lack rilevanti per le aspettative che si porta dietro: non sa crearsi le proprie conclusioni e non ha dimostrato leadership emotiva, aspetto quest’ultimo sottolineato anche da coach Self.
  • Victor Oladipo (SG, 6’5″, Junior, Indiana): Si può definire la vera chiave di volta di Indiana? Di sicuro non ci si aspettava da parte sua un apporto tanto fondamentale per le sorti degli Hoosiers: incontenibile sul piano fisico-atletico, asfissiante in difesa in ogni situazione, perennemente in movimento, si è dimostrato anche decisivo sul lato offensivo del campo grazie all’interpretazione della transizione, all’eccellente movimento senza palla e alla clamorosa propensione ad arrivare al ferro. I punti di domanda maggiori sono il ball-handling e un tiro che, per quanto migliorato, non è ancora efficace e trasportabile al piano superiore; ma già così aspira legittimamente a una scelta in top10.
  • Kelly Olynyk (C, 7’0″, Junior, Gonzaga): Vistosi un po’ chiuso nella Gonzaga dell’anno scorso, si era preso un anno di redshirt per lavorare sul suo fisico e riuscire così ad evolvere in un giocatore più interno; dato il profondo cambiamento intrapreso e la necessità quindi di valutare sul campo il suo nuovo impatto, è passato sottotraccia in preseason e nelle prime partite stagionali. La regular season appena conclusa ha permesso di lanciarlo inaspettatamente alla ribalta nazionale: il canadese è stato infatti il principale artefice del successo dei Bulldogs, portando la squadra fino alla prima posizione assoluta del ranking nazionale e impressionando per la combinazione di stazza, rapidità e varietà dell’arsenale offensivo che si porta dietro e che non è stata minimamente inficiata dalla massa accumulata.
  • Marcus Smart (PG, 6’4″, Freshman, Oklahoma State): E’ lui ad aver messo i Cowboys dove sono ora, e non a caso ha vinto il POY della Big 12 Conference davanti al suddetto McLemore. Fisicamente, atleticamente e mentalmente debordante, di personalità e voglia difficili da riscontrare, ha dimostrato anche un playmaking molto migliore di quanto non ci si aspettasse. Intendiamoci, lo stesso playmaking è comunque da migliorare in ottica futura, così come sono da sistemare jumper e soprattutto scelte di tiro; ma per maturità e impatto su entrambe le fasi del gioco vale una delle prime cinque scelte.
  • Anthony Bennett (SF/PF, 6’8″, Freshman, UNLV): Un lieve infortunio alla spalla lo ha un po’ limitato nelle ultime partite, in ogni caso senza nulla togliere alla strabiliante stagione disputata. Aggressivo ma non troppo fuori controllo, ha in pochissimo tempo preso in mano le redini della squadra e gode di una notevole libertà di azione nel gioco dei Rebels: probabilmente dovrà abituarsi a una maggiore rigidità di utilizzo in NBA, oltretutto in un ruolo ancora da stabilire visto che resta sempre una sorta di tweener tra le due posizioni di ala; ma di sicuro ha già mostrato sufficientemente in termini di poliedricità, capacità di attaccare il canestro e affidabilità del jumper da potersi guadagnare una scelta in top10. Dubbi? QI e impegno difensivo in particolare sono due lack che potrebbero creargli non pochi problemi nell’immediato futuro professionistico, soprattutto finendo nel contesto sbagliato; ma un sergente di ferro che sappia inquadrare quell’incredibile potenziale fisico-atletico potrebbe fare le sue fortune.
  • Otto Porter (SF, 6’8″, Sophomore, Georgetown): All-around favoloso e con una base fisica impressionante per il ruolo. E’ salito esponenzialmente nella considerazione generale per essersi preso sulle spalle anche il peso dell’attacco boccheggiante degli Hoyas, oltre a esserne già pietra angolare dell’eccellente difesa; per non sbagliare ha anche tirato in stagione con il 44% da tre punti, rispondendo sul campo alla necessità di sistemare il suo più evidente punto debole. La stagione si è conclusa con Porter POY della Big East e Georgetown al primo posto della conference, portando a impennarsi le sue quotazioni in vista del draft: non sarà un franchise player, ma è potenzialmente uno dei migliori secondi violini che si siano visti da molti anni a questa parte.
  • Trey Burke (PG, 6’0″, Sophomore, Michigan): Ora come ora forse il candidato più credibile per assicurarsi il Wooden Award, dopo aver già messo in cascina il POY della Big Ten. L’attacco di Michigan, tra i più efficienti in assoluto osservati, è passato dalle sue mani e dalla sua sapiente capacità di creare per gli altri e per se stesso; la taglia gli crea qualche problema di troppo, soprattutto nelle concludere in area, ma sicuramente non gli preclude la possibilità di guidare con successo anche una squadra NBA. In conclusione come previsto si è rivelata saggia la sua scelta di tornare con i Wolverines per la stagione da sophomore, forse non altrettanto sembra quella già palesata di ripresentarsi al campus anche l’anno prossimo: con una reputazione già tanto elevata una stagione in più può potenzialmente essere più dannosa che profittevole, anche se in effetti a quel punto Michigan partirebbe come probabile favorita.
  • Russ Smith (PG, 6’1″, Junior, Louisville): La stagione lo ha consacrato come il principale barometro delle prestazioni dei Cardinals, il giocatore insomma di cui la squadra tende più a seguire gli umori: veloce, atletico e instancabile, è uno dei migliori difensori del panorama collegiale e allo stesso tempo uno slasher imprendibile nell’attaccare il canestro, dominante in transizione e costantemente votato all’aspetto realizzativo. Ecco, anche troppo: eccessivamente innamorato del pallone, carente nel playmaking e agghiacciante nelle scelte di tiro (siamo sul 40% dal campo), deve necessariamente migliorare la qualità del decision-making se vuole poter giocare un ruolo importante in una squadra NBA. Tuttavia già così si è guadagnato abbastanza attenzioni da poter aspirare a una scelta a fine primo giro, e una buona apparizione di Louisville al Torneo NCAA potrebbe convincerlo a lasciare anzitempo il college; la scelta migliore però potrebbe essere quella di chiudere il quadriennio, e di mostrare miglioramenti nella conduzione di una squadra che perderà necessariamente Peyton Siva.
  • Mike Muscala (C, 6’11”, Senior, Bucknell): Se ne parla ancora troppo poco visto anche che la Patriot League non offre molte occasioni di visibilità mediatica. Eppure Muscala ha disputato una delle stagioni più strabilianti dell’intero panorama collegiale, portando Bucknell ad un passo dall’essere presa in considerazione per un at-large pick per il Torneo NCAA (fortunatamente non necessario, poiché i Bison hanno poi vinto il torneo di conference). E’ uno dei lunghi offensivamente più completi del panorama collegiale, tra i migliori a rimbalzo e anche ottimo passatore, mentre è piuttosto limitato difensivamente parlando, proteggendo bene il ferro ma dimostrandosi piuttosto inefficace qualora se ne allontani. Dominare i lunghi della propria conference non è ovviamente stato un problema, ma le stesse cose le ha mostrate anche nel non facile calendario extra-conference.
  • Erick Green (PG/SG, 6’3″, Senior, Virginia Tech): A lui è andato il POY della ACC nonostante Virginia Tech sia stata la peggior squadra della conference, e questo si spiega anche con il fatto che abbia chiuso al primo posto per punti segnati di media nell’intera Division I (poco più di 25 ad allacciata di scarpe). Qualche significativo miglioramento come distributore contribuisce a rinforzare una posizione già di per sé solidissima per le abbacinanti abilità realizzative messe in mostra: varietà di arsenale e trasportabilità del proprio gioco al livello superiore fanno le sue fortune, pochi giocano come lui la transizione e forse nessuno attacca tanto bene la difesa non ancora schierata. Con i workout di Giugno può spensieratamente dare l’assalto a una scelta al primo giro.
  • Carrick Felix (SG/SF, 6’6″, Senior, Arizona State): Sono stati i suoi progressi, ancora più di quelli di Carson e Bachynski, a essere risultati decisivi per la sorprendente stagione di Arizona State, una squadra che doveva essere in una fase di transizione e che invece si è ritrovata a un passo dal Torneo NCAA. Ha grossi limiti nel creare per sé in attacco, ma gli enormi miglioramenti nel tiro da fuori lo portano ora a poter garantire una produzione offensiva piuttosto varia, per quanto necessariamente sostenuta da compagni che sappiano servirlo; in più è un atleta di primo livello, buon passatore ed eccellente rimbalzista e difensore: in sintesi il perfetto mix di qualità per potersi affermare come un onesto giocatore di complemento al piano di sopra, anche come uomo di chimica necessario per bilanciare il giusto quintetto base.
  • Kenny Kadji (PF, 6’11”, Senior, Miami (FL)): Passa relativamente inosservato perché il giorno del draft avrà già 25 anni, ma insieme a Shane Larkin è stato il principale fautore delle fortune di Miami in questa stagione. L’upside è ovviamente limitato, ma al giorno d’oggi in NBA le sue caratteristiche trovano facile impiego: tiratore con buon fisico, che sa aprire il campo e può evitare la monodimensionalità rendendosi pericoloso anche da dentro l’arco, e allo stesso tempo non danneggia la squadra in difesa e a rimbalzo.

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  • Shabazz Muhammad (SG, 6’6″, Freshman, UCLA): Al rientro dalla sospensione ha faticato un po’ a ingranare per via della forma fisica non impeccabile, ma è poi venuto fuori con relativa facilità portando di peso UCLA a vincere la Pac-12. Mano fatata e una facilità strabiliante nel trovare il canestro, fa sorgere più di qualche dubbio il fatto che a questi livelli domini prima di tutto fisicamente: in un mondo come quello della NBA dove questa componente verrà necessariamente a ridursi, sarà in grado di conservare la stessa efficacia offensiva? Da dire che un grosso punto a suo favore è invece l’intensità messa in mostra sul lato difensivo del campo.
  • Nerlens Noel (C, 6’11”, Freshman, Kentucky): L’infortunio subìto non dovrebbe condannarlo a perdere posizioni al prossimo draft, dal momento che ha avuto ampiamente modo di dimostrare sul campo di valere una prima scelta assoluta nonostante i problemi a livello offensivo e di comprensione del gioco, anche da mettere in conto alla sua età. Ci sono da considerare i tempi di recupero e quindi quanto una squadra che scelga in top3 possa pensare di poter fare a meno del giocatore, ma dovrebbe essere già chiaro a tutti gli addetti ai lavori che lasciarlo scendere oltre a una terza scelta assoluta equivarrebbe a un rischio enorme, che probabilmente non vale la pena correre.
  • Michael Carter-Williams (PG, 6’6″, Sophomore, Syracuse): Peccato per i limiti mostrati sotto l’aspetto realizzativo, perché un playmaking di quel livello su un fisico di quel livello già da solo gli vale a buon diritto una scelta in lottery. Infatti nella generale abbondanza di nanerottoli realizzatori, guardie sottodimensionate che si ritrovano forzatamente a giocare da point guard per evidenti limiti fisici, è quasi commovente vedere un giocatore di quasi due metri controllare sapientemente il ritmo e focalizzarsi sul mettere in ritmo i compagni. Nella zona degli Orange ha anche messo in mostra voglia e buone letture in difesa; prevedibile qualche problema di più nella diffusa marcatura a uomo, visto in particolare il baricentro alto, ma si dovrebbe riuscire a ovviare dirottandolo su esterni fisicamente più affini a lui.
  • Cody Zeller (C, 7’0″, Sophomore, Indiana): A tratti dimostra di soffrire un po’ troppo giocatori molto fisici, e questo non è un punto a suo favore. Ma non si trova in giro un altro lungo con tale combinazione di centimetri, atletismo, rapidità di piedi, arsenale offensivo e capacità di crearsi una conclusione: la sua presenza in area si è rivelata più volte decisiva, anche solo banalmente come catalizzatrice di attenzione da parte della difesa avversaria, e ha di sicuro una parte fondamentale nel successo di Indiana e nell’emergere di alcuni suoi compagni di squadra. Una scelta nelle prime cinque dovrebbe essere doverosa.
  • Alex Len (C, 7’1″, Sophomore, Maryland): Più o meno le stesse indicazioni che avevano dato le prime partite stagionali: rapido, atletico, intelligente, presenza importante d’area e buon difensore, ottimo nell’interpretare il pick-and-roll. In attacco tende a nascondersi e a ricevere poco in isolamento, ma gran parte del demerito è da attribuire al backcourt dei Terrapins, inadeguato per propensione e letture nel servirlo al meglio; in compenso se Maryland è arrivata a sperare in un at-large bid per il Torneo NCAA è principalmente grazie a lui.
  • CJ McCollum (PG/SG, 6’3″, Senior, Lehigh): Undici partite sono bastate per far capire di essere il miglior esterno realizzatore del panorama collegiale, nonché un giocatore dal QI allucinante; poi il piede ha fatto crack, lasciandolo ai box per tutta la stagione. Non ha forzato il rientro proprio per non rischiare di compromettere la sua preparazione pre-draft, una scelta ben ponderata che potrebbe facilmente premiarlo a Giugno.
  • Mason Plumlee (PF/C, 6’11, Senior, Duke): Non è stata sfolgorante come molti si aspettavano, e probabilmente Curry e Kelly si sono mostrati più decisivi per le sorti della squadra, ma sicuramente la sua è stata una stagione molto solida e in cui ha retto in parte preponderante il peso del gioco interno di Duke. In ottica NBA attirerà facilmente molte attenzioni per via della combinazione di centimetri, atletismo e comprensione del gioco, e potrebbe sensibilmente scalare posizioni man mano che ci si avvicina al draft.
  • Willie Cauley-Stein (C, 7’0″, Freshman, Kentucky): Settepiedi di fenomenali doti fisico-atletiche, ma è molto poco rifinito e offensivamente grezzo come pochi, nonostante a dirla tutta abbia mostrato letture e comprensione del gioco mediamente migliori di quanto ci si aspettasse. L’infortunio occorso a Noel gli ha giovato in termini di minutaggio e visibilità, e nonostante la strada da intraprendere per diventare un giocatore di basket sia ancora molto lunga, l’appeal che gli concedono Kentucky e Calipari fanno sì che possa pensare di lasciare il college senza pericolo di andare oltre la fine del primo giro. Farebbe molto meglio a tornare comunque, per rifinire a dovere il suo potenziale.
  • Gorgui Dieng (C, 6’11”, Junior, Louisville): Ha perso qualche partita per un infortunio al polso, che però ha dimostrato di non aver minimamente sofferto: al rientro ha continuato da dove aveva lasciato alle ultime Final Four, chiudendo ermeticamente l’area dei Cardinals e rendendo superlativa la già straordinaria difesa di Pitino. Se Smith è forse il giocatore che a seconda delle sue prestazioni influenza di più il rendimento della squadra, Dieng è sicuramente il pezzo più importante della costruzione della stessa; siamo pronti a scommettere su un nuovo ruolo decisivo al Torneo, utile a lanciarlo piuttosto in alto in vista del draft di Giugno, cui pare sarà certamente presente.
  • Doug McDermott (PF, 6’8, Junior, Creighton): Se McCollum si è guadagnato a buon diritto il titolo assegnatogli qua sopra di “miglior esterno realizzatore”, McDermott è la sua controparte tra i lunghi. Non era facile migliorare quanto mostrato l’anno scorso, ma ci è riuscito dispiegando un campionario unico ai fini di mettere la palla nel cesto e prendendosi anche lo sfizio di chiudere con una percentuale del 50% nel tiro dalla lunga. In ottica NBA verrà ridimensionato, per limiti atletici e soprattutto di ruolo all’interno della squadra, visto che non troverà come a Creighton un ambiente che gli conceda così tanti spazi in attacco; ma Doug possiede testa e voglia di fare fatica, è facile credere che riuscirà ugualmente a trovare una sua dimensione anche al piano di sopra.

tony-mitchellCHI SCENDE

  • Tony Mitchell (PF, 6’8″, Sophomore, North Texas): Con il senno di poi la scelta di tornare al college non è stata felice dato che l’addio di coach Johnny Jones ha portato i Mean Green a una stagione deludente: partiti come rivali più accreditati di Middle Tennessee State nella Sun Belt Conference, sia il cambio di allenatore sia la sfortuna che ha decimato il roster tra infortuni e sospensioni li hanno portati a finire mestamente al terz’ultimo posto, oltretutto mettendo in mostra un’anarchia tattica e una mancanza di effort preoccupanti. Proprio questo atteggiamento ha avuto il massimo esponente in Mitchell, piuttosto spaesato nel trovarsi in un contesto tanto confusionario e dove gli si chiedeva di assumere un ruolo di leadership non nelle sue corde: stagione quindi deludente, che però non ha cambiato le qualità che il ragazzo porta in dotazione. Con il via ai workout pre-draft si risolleverà di sicuro.
  • Adonis Thomas (SF, 6’7″, Sophomore, Memphis): Probabilmente la delusione più grossa di questa stagione. Si diceva che la partenza di Barton gli avrebbe concesso più spazio e responsabilità e in effetti è stato così; anzi, è stato proprio questo il problema: Thomas si è dimostrato fisicamente e mentalmente inadeguato al ruolo che gli si chiedeva, incapace di prendere in mano la squadra in attacco e a tratti preoccupantemente disinteressato al gioco. Ha comunque un talento importante, ma se è per questo lo aveva anche Wesley Witherspoon, tanto per fare un nome senza allontanarci dai Tigers.
  • Deonte Burton (PG, 6’1″, Junior, Nevada): Negli USA hanno del ragazzo una considerazione mediamente piuttosto alta, e forse anche per questo pare abbia già manifestato l’intenzione di dichiararsi al prossimo draft. E’ sicuramente un slasher atletico ed efficace nell’attaccare il canestro, e nonostante il tiro sia da aggiustare in ottica NBA non c’è motivo di credere che Burton non possa sistemarlo in tempi relativamente brevi visto il comunque discreto punto di partenza. Ciò che preoccupa maggiormente è invece lo scarso decision-making, la poca propensione a giocare per i compagni e soprattutto l’assenza di miglioramenti richiesti in questi aspetti del gioco: aspetti da cui, date le caratteristiche, non potrà prescindere in futuro; tenendo conto di questo, è difficile pensare di poterlo scegliere con profitto al primo giro.
  • Isaiah Canaan (PG, 6’1″, Senior, Murray State): Sotto l’aspetto individuale ha fatto un’ottima stagione, oltretutto con il peso della squadra sulle spalle ancor più rispetto all’anno scorso. E allora perché queste partite dovrebbe aver danneggiato la sua immagine? Posto che come giocatore non è di adattamento scontato al palcoscenico della NBA e nelle valutazioni generali non si può non tenerne conto, la differenza fondamentale la fanno i risultati dei Racers: l’anno scorso le sue prestazioni si riflettevano nello specchio dell’incredibile record di 30-1 di una squadra che si fermò al secondo turno del Torneo NCAA; quest’anno al contrario Murray State ha chiuso “solo” 21-10 e con il quarto record della conference, mancando di apparire al Torneo e soprattutto dovendo fare a meno della passata esposizione mediatica.
  • Steven Adams (C, 7’0″, Freshman, Pittsburgh): Niente che non ci si aspettasse prima dell’inizio della stagione: il neozelandese è ancora molto immaturo e limitatissimo in attacco, per quanto sia già un’importante presenza d’area e riesca a garantire un apporto abbastanza significativo difensivamente parlando in una squadra di livello come la Pittsburgh di quest’anno. Solo non dovrebbe pensare minimamente all’idea di dichiararsi eleggibile per il draft 2013.
  • Le’Bryan Nash (SF, 6’7″, Sophomore, Oklahoma State): Non è migliorato di una virgola negli aspetti in cui presentava le maggiori lacune, ovvero la comprensione del gioco, la leadership emotiva, l’esecuzione di squadra, il tiro da fuori e la difesa. La base fisico-atletica e una certa raffinatezza tecnica in determinati aspetti del gioco lo faciliteranno molto nella corsa a una scelta al primo giro, sia quest’anno o in futuro, ma i progressi pressoché nulli nei due anni con i Cowboys faranno sempre storcere il naso a quanti volessero scommettere su di lui. Tuttavia probabilmente farebbe meglio a rendersi eleggibile da subito, perché se le prospettive di miglioramento rimanendo al college continueranno a essere queste Le’Bryan non potrà che esserne danneggiato.
  • James Michael McAdoo (PF, 6’9″, Sophomore, North Carolina): Non è un caso che North Carolina abbia girato la stagione quando ha deciso di togliergli responsabilità offensive, passando a una conformazione più perimetrale. Il ragazzo era atteso a una breakout season che non è arrivata, e ha deluso le aspettative soprattutto non riuscendo a rendere più affidabile il suo jumper: continua ad avere istinti per il gioco molto promettenti, ma ad oggi se decidesse di dichiararsi eleggibile ci sarebbero il grosso pericolo di vederlo diventare un giocatore che fa affidamento prevalentemente sulle qualità fisiche e la presenza a rimbalzo.
  • Alex Poythress (SF/PF, 6’8″, Freshman, Kentucky): Nonostante fosse attesissimo in preseason, si è dimostrato ancora piuttosto immaturo e di non scontata collocazione in ottica futura. Non ha disputato un’annata deludente, solo un po’ sotto le enormi aspettative, e in ogni caso l’intensità e la base fisico-atletica che lo caratterizzano lo porteranno facilmente ad essere scelto nelle prime 20; ma ad oggi sembra comunque un po’ poco per un prospetto che si pensava avesse le potenzialità per andare a giocarsi una delle prime 5-10 scelte. A quanto pare il ragazzo vuole misurarsi con la NBA già dall’anno prossimo, non c’è da aspettarsi che ritorni da Calipari.
  • BJ Young (SG, 6’3″, Sophomore, Arkansas): Doveva essere la stagione della definitiva consacrazione, si è rivelata come pericolosa indicatrice di grossi problemi di leadership e scelte offensive. Rimangono ovviamente intatte le doti che lo hanno portato a essere tanto considerato, e tutt’ora mette in mostra flash di onnipotenza realizzativa che hanno pochi eguali in Division I e che possono garantirgli in ogni situazione una scelta al primo giro; ma se non è riuscito a imporsi come costante trascinatore di una buona squadra a livello collegiale, ci sono legittimi dubbi in merito al fatto che sia già pronto ad assumere un tale ruolo in NBA. Visto l’enorme potenziale in tal senso, sarebbe dunque meglio se decidesse di rimanere ad Arkansas per crescere ulteriormente.
  • CJ Leslie (SF/PF, 6’9″, Junior, North Carolina State): “Con un CJ Leslie finalmente maturato come leader, North Carolina State parte come favorita per vincere la ACC”; queste erano più o meno le parole che era facile sentire in preseason, che infatti vedeva i Wolfpack come probabili trionfatori nella conference. Se con una stagione alle spalle ci ritroviamo con una North Carolina State che invece è arrivata mestamente quinta, è facile capire come nella premessa qualcosa non abbia funzionato. E così è infatti: Leslie ha mancato una volta di più lo step mentale che gli si chiedeva, confermandosi come un gran talento ma su livelli paurosi di incostanza e deconcentrazione. Attenzione, perché la storia della Lega è piena di giocatori talentuosi che non sono riusciti a emergere per limiti caratteriali.

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