“It’s about damn time”.
Sono state queste le prime parole del prescelto dopo aver vinto il suo primo anello.
Era questione di tempo, in molti lo pensavano, ma altrettanti osteggiavano questa eventualità (per mettere in chiaro le cose, chi vi parla non è mai appartenuto a quest’ultima categoria, i cosiddetti “haters”), infatti Lebron questo primo titolo non lo ha vinto solo contro gli Oklaoma City Thunder, e conquistandolo si è levato di dosso quel macigno che lo accompagnava praticamente da quando è stato scelto al Draft 2003 e che lo ha seguito per tutta la sua carriera dai primi anni ai Cavs alla scelta tanto discussa di accasarsi a South Beach.
Le finali NBA 2012 sono state per larghi tratti un palcoscenico per un attore solo, lui, che ha approcciato la serie nel modo giusto, soprattutto facendo le scelte giuste: attaccare il ferro e sfidare costantemente la difesa dei Thunder, con gli avversari che collassavano su di lui e lasciavano spazio a Wade, Bosh e gli altri comprimari.
Una serie giocata a livelli altissimi: 28 punti, 10 rimbalzi, e oltre 7 assist di media, più una presenza difensiva costante contro Kevin Durant e in raddoppio a centro area.
La stagione appena trascorsa si è quindi conclusa con l’agognato trionfo, e adesso non possono che venire alla mente le parole del prescelto (la “profezia”) all’indomani della decision che a portato i suoi talenti a Miami: quel not one, not two, not three etc. che ha fatto sognare tutti i tifosi degli Heat e che ha fatto storcere il naso a molti altri.
La stagione NBA corrente riparte da quelle parole; e non è ripartita per niente male. Gli Heat sono in testa alla conference e James continua a timbrare il cartellino ogni sera con regolarità. I comprimari della squadra non sono cambiati più di tanto, ma sono stati fatti due innesti di qualità che però stanno vivendo di luci ed ombre.
Ray Allen non sembra essersi ancora del tutto ambientato nel sistema offensivo di coach Spoelstra, ciononostante è stato già protagonista con tiri decisivi, mentre Rashard Lewis forse soffre oltremisura un quintetto piccolo che lo obbliga a compiti difensivi lontani dalle sue caratteristiche.
Infatti, nonostante Spoelstra abbia riproposto in alcuni frangenti Joel Anthony, ormai gli Heat sono indirizzati verso un quintetto che possa portare Lebron più vicino a canestro, con un Bosh finto centro che ha dimostrato nelle scorse finali di essere all’altezza del ruolo. D’altronde il gioco va in questa direzione da un po’ tutte le parti nella lega.
Parlando dei restanti pezzi dei Big Three, Wade e Bosh continuano a assicurare prestazioni e numeri analoghi a quelli dello scorso anno, anche se rimane una piccolo punto interrogativo sulle condizioni fisiche di Wade che, durante alcuni momenti dei playoff 2012 ha mostrato il fianco a perplessità sulla sua tenuta fisica e soprattutto psicologica, con quella sfuriata nella serie contro i Celtics.
Detto questo se il basket NBA fosse matematica gli Heat, replicando i numeri sella scorsa stagione, si preparerebbero al repeat; ma il basket è lontano dall’essere un insieme ordinato di numeri.
Analizzando le avversarie di Miami per il titolo è ovvio partire dalla squadra uscita sconfitta dalle finali 2012. I Thunder sembrano continuare su quella scia che li ha portati a giocarsi il titolo; anche con un Harden in meno non sembra che gli equilibri determinati dalle scelte di coach Brooks siano mutati fin tanto da stravolgere l’asseto della squadra, che rimane senz’altro la pretendente più seria al titolo di conference, Spurs e Lakers permettendo.
Sulla East coast appare davvero difficile immaginare una contender seria dei Miami Heat, anche se New York sta vivendo un momento magico che al Madison Square Garden non si vedeva da tempo. Per il resto sembra improbabile che Boston oppure Chicago (per motivi differenti) possano interferire nel cammino degli Heat verso la finale back to back.
I presupposti, quindi, per assistere ad un’altra serie finale con James protagonista ci sono tutti. Da lì al secondo anello si frappone la voglia di rivalsa di OKC, la fame di Kobe e dei Lakers o l’esperienza ad alti livelli degli Spurs.
Parlando poi del futuro di Lebron, non c’è dubbio che la lega rimarrà sua ancora per un bel pezzo, il numero degli anelli che si metterà al dito, però, non dipenderà soltanto da lui (non può mai dipendere dalla volontà di un solo giocatore, ve lo ricordate ai Cavs?).
La più grande incognita risiede nei compagni che di volta in volta gli verranno affiancati: Wade ha già 30, e Battier (decisivo in finale), Allen, Lewis sono tutti ultratrentenni, la squadra tra pochi anni andrà svecchiata e peserà sulla dirigenza degli Heat il compito di prendere dei rimpiazzi degni, con un sistema salariale sempre più rigoroso. Infine è ipotesi affascinante ma forse eccessivamente fantasiosa quella che prevedrebbe un ritorno del prescelto a Cleveland dopo la scadenza naturale del contratto.
Insomma, nonostante sia difficile dire se e quanti altri anelli porterà a casa, non c’è dubbio che si debba per forza fare i conti contro una squadra che in quintetto può contare su Lebron; probabilmente la sua profezia al momento della presentazione a South Beach era stata oltremodo ottimistica, ma solo il tempo ci dirà chi aveva ragione.
Ancora una volta, it’s about damn time.
Seguo il basket NBA dal 2000, quando Vince Carter volava sui cieli di Oakland e quando i Lakers battevano i Trail Blazers alla settima. Studio giurisprudenza presso la facoltà di Palermo, mi piace la musica e suono la chitarra. Ma soprattutto, sono NBA-dipendente… Email: big.ideas@hotmail.it Twitter: @sleepinpill87