Lo scorso 17 Febbraio, durante l’All Star Game di Houston, Michael Jordan ha compiuto 50 anni. Molte le dimostrazioni d’affetto, dai più anziani, ai giovanissimi, dal nord al sud del mondo: tutti hanno voluto rendere omaggio a “His Airness”.
Non si diventa, ovviamente, un’icona senza una carriera ineguagliabile alle spalle: 6 titoli NBA, 11 titoli di MVP tra Finals e regular season e molti altri record, hanno creato quello che, secondo il sito nella National Basketball Association è “per acclamazione, il più grande giocatore di tutti i tempi”.
Ancora oggi, infatti, nonostante siano trascorsi 10 anni dal suo ritiro, le magliette dei Bulls con impresso il numero 23 sono tra le più vendute. MJ è una delle personalità riconosciuta a livello mondiale, a detta di molti il miglior sportivo ogni epoca.
I più giovani, che non hanno potuto assistere dal vivo alle sue imprese, conoscono Jordan ancor più di molti dei campioni che calcano i parquet della NBA odierna. Il marchio di abbigliamento che porta il suo nome è oggi un “must”, e le scarpe sono da anni una moda planetaria. Ma perché questo fenomeno senza tempo ed età?
Come già detto il suo impatto sul campo e i suoi traguardi raggiunti hanno fatto l’80% del lavoro, però anche “Air” è stato molto astuto nel creare il personaggio Michael Jordan. La generazione dei giovanissimi di oggi conosce MJ per la sua “amicizia” con Bugs Bunny, nata con il film “Space Jam” , pietra miliare del cinema per bambini, e ancor oggi, a distanza di quasi vent’anni, anche chi non mastica basket conosce il film e Jordan.
Ancor oggi, infatti, quando parliamo di basket il collegamento logico porta subito lui, entrato di diritto nell’immaginario collettivo come il simbolo dello sport della palla a spicchi. Per questo è semplice dimostrare come MJ appaia inarrivabile a tutti i top player che gli sono succeduti, sia in termini di marketing che in campo.
L’onnipotenza generata dal 23 è enorme, e nessuno, nemmeno Kobe e LBJ, sono mai arrivati a scalfire quell’aurea di invincibilità che ruota attorno alla guardia di Wilmington, NC. Negli anni dal 1990 al 1998 (con l’esclusione del periodo baseball, Dio lo perdoni per questo ed il rientro con il numero 45) non c’era franchigia o giocatore che potesse arrestare la sua sete di vittoria.
In molti potranno controbattere asserendo che i Bulls di MJ erano una delle squadre più forti di sempre, soprattutto quella del 72-10 del 1996, ma la freccia più sopraffina e devastante nell’arco di coach Phil Jackson era sempre e comunque lui, “His Airness”.
Analizzando anche gli avversari dei Bulls in quella decade, si noterà come tutte le franchigie, piazzate in altri periodi, avrebbero fatto incetta di anelli: i Sonics di Payton e Kemp, i Suns di Barkley e Majerle, i Knicks di Ewing e Starks e soprattutto i Jazz di Stockton e Malone, sono squadre entrate nella leggenda nonostante non abbiano mai vinto un titolo, non per colpa loro ma per manifesta superiorità dell’avversario.
Un ragazzo che si appresta a voler giocare a Basket deve giocoforza fare i conti con Michael Jeffrey Jordan, il giocatore perfetto; eccelso in ogni fondamentale, si distingueva dagli altri soprattutto per la sua vita da atleta vero e la sua costanza di rendimento.
Per questo è considerato l’esempio per eccellenza. Il 23 è riuscito a saper sfruttare al meglio il suo talento, spremendo ogni minima goccia di questo, fino a diventare la Leggenda. Così MJ è riuscito a diventare l’icona e il simbolo di questo sport…
Giù il cappello davanti a sua maestà MJ. Hai scritto bene: talento ma anche regolatezza, cioè vita da atleta e rispetto per i doni ricevuti da Dio (sportivamente parlando, s’intende).