Giunti ormai all’ultimo quarto della stagione regolare, i rapporti di forza all’interno della lega più bella del mondo sono abbastanza ben definiti: e se ad Ovest si profila una volata a tre che per adesso vede gli Spurs (malgrado l’infortunio alla caviglia di Parker) con mezza ruota di vantaggio sui Thunder e sui Clippers, dall’altra parte degli States il panorama è di tutt’altro tipo, perché i Miami Heat campioni in carica non sembrano minimamente intenzionati ad abdicare e rimangono ben saldi sul trono della Eastern Conference con un margine enorme sui primi inseguitori.
Sembra essersi creata un’aura di invincibilità attorno alla franchigia della Florida: James, Wade e Bosh non sono affatto appagati e hanno sempre la faccia cattiva di tre uomini in missione, mentre tutto il “supporting-cast” costruito intorno al nucleo dei tre fuoriclasse timbra sempre il cartellino mettendo in campo un’intensità mai vista, non disdegnando di mettere i tiri che contano e di piazzare le giocate-chiave della gara.
Gli avversari di turno sono consapevoli che, malgrado riescano a costruire un margine consistente, la furia degli Heat potrebbe scatenarsi da un momento all’altro annullando qualsiasi svantaggio: è accaduto proprio così non più tardi di qualche sera fa, quando i Knicks si sono visti cancellare un vantaggio di quasi 20 punti all’intervallo da una furiosa rimonta che ha legittimato una volta di più il primato di conference di LeBron e soci.
Già, LeBron: ogni commento è superfluo per descrivere la stagione dell’ex perdente di successo. Dopo aver dominato il mondo nell’anno di grazia 2012, in cui si è portato a casa il primo e tanto agognato titolo NBA con allegati premi di MVP della stagione e delle Finals oltre all’oro olimpico vinto da protagonista con la maglia di Team USA, James sembra aver affinato ancor di più i suoi perfetti ingranaggi da arma letale, diventando pressoché inarrestabile: 27 punti con un irreale 56% dal campo e 41% da tre (con l’incredibile punta di un Febbraio da 30 punti e 64% al tiro, roba di videogame), più di 8 rimbalzi e più di 7 assist sono numeri che danno l’idea di un giocare infinito, completo in ogni aspetto del proprio gioco.
Ma, come spesso accade, le nude cifre non dicono tutto: le statistiche non possono raccontare la facilità con cui LeBron si muove su un campo di pallacanestro, dove porta a spasso un corpo di 120 chili che assomiglia più ad un armadio a due ante che ad un comune mortale con la leggerezza e l’agilità di un ballerino unite alla forza bruta di un toro in corsa; non sono capaci di descrivere l’onnipotenza che trasuda da un giocatore dal quale sai di poterti aspettare da un momento all’altro
La Giocata, quella che risolve la partita e riscrive la storia del gioco. Ineluttabile, come se tutto dovesse andare secondo la sua volontà.
E adesso, una volta fatto scendere dalle spalle il gorilla del predestinato che per molti anni è sembrato avere la meglio, James può guidare i suoi Heat oltre ogni limite.
La Eastern Conference è piena di Davide, ognuno di loro col la sua brava fionda tra le mani: ma il gigante Golia, con la maglia rosso fuoco degli Heat e il numero 6 sulle spalle, stavolta sembra proprio invincibile.
Studente in giurisprudenza, amo ogni genere di sport e il suo lato più romantico. Seguace di Federico Buffa, l’Avvocato per eccellenza, perché se non vi piacciono le finali NBA non voglio nemmeno conoscervi.
“Ricordati di osare sempre”.
Grande articolo scritto da un futuro grande giornalista!!!