La NBA non conosce sosta, soprattutto in concomitanza di festività importanti come il Natale, nelle quali vengono storicamente offerti a tutti gli appassionati gli scontri e le sfide più appetibili e avvincenti dell’intera stagione professionistica.

Nemmeno il tempo di digerire il cenone della Vigilia, tra un panettone che va giù e una riunione di famiglia, ecco che ben dieci squadre sono chiamate a catapultarsi sul parquet in diretta nazionale, per permettere alla “macchina da soldi” targata David Stern di poter fare il pieno di carburante e continuare indisturbata sulla propria strada.

Nets, Celtics, Lakers, Knicks, Heat, Thunder, Bulls, Rockets, Clippers e Nuggets: vale a dire la crème de la crème per quanto riguarda il basket d’oltreoceano.

Nulla di più appetitoso insomma per i mai sazi fan della NBA sparsi su tutto il pianeta.

Il programma, per noi “sfigati” al di là dell’Atlantico (il fuso orario purtroppo non è dalla nostra…), ci proponeva un paio di partite nel tardo pomeriggio, una e forse quella più importante alle porte della notte e le ultime due sfide, quelle a tinte tricolori grazie alla presenza di Belinelli e Gallinari, a Santo Stefano inoltrato.

Sebbene i più temerari si siano spinti “over the edge” e abbiano deciso di assistere in diretta anche al massacro dei Chicago Bulls da parte dei Rockets del trio Harden-Lin-Asik e al rivedibile 1/10 dal campo del Gallo in quella che è stata la vittoria numero 14 in sequenza per i super-Los Angeles Clippers, in questo pezzo ci limiteremo ad analizzare le tre sfide più accessibili al pubblico italiano, cercando di andare a scovare quelli che sono stati gli aspetti più importanti venuti a galla nei 144 minuti di gioco trascorsi in quel di Brooklyn, Los Angeles e Miami.

20121227-155358.jpgBOSTON CELTICS @ BROOKLYN NETS 93-76

Leaders: PTS Rondo 19, AST Pierce 10, REB Garnett 10

Partiamo dalla fine, e cioè da quello che Brett Yormark, chief executive dei Brooklyn Nets, ha cinguettato su Twitter venti minuti dopo la sirena finale: “I tifosi dei Nets avrebbero meritato di meglio oggi. L’intera organizzazione deve lavorare più duramente per trovare una soluzione. Ci arriveremo.”

Nove sconfitte su dodici gare disputate nel mese di Dicembre, record di 14-13 con una percentuale di vittorie vicinissima al .500, imbarcata in diretta nazionale su ESPN nel giorno di Natale.

Se per i Brooklyn Nets quattro settimane fa la situazione parlava di una squadra in piena salute, capace di andare a Boston e strappare coi denti una convincente vittoria che sanciva almeno in quel frangente lo status di squadra pretendente alle posizioni alte della Eastern Conference, lo stesso non si può dire del momento attuale, dato che lo scenario pare sia totalmente cambiato dalle parti del Barclays Center, dove l’appuntamento con la doppia-vù sembra diventato ormai un vero e proprio tabù.

A non convincere totalmente, e la partita di ieri ne è una solare riprova, è soprattutto il playbook offensivo ideato per i suoi giocatori da Avery Johnson e dal suo staff tecnico.

Nella gara di ieri, per esempio, i Nets hanno segnato 76 punti col 40% dal campo (cifre che in NBA decretano la quasi matematica sconfitta), ma soprattutto hanno messo a referto solamente 14 assist di squadra di contro alle 20 palle perse (trasformate in 25 punti dagli avversari, più o meno un quarto del loro totale bottino offensivo).

Il sistema d’attacco creato da Johnson è quasi esclusivamente focalizzato sull’uno-contro-uno da situazioni di isolamento, se non fosse che questo sia effettivamente e statisticamente il peggior modo di offendere una difesa, ed i numeri di cui sopra non ne sono altro che un’ulteriore prova evidente.

In una squadra che può contare su Deron Williams, uno dei migliori playmaker in circolazione in situazioni di pick-and-roll/pick-and-pop, su Brook Lopez e Chris Humpries, due che sanno attaccare l’area fino in fondo, su Joe Johnson, CJ Watson e Gerald Wallace, non si può e non si deve fare assoluto affidamento alle capacità di battere il diretto avversario da parte dei tuoi effettivi, ma bisogna cercare di modellargli e cucirgli addosso un gioco che possa permettergli di esprimersi al meglio.

Avery Johnson, vista anche la sua esperienza ai Dallas Mavericks nella quale gli stessi Nowitzki e Terry erano “costretti” a doversi inventare qualcosa dai numerosi isolamenti che venivano chiamati, non sembra aver colto a pieno l’inefficienza della propria filosofia di gioco offensivo; tuttavia, dopo le recenti dichiarazioni di Deron Williams in cui esprimeva il proprio malcontento per le eccessive situazioni di “one-on-one” in cui lui ed i propri compagni venivano a trovarsi nella metà campo d’attacco, ha deciso di aprirsi ad un cambiamento verso un sistema di gioco più “organizzato”, magari prendendo spunto dagli Utah Jazz e da quel Jerry Sloan che aveva permesso al play di Parkersburg di diventare una delle point guard più prolifiche dell’intero panorama NBA (si è passati dal 46% dal campo in maglia Jazz al 39.5%, così come dal 35% da tre punti al 32%).

Di tutt’altra pasta invece la prova dei Boston Celtics, convincente sia dal punto di vista offensivo che soprattutto difensivo, come dimostrano i soli 76 punti concessi.
Quando gli uomini di Doc Rivers decidono di scendere in campo col piglio e l’attitudine giusta, soprattutto nella propria metà campo, continuano ad essere ancora veramente difficili da battere.

Se a questo aggiungiamo una prova sopra la norma di quasi tutta la panchina biancoverde, con Jared Sullinger (17 punti, 6/7 dal campo e 7 rimbalzi: prestazione da season-high) a guidare le seconde linee assieme a Jeff Green (15 punti con 5/8), un Pierce in versione distributore di gioco (10 assist per lui alla fine) ed un Rondo, che nonostante abbia limitato il numero di assistenze a 5, ha dominato in lungo e in largo in tutti i suoi 36 minuti di gioco, eccovi servita l’importantissima vittoria dei Celtics.

Utile non solo a vendicare i due sanguinosi precedenti ko stagionali patiti con i Nets, ma anche a dare morale e fiducia nei mezzi a tutta la squadra, che da ora in poi potrà contare oltre ai soliti noti Big Three anche su giocatori come Sullinger e Green, capaci di regalare prestazioni importanti e dare minuti di riposo preziosissimi ai veterani, soprattutto in ottica Playoffs.

Se infatti i due saranno in grado di offrire partite altrettanto solide almeno una o due volte alla settimana, preservando la salute dei più datati, i Celtics avranno maggiori chances di compiere un’altra, l’ennesima della loro storia, scalata nella postseason.

20121227-155100.jpgNEW YORK KNICKS @ LOS ANGELES LAKERS 94-100

Leaders: PTS Anthony/Bryant 34, AST Nash 11, REB Howard 10

In uno dei match più emozionanti della notte assieme a quello andato in scena a Miami, i Lakers hanno centrato la loro quinta vittoria consecutiva, la seconda da quando Nash è stato reintegrato nel gruppo a seguito della microfrattura alla gamba sinistra, e sono ora in rialzo seppur la loro classifica resti ancora deficitaria (.500 di vittorie e record di 14-14).

Proprio dal canadese vogliamo partire nella nostra analisi, dato che la sua prestazione da 16 punti con 7/12 al tiro, 11 assist e 6 rimbalzi è risultata a dir poco determinante ai fini del risultato finale.
Oltre i numeri, Nash ha dimostrato a tutti coloro che nutrivano dubbi sulla sua capacità di fare ancora la differenza a 38 anni e soprattutto di rimettere a posto le cose nei disastrati Lakers dopo quasi due mesi di stop, di poter ancora risultare decisivo soprattutto nella padronanza e nella direzione delle operazioni.

Dal suo ritorno, e già in quel di Oakland si era cominciato ad intravedere qualcosa, Pau Gasol è salito di giri, Dwight Howard sembra essere ritornato sulla via del recupero dando segnali confortanti soprattutto in difesa e Kobe Bryant ha trovato maggiore fluidità nel gioco; insomma, a giovare della sua presenza sono tutti i compagni e non solo, dato che anche coach D’Antoni avrà ora la possibilità di inserire il suo pupillo all’interno del sistema-Lakers, così da aumentarne le capacità e l’efficenza.

Nonostante difensivamente dimostri ancora parecchie lacune (ieri più e più volte Dwight Howard ha tolto le castagne dal fuoco in suo luogo quando Felton arrivava con facilità al ferro), la sua attitudine a coinvolgere tutti i compagni sul campo ha portato positività all’intero ambiente gialloviola, facendo respirare un nuovo vento sicuramente più fresco e leggero ai tifosi losangelini.

Oltre al playmaker canadese, MVP indiscusso della gara, tutti i componenti più importanti dei Lakers, da cui ci si aspettava una dimostrazione di forza in questa gara di Natale, hanno risposto presente all’appello.

A partire da Kobe Bryant, scalato nella posizione di ala piccola nel quintetto iniziale (per far spazio all’invisibile Darius Morris) e autore di una prestazione molto convincente in entrambe le fasi di gioco: tira 24 volte mandando a bersaglio 14 conclusioni, tutte costruite in maniera molto più “fluent” rispetto a quelle contro Golden State dell’ultima gara, raccoglie 5 rimbalzi, perde un singolo pallone e segna per la nona volta consecutiva più di 30 punti.

Con lui, un ottimo Metta World Peace, MVP della finora disastrosa stagione dei lacustri e capace dell’ennesima prova importante: con una gara difensiva degna del miglior Ron Artest (i 34 punti di ‘Melo sono stati forse i più sofferti e sudati della sua carriera), è stato in grado di uscire dalla panchina portando energia, muscoli, sudore e tanta buona volontà alla causa gialloviola; il tutto condito da 20 punti di cui 16 nel solo secondo quarto. Roba da leccarsi i baffi!

Menzione d’onore infine per i due lunghi Howard e Gasol, entrambi in fase di riabilitazione psico-fisica e comunque capaci di giocate importanti, col primo che è risultato essere l’assoluto padrone del pitturato di casa mentre il secondo ha messo la ciliegina sulla vittoria sancendo il tutto con una poderosa schiacciata a due mani tra tre avversari. Sperando che sia di buon auspicio per il futuro…

Passando dalla parte degli sconfitti, invece, ancora orfani di Amare Stoudemire almeno fino al primo dell’anno che sta per arrivare, hanno giocato una buona partita, guidati al solito da Carmelo Anthony e da un JR Smith piuttosto ispirato.

Nonostante questo però non sono stati capaci di chiudere una partita che sembrava ampiamente alla loro portata, soprattutto per vari motivi che ora andremo ad elencarvi:

  • La serata no di Raymond Felton, che nonostante il doppio infortunio rimediato ad entrambe le mani ha continuato a sparare a salve verso i canestri dello Staples Center, risultando deleterio per i propri compagni (10 punti con un disastroso 5/19 al tiro);
  • Il 46-26 a favore dei Lakers nel pitturato, frutto della prestazione incolore del bigman newyorchese Tyson Chandler; il lungo ex-Mavericks ha fatto il suo solito compito in difesa, raccogliendo 9 rimbalzi e disturbando parecchie conclusioni, ma ha dimostrato di pagare oltremodo la cattiva partita di Felton in attacco, non avendo a disposizione tutte quelle situazioni di pick-and-roll che il play gli mette solitamente a disposizione;
  • I soli tre tiri nell’ultimo periodo di Carmelo Anthony, un dato agghiacciante se si pensa che ‘Melo avesse segnato 34 punti e si stesse giocando una gara punto a punto, situazione parecchio favorevole al prodotto di Syracuse;
  • I soli 7 punti della panchina arancioblu, oltre i 25 del solo JR Smith, che non sono accettabili in contese del genere.

L’armata di coach Woodson non esce comunque ridimensionata da questo scontro natalizio, rimanendo una delle squadre più temibili dell’intera Lega.

20121227-154854.jpgOKLAHOMA CITY THUNDER @ MIAMI HEAT 97-103

Leaders: PTS Durant 33, AST James 9, REB Westbrook 11

Stesso palcoscenico dello scorso Giugno, quell’American Airlines Arena rimasta sicuramente nella testa di Kevin Durant non per ricordi felicissimi, stessi interpreti sul campo di gioco, eccetto qualche pedina aggiunta da entrambe le parti, e stesso risultato maturato al termine dei 48 minuti di gioco.

Sebbene siano passati mesi da quelle Finali 2012 che premiarono gli sforzi di James e compagni dopo due tormentatissime stagioni, gli Oklahoma City Thunder non sono infatti ancora riusciti a trovare una risposta adeguata per battere gli ormai “odiati” Miami Heat.

E’ stato come un deja-vu quello andato in scena ieri notte per la banda di Scott Brooks: il solito super Durant da 33 punti, 7 rimbalzi e 3 assist, il solito (come dice bene l’opinionista Josh Martin) Russell Westbrook indeciso fra Jekyll (21 punti, 11 rimbalzi, 3 assist e 2 palle rubate) e Hyde (5/19 dal campo e 5 palle perse) e la solita tendenza a fossilizzare l’attacco “down the stretch”, ossia nei minuti finali di partita, hanno condotto la franchigia ex-Seattle all’ennesima sconfitta di misura contro i campioni in carica, stavolta di sole 6 lunghezze.

Il tutto, aggravato da una difesa di squadra sciagurata a soli 25 secondi dal termine, che ha condotto Chris Bosh ad un facile appoggio da sotto il canestro dopo l’ottima assistenza di Lebron e gli Heat al +3.

Misunderstanding, mancata comunicazione tra gli interpreti, errore nel posizionamento di Perkins, Durant o Ibaka, quello che vi pare… Resta il fatto che i Thunder possono contare su un talento inestimabile, che trova piena concretizzazione in ampi spezzoni di partita, mancando però nei minuti finali e decisivi, soprattutto quando la competizione e la posta in palio sono altissime.

Serata negativa anche per alcune pedine fondamentali dello scacchiere di Brooks, come Thabo Sefolosha (nullo in attacco e ordinario in difesa), Kendrick Perkins e tutta la panchina in maglia azzurra monocromatica per l’occasione, che non hanno contribuito in alcuna maniera alla contesa, manco fossero spettatori non paganti.

Passando agli Heat, invece, sono molte le note positive scaturite da questo big match natalizio. A partire dal solito Lebron James, tanto dominante quanto rilassato sul campo dopo essersi scrollato di dosso l’etichetta di loser vincendo l’agognato anello lo scorso anno.

La prestazione del natìo di Akron è stata veramente solida, guidando i suoi in punti (29), rimbalzi (8), assist (9), palle rubate (2) e minuti sul campo (42), sfiorando la seconda tripla-doppia in carriera nel giorno di Natale ed ispirando le giocate decisive nei secondi finali, come quel passaggio smarcante a Chris Bosh sotto al canestro con 25 secondi rimasti sul cronometro.

Altrettanto positiva la gara di Mario Chalmers, importante nel quarto decisivo ma allo stesso modo devastante lungo tutto l’arco della sfida: 20 punti, 57% al tiro, 4/8 da oltre l’arco e tanta energia. Se Rio giocasse così tutte le partite, ce ne sarebbe davvero per pochi contro gli Heat…

Bene infine gli altri due componenti dei Big Three: Dwyane Wade (21 punti con 8/17) è stato attivo sia in fase offensiva, fungendo da valida alternativa al numero 6, sia in fase difensiva, con un’ottima marcatura su K-Martin e Sefolosha; Bosh invece ha fatto il suo dovere, niente di più nè di meno, con 16 punti e un buon 6/11 dal campo a sancire la sua ottima lettura del gioco e le capacità nella selezione dei tiri, mai forzati.

Sorprendente piuttosto il non impatto della panchina di Miami, che fatta eccezione per i 6 punti consecutivi di Mike Miller, ha davvero regalato pochissimi lampi nella serata, soprattutto da Ray Allen.

Finchè però i direttori d’orchestra continueranno a dirigere in questa maniera, Spoelstra e compagnia hanno davvero poco di cui preoccuparsi!

 

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