Un’entrata a canestro, un salto, un appoggio instabile e una smorfia sul viso.
Attraverso 4 semplici azioni, durate in tutto un paio di secondi al massimo, potrebbe essere passata tutta la vita cestistica di una squadra di basket. Stiamo parlando dei Boston Celtics e le 4 azioni sopra descritte sono il momento dell’infortunio al ginocchio di Rajon Rondo, che nella sfida del 25 gennaio contro gli Atlanta Hawks si è procurato la rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio destro. Infortunio che purtroppo marchia a fuoco la stagione dei biancoverdi.
A dir la verità l’infortunio pareva non essere così grave, tanto che dopo la smorfia di dolore, il play ex Kentucky ha poi ripreso a giocare, finendo la partita. Solo nella gara successiva, contro gli Heat, lo si è tenuto a riposo pensando fosse un’iperestensione, poi, con gli esami più approfonditi, la triste scoperta: ginocchio andato e stagione finita per lui.
E per i Celtics?
Al momento, dall’infortunio di quello che era diventato il giocatore cardine della squadra, dopo l’addio di Ray Allen e l’avanzare dell’età di Kevin Garnett e di Paul Pierce, il celeberrimo orgoglio celtico ha prodotto un record di 6 vittorie e 0 sconfitte, battendo due delle squadre con i migliori record della lega: Heat e Clippers.
Orgoglio celtico che però non si sa quanto potrà ancora stupire, dato che l’assenza di Rondo, nonostante il buon campionato che sta disputando Avery Bradley dal suo rientro, è destinata a farsi sentire. Al momento i biancoverdi sono all’ottavo posto ad Est, ultimo disponibile per i Playoff e che prevede un accompiamento durissimo contro gli Heat stessi. Difficile quindi dire quanto saranno pericolosi i Celtics da qui a giugno, non difficile, invece, prevedere che la prossima stagione la situazione, stando così le cose, non sarà delle più rosee.
Rondo sarà infatti al rientro dal grave infortunio e avrà bisogno quantomeno di un periodo di rodaggio per riacquisire sicurezza e provare a far vedere di essere tornato ai livelli pre-infortunio, mentre Paul Pierce e Kevin Garnett avranno rispettivamente 37 e 38 anni e continueranno la loro parabola discendente che, seppur lieve, hanno iniziato a percorrere.
A questo aggiungerei l’incognita della schiena di Jared Sullinger, che ha deciso di riscuotere il suo credito qualche giorno fa e che lo costringerà ad un’operazione che gli farà perdere il resto della stagione. Il rookie, che era già scivolato alla 21esima scelta proprio a causa dei dubbi sulla tenuta della sua schiena, rischia di essere un problema più che una risorsa nei prossimi anni se le previsioni sul suo stato fisico saranno mantenute.
Con queste premesse, alla maggior parte degli addetti ai lavori non è sfuggita la praticità e la pragmaticità di Danny Ainge, GM dei Celtics, che ha la nomea di essere un GM non molto romantico e che, si dice, potrebbe anche scambiare una o entrambe le star a Roster per ricostruire fin da subito, come ha dimostrato in passato lasciando partire Ray Allen (anche se qui ha pesato la volontà del giocatore di cambiare aria) e provando più volte a scambiare lo stesso Rajon Rondo cercando sul mercato un asset migliore.
Non un’operazione semplice però, perché Garnett ha ancora, dopo questa, due stagioni a 11,5 Milioni di media e soprattutto una No-Trade Clause che gli garantisce la possibilità di rifiutare destinazioni non gradite, mentre Pierce, con i suoi 15 Milioni in scadenza il prossimo anno, è più di un giocatore per i Celtics, quasi un’istituzione, e scambiarlo vorrebbe comunque dire inimicarsi la piazza.
Difficile quindi che Ainge si possa muovere prima della trade deadline, se non per scambi di minor rilevanza, e difficile anche che possa farlo quest’estate, anche se a bocce ferme potrebbe essere più facile intavolare trade che possano essere utili alla franchigia.
Cosa resta da fare quindi a Boston?
Impossibile prevederlo, perché per il prossimo anno il cap è piuttosto intasato e solo nella stagione successiva ci potrebbero essere alcuni contratti in scadenza scambiabili. Impensabile anche pensare a una buona scelta al draft, perché in questo momento la squadra è ancora tra le prime otto posizioni, utili per giocare la post season, e solo un crollo verticale permetterebbe ai Celtics di andare abbastanza male (ad Est poi) e ottenere quindi una scelta alta. Dubitiamo anche che giocatori del calibro di Garnett e Pierce possano accettare di perdere partite per provare a ricostruire. Nel loro DNA, come in quello dei Celtics dei loro antenati, è chiaro il marker della voglia di vincere sempre.
Insomma, il futuro non pare essere così roseo per la squadra che stava diventando di Rondo e le nubi, all’orizzonte, avanzano più minacciose e veloci di quanto non faccia l’avanzare del tempo sulle teste di Garnett e Pierce.
La squadra del 2008, anno in cui i Big Three, che all’epoca comprendevano Ray Allen, Kevin Garnett e Paul Pierce, con un Rondo all’anno da Sophomore che stava ancora spiegando le ali per spiccare il volo, pare una chimera irraggiungibile, e anche quella del 2010, con i Big Three che nel frattempo erano diventati Big Four grazie ad un Rajon ormai esploso (ma con un KG reduce dall’infortunio al ginocchio e senza Perkins nel momento cruciale) sembrano parenti lontanissimi di questi Celtics.
Il filo su cui si trova a camminare Ainge tra ricostruzione e riconoscenza è sottilissimo e solo con un difficile esercizio acrobatico potrà trovare il giusto equilibrio.
Un’entrata a canestro, un salto, un appoggio instabile e una smorfia sul viso. E’ così che può finire una squadra come questi Celtics?
..E intatnto siamo a 7 W di fila, e senza Rondo la squadra gira come un orologio..
(e soprattutto trova bene il canestro, cosa impensabile alla vigilia dell’infortunio)
Non credo che quest’anno arrivi l’anello, ma ragazzi, questa squadra non molla veramente mai.
Pride, pride e ancora pride!