Alzi la mano chi, dopo metà stagione, si aspettava gli uomini di Vogel come seconda testa di serie ad Est?
Bene, se avete la mano in alto o siete dei gran bugiardi o dei lungimiranti della palla a spicchi perché, quando a fine ottobre il tendine del ginocchio sinistro costrinse Danny Granger a operarsi, c’era anche chi nutriva dubbi sulla partecipazione ai playoff dei Pacers.
Dubbi tutt’altro che infondati perché perdere il proprio go-to-guy a due giorni dall’inizio della stagione sarebbe un brutto colpo anche per franchigie più prestigiose e imbottite di stelle, figurarsi per una squadra tornata da poco sulla cresta dell’onda.
Ed è qui che entrano in gioco i tre fattori che hanno determinato la super-season di Indiana: il primo è coach Vogel, anni trentotto e sapienza tattica da far invidia ad allenatori ben più esperti di lui.
Ha subito capito qual era la via da seguire per farsi strada nell’Eastern Conference: la difesa. Ovviamente la migliore dell’intera lega con appena 89.6 concessi per gara, una difesa non aggressiva ma talmente oleata nei meccanismi da riuscire a difendere il pitturato meglio di tutti.
Ciò che più colpisce, però, è la disponibilità al sacrificio di ogni singolo giocatore della squadra tant’è che le loro rotazioni difensive risultano essere perfette grazie ai continui aiuti portati con efficacia e tempismo dal compagno di squadra più vicino all’azione, roba che l’80% dei coach NBA non si sogna nemmeno di chiedere ai propri uomini.
A dover di cronaca va detto che i Pacers hanno un roster formato da ottimi difensori (Roy Hibbert su tutti) che ha facilitato sicuramente il compito del coach che, comunque, con i suoi insegnamenti ha migliorato visibilmente quasi tutti gli elementi a sua disposizione sfruttando come meglio non poteva le risorse messe a sua disposizione nel corso degli anni dall’ex stella dei Celtics Larry Bird, deus ex machina di Indiana fino allo scorso Giugno.
Merito di Vogel è stata anche l’esplosione di Paul George, altro fattore determinante per il record di 39-24 dei Pacers. George, decima scelta nel draft del 2010, ha “approfittato” dell’assenza di Granger per caricarsi la squadra sulle spalle incrementando tutte le statistiche personali diventando una delle stelle dell’Estern Conference tanto da essere convocato per l’All-Star Game di Houston.
Giocatore completo ed efficace su entrambi i lati del campo ha fatto registrare una media per partita di 17,7 punti, 8 rimbalzi e 4 assist cui vanno aggiunte le 2 rubate per gara, diventando così la prima opzione offensiva dei suoi coprendo anche lo scarso contributo offensivo di Hibbert vera delusione fin qui per Indiana.
La ragione principale per cui i Pacers sono diventati una seria candidata al titolo risiede nel concetto di squadra, tutti gli attori recitano alla perfezione il proprio ruolo, e ciò vale sia per gli attori protagonisti che per quelli secondari, la capacità di tirare l’acqua tutti verso lo stesso mulino senza lasciare spazi ad egoismi o a comportamenti stonati ha di fatto annullato il GAP, in termini di talento, con le altre franchigie, dimostrando ancora una volta che il collettivo esalta il singolo e non il contrario(a meno che non abbiate il 6 stampato sulla shciena…).
Con Miami lanciata verso la vittoria della conference, i Pacers dovranno lottare con New York per la seconda piazza, dopo di che saranno chiamati alla prova del nove ai Play Off, dove potrebbero incontrare in serie Boston, New York e Miami.
Da qui alla fine il calendario non è dei migliori, ma il ritorno di Granger e l’esplosione di Stephenson (il prossimo Paul George, prendete nota) possono far ben sperare i tifosi dei Pacers in vista dei Play Off, dove ancora una volta saranno sfavoriti sulla carta così come lo erano nella corsa ai PO… Stay tuned!