Ora respirano.
Niente di strano, lo fanno tutti, se non fosse che questa dilatazione degli alveoli cestistica sta avvenendo decisamente ad alta quota, e l’unico ensemble NBA a proprio agio con l’aria rarefatta disponibile un miglio sul livello del mare sono i Denver Nuggets.
Il ritorno al Pepsi Center non sarebbe potuto capitare più tempestivamente per i ragazzi di coach George Karl, squadra più “vessata” per distacco nella stesura del calendario di inizio stagione; infatti, il programmino dei primi 2 mesi comprendeva: 22 trasferte nelle prime 32 uscite, 14 delle quali contro squadre con almeno il 50% (compresa la doppia con i T-Wolves, calati solo di recente per la nuova frattura di Love), e infatti proprio 14 sono state le battute d’arresto del tour nordamericano delle Pepite del Colorado, alcune delle quali anche rovinose, come il -13 di Orlando, il -26 di San Antonio, il -19 dello Staples con i Lakers, o i 20 appena beccati in Oklahoma, match fuori dalla striscia ma pur sempre compreso nei criteri appena citati.
Di conseguenza, dopo le prime 32 partite, il record era a malapena superiore al 50 %, per la precisione 17-15, a prima vista un po’ pochino per una squadra ritenuta da quartieri alti della Western dagli addetti ai lavori dell’ultimo biennio, ma un buon risultato se si pensa alle avversità di cui sopra.
La questione delle trasferte potrebbe apparire eccessiva, ad una prima analisi. In fondo ogni squadra deve affrontare settimane on the road durante la regular season (come i Thunder questo mese o gli Spurs ogni anno a febbraio, causa rodeo…), ma i Nuggets sono forse la franchigia che più trae vantaggio dalle partite davanti al pubblico amico, proprio per la collocazione “elevata” della città; ovviamente si parla di uno sport indoor, e inoltre oggi la preparazione atletica sovviene a preparare gli atleti per eventi di questo tipo, ma l’impatto dell’altitudine non deve essere mai preso sotto gamba, basti pensare al 6-1 rimediato dalla Seleccion argentina in Bolivia durante le qualificazioni mondiali del 2010.
Tutto premesso, dopo il bilanciamento home-away del calendario si potrà effettivamente giudicare il rendimento del roster in maniera equilibrata, soprattutto con riferimento alle stelle della squadra, tutte in ripresa dopo un inizio poco brillante specialmente nelle percentuali dal campo, sempre ammesso che nel sistema di Karl si possa parlare di vere e proprie stelle; infatti l’ex coach di Cavs, Warriors e soprattutto Sonics e Bucks è da sempre propugnatore di un gioco di minutaggi (e soprattutto tiri) distribuiti e molti rimbalzi (secondi dopo Indiana) che generano fast-breaks immediati.
I Nuggets non giocano molti isolamenti, preferendo situazioni dinamiche che possano generare tagli o scarichi sul lato debole (non a caso Denver è il secondo Lob Team della Lega dopo la premiata ditta Clippers), dispongono di 9 uomini (compreso Wilson Chandler finora presente solo in 7 partite) da almeno 8 punti di media, ma soprattutto non hanno giocatori sopra i 35 minuti o i 14 tiri a partita, particolari statistici solitamente non troppo graditi a giocatori con caratteri particolarmente accentratori, e quindi hasta la vista Melo, ma anche Shawn, Ray o Glenn.
Tralasciando le assenze, passiamo ad esaminare il roster, partendo, didascalicamente, dal nostro Danilo Gallinari. Il Gallo è stato probabilmente il principe dei diesel NBA di questa stagione, protagonista di una partenza dalle polveri annegate, a dir poco; ma ora, lavate le ruggini, sta mostrando segnali di una enorme crescita, non tanto a livello di statistiche (career-high in punti, 16.6, e pareggiato in rimbalzi, 5.4), quanto a livello di personalità, riconoscendo il proprio ruolo di principale realizzatore e anche di clutch player di livello.
Insomma credo che il numero 8 possa andare più orgoglioso di questo tipo di leadership piuttosto che di quella nei balletti di squadra.
Se c’è una cosa in cui Gallinari deve ancora crescere parecchio è la continuità: troppe sono le serate di defaillance in cui la palla non entra, non ultime le sconfitte con Thunder e Wizards (8-26 complessivo dal campo); risolto questo problema, è un All-Star a mani basse, considerato anche l’ultimo dato sul rapporto stipendio-rendimento che lo pone dietro solo a LBJ, Durant e Josh Smith fra le ali piccole pure (è ottavo nello studio, ma nessuno degli altri, il Barba, Joe Johnson, Iguodala e Ginobili, gioca davvero il suo ruolo).
E proprio Iggy è un altro che sta trovando una collocazione precisa nel roster: al momento della mega trade estiva si pensava potesse essere un potenziale go-to-guy per i Nuggets, ma al momento appare abbastanza chiara la sua vera vocazione di secondo violino di lusso, un all-around di rara versatilità ma non un giocatore franchigia, e d’altronde già ai Sixers, anche loro un collettivo di ottimi giocatori, non si era mai impossessato delle luci della ribalta.
Nel suo caso i numeri parlano significativamente del suo valore per la squadra: è il terzo marcatore, terzo rimbalzista e terzo passatore, oltre che il miglior difensore perimetrale.
Rimanendo sugli esterni, la convivenza tra le 2 point guard, Andre Miller e Ty Lawson, sta mostrando non poche falle.
I motivi più probabili sono innanzitutto il fatto che se nessun’altra squadra NBA dispone di un regista back-up del talento e della personalità di Miller, forse un motivo ci sarà; e poi che da Tywon ci si sarebbe aspettato di più nei primi mesi, dopo le grandi prestazioni dei playoff dello scorso aprile.
È vero che la post-season spesso offre molti più stimoli, e, soprattutto, è vero che non sempre si viene marcati Ramon Sessions con tutte le libertà conseguenti, però da uno capace di segnarne 19 ad allacciata con il 51.4% penetrando costantemente una delle migliori difese nel pitturato come era quella dei Lakers è doveroso pretendere più dei 14.5 (42.6%) e 6.8 assist prodotti al momento.
Lo scambio di uno dei due non pare un’eventualità remota, sebbene il play da UNC abbia firmato a 48 milioni per 4 anni, cifra ora come ora non esattamente attrattiva né accessibile per molti proprietari.
Spostandosi sotto le plance, è evidente la tendenza del coach a dare minuti a giocatori dinamici e bravi sugli scarichi, per i motivi descritti in precedenza. Primus inter pares, Kenneth Faried, the Manimal: al secondo anno NBA sta accrescendo sempre più la propria importanza, mantenendo il proprio penchant per le giocate da highlights e affermandosi come un rimbalzista offensivo irreale, infatti ben 3.8 sono i palloni raccolti, e spesso rischiaffati nel canestro, su errori dei compagni ad ogni partita.
Ha dei limiti tecnici evidenti, fatto comune a giocatori prettamente energici, ma senza ombra di dubbio sarà un giocatore sul quale in Colorado vorranno puntare forte negli anni a venire.
Gli altri 2 lunghi di rotazione sono dei giocatori agli antipodi, per potenziale, caratteristiche tecniche e solidità mentale: JaVale McGee e Kosta Koufos. Lo Shaq-a-Fool per eccellenza sta sorprendendo per il modo in cui ha accettato di giocare da sesto uomo, ed anzi, in relazione al minutaggio sta fornendo un ottimo contributo (10 punti, 5 rimbalzi e quasi 2 stoppate in neanche 19 giri di lancetta sul parquet) senza esagerare più di tanto nelle sue, comunque sempre contenute, esuberanze; anche il centrone di origine greca, finora considerato un mezzo bust del Draft del 2008, sta fornendo una buona presenza intimidatoria da titolare, con oltre 6 rimbalzi e una stoppata e mezza in 23 minuti in campo.
In fondo i Nuggets sono sempre gli stessi del post-Anthony, una squadra profonda e votata al collettivo ma non priva di difetti: uno è certamente la presenza di molte guardie-ali abbastanza simili per gioco e caratteristiche fisiche (oltre al Gallo e ad Iguodala dalla panchina escono Brewer, Chandler, appena recuperato, e Fournier, per la verità non molto impiegato finora), nessuno dei quali è un eccelso tiratore, fatto che pone Denver al penultimo posto per percentuale da oltre l’arco, anacronismo di Karl dove la tendenza del momento è la ricerca finanche eccessiva del tiro dalla lunga.
Un altro è la mancanza di un vero uomo da ultimo tiro, nonostante i promettenti segnali di Gallinari in questo senso, come dimostra il record negativo (5 W su 12) in partite con scarti inferiori ai 5 punti.
È quindi una squadra di cui ormai si conosce con buona precisione il potenziale, solido, PO sicuri, forse addirittura da quarto posto e semifinali di Conference, dovessero continuare le flessioni di Warriors e Grizzlies (questi ultimi stile Mosca nelle ultime gare, sempre a -20), ma quasi certamente non in grado di fare un ulteriore salto in avanti con il roster attuale.
Certo, casi come quello di D-Rose capitano, ma stavolta gli dei del basket si dovrebbero veramente impegnare, magari facendo inciampare KD su CP3, ma in una visione ideale del mondo si spera che questo non capiti e che siano sempre le squadre più forti ad arrivare fino in fondo, e i Nuggets al momento non appartengono a questa ristretta cerchia.
freshman di lingue a milano, a 11 anni si ammala gravemente di NBA grazie a LeBron James (fino a the Decision) e Kevin Garnett; il suo sogno è fare il giornalista sportivo